RDCongo: Tshisekedi confermato presidente, ma per lui la strada è «tutta in salita»
In Repubblica Democratica del Congo (RDC), i sondaggi politici diffusi prima delle elezioni restituivano l’immagine di una competizione alla pari tra i 4 principali sfidanti alle presidenziali: il presidente uscente Félix Tshisekedi, il magnate del calcio ed ex governatore della Provincia del Katanga Moise Katumbi, il principale sfidante Martin Fayulu (che numerosi osservatori ritenevano il reale vincitore delle precedenti elezioni, nel 2018), infine il Nobel per la Pace 2018 Denis Mukwege, noto come il “medico che ripara le donne” abusate nei contesti di guerra. Incredibilmente, però, la CENI (Commissione elettorale nazionale indipendente), dopo una tornata elettorale quasi surreale per il livello di irregolarità registrate, ha dichiarato il presidente uscente vincitore con il 73% dei voti (v. Adista Notizie n. 1/24). Una vittoria “troppo” schiacciante, apparsa – anche a chi già sospettava che l’esito elettorale sarebbe stato quantomeno forzato, come peraltro nel 2018 – uno schiaffo in faccia alla popolazione congolese che bramava un cambio di passo politico, soprattutto nelle zone in guerra dell’Est della RDC.
In un articolo pubblicato il 9 gennaio sul Magazine online di Treccani Luca Attanasio (giornalista esperto di esteri e di Africa in particolare che collabora con diverse testate, tra le quali Domani, Confronti e Fides, omonimo dell’ambasciatore assassinato in un agguato proprio nell’Est del Congo) ricorda che «nessun precedente presidente della RDC ha mai ottenuto più del 48% dei voti, anche in presenza di accuse di brogli diffusi. Inevitabili, all’annuncio dei risultati, sono partite le contestazioni, le accuse di brogli, le durissime prese di posizione di tutto il fronte dell’opposizione unito (che grida all’ennesimo scandalo), ma senza grandi speranze che vengano prese in considerazione».
E infatti, le già flebili speranze di vedere accolta la richiesta di procedere a una nuova tornata elettorale – senza i brogli e le irregolarità diffuse che hanno caratterizzato quella del 20 e 21 dicembre scorso – si sono scontrate definitivamente contro il verdetto della Corte Costituzionale che il 9 gennaio, come ampiamente previsto, ha di fatto confermato quello della CENI. Tshisekedi resta «presidente eletto» con 13.058.962 voti (73,47% dei voti) e la Corte, spiegano le agenzie dopo il pronunciamento, ha respinto due ricorsi contro i risultati delle elezioni, affermando che le irregolarità non avrebbero potuto incidere così tanto sull’esito del voto popolare.
Il 20 gennaio prossimo, dunque, il presidente Tshisekedi giurerà per la seconda volta e le speranze di cambiamento per la RDC dovranno attendere ancora una legislatura di 5 anni.
Tra malcontento popolare, opposizione politica e un primo mandato fallimentare dal punto di vista sociale, economico e politico rispetto alle promesse avanzate nel 2018, Tshisekedi «ha davanti a sé una strada tutta in salita», spiega ancora Attanasio: «Dopo la vittoria del 2018 aveva promesso di rendere il suo Paese “la Germania d’Africa”, di far crescere l’economia, di creare posti di lavoro per la popolazione e di fermare il conflitto all’Est. Poco, se non addirittura niente di tutto questo è stato realizzato, mentre nelle regioni in guerra la situazione, se possibile, è addirittura peggiorata, con la penetrazione sempre più capillare delle milizie filo-ruandesi M23 in aree nazionali congolesi. Nella regione, straricca di minerali preziosissimi come coltan, cobalto e oro, sono ormai 7 milioni le persone sfollate a causa delle violenze in corso. Degli oltre 100 milioni di abitanti del Paese, poi, 25 milioni sono in gravissima emergenza alimentare, mentre circa il 73% della popolazione vive in condizioni di estrema povertà». Con un’opposizione ridotta al lumicino, il presidente “rieletto” dovrà ora render conto, per la seconda volta, delle sue promesse roboanti: «Nel suo ultimo comizio prima delle elezioni, Tshisekedi è arrivato a promettere di dichiarare guerra al Ruanda se fosse stato rieletto. È improbabile che abbia vinto per questo (ci manca solo una guerra aperta tra Stati sovrani!). Ai congolesi interessa infinitamente di più che si ricordi delle promesse del primo mandato: creare posti di lavoro, trasformare l’economia e risollevare un Paese ricchissimo ma nelle ultime posizioni di ogni statistica di benessere socioeconomico. Sarebbe già moltissimo, senza bisogno di diventare “la Germania dell’Africa”».
* Foto di DrRandomFactor, tratta da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza
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