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Un’etica condivisa nell’epoca post-religiosa

Un’etica condivisa nell’epoca post-religiosa

Tratto da: Adista Notizie n° 2 del 20/01/2024

Personalmente dal discorso di papa Francesco Ai Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno (8 gennaio 2024) ho tratto due o tre considerazioni.

La prima è la radicale laicità del registro comunicativo. Il papa non parla da una cattedra sovra-elevata, in quanto portavoce di un Dio che gli parla mediante un filo diretto ed esclusivo, ma da umano pensante a umani pensanti: i quattro quinti del testo sono dedicati ai temi – intrecciati – della pace, della salvaguardia dell’ambiente e della giustizia internazionale. Se i bravi cristiani di tutte le confessioni, cattolica in primis, vorranno rimproverarlo per non aver detto che l’umanità avrà un futuro solo se si convertirà al cristianesimo, si accomodino pure: dimostreranno di non aver capito per nulla che viviamo in un’epoca postreligionale in cui solo ritrovando un’etica basilare comune si potrà sperare di non affondare irreversibilmente nell’autodistruzione. Solo chi rispetta, con convinzione teorica e coerenza pratica, i «principi razionalmente evidenti e comunemente accettati» della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) ha il diritto morale di dirsi credente, ateo o agnostico. Senza queste fondamenta antropologiche ogni professione religiosa, filosofica o politica è solo una maschera ideologica (perniciosa prima di tutto per chi la indossa ingenuamente).

Una seconda considerazione riguarda le tematiche concernenti la bioetica. Rispetto agli interventi dei due papi precedenti, qui occupano il posto marginale che meritano nell’ottica di chi guarda, con saggezza, alla complessità delle tragedie in corso. Alcune di queste tematiche non sono neppure nominate esplicitamente, ma vi si fa tacita allusione, come per l’eutanasia («In ogni momento della sua esistenza, la vita umana dev’essere preservata e tutelata, mentre constato con rammarico, specialmente in Occidente, il persistente diffondersi di una cultura della morte, che, in nome di una finta pietà, scarta bambini, anziani e malati») e l’aborto procurato («la via della pace esige il rispetto della vita, di ogni vita umana, a partire da quella del nascituro nel grembo della madre»). Ed è proprio a proposito della vita del “nascituro”, che Francesco aggiunge: «Non può essere soppressa, né diventare oggetto di mercimonio. Al riguardo, ritengo deprecabile la pratica della cosiddetta maternità surrogata, che lede gravemente la dignità della donna e del figlio. Essa è fondata sullo sfruttamento di una situazione di necessità materiale della madre. Un bambino è sempre un dono e mai l’oggetto di un contratto. Auspico, pertanto, un impegno della Comunità internazionale per proibire a livello universale tale pratica». Anche autorevoli femministe, di formazione molto lontana dal mondo cattolico, hanno salutato con plauso questo passaggio. Personalmente non ho un’idea chiara e definitiva sulla questione, ma onestà intellettuale impone che qui si legga solo ciò che è scritto: che il papa condanna la “maternità surrogata” in quanto «mercimonio», effetto di un “contratto” che comporta lo «sfruttamento di una situazione di necessità materiale della madre». Su altre motivazioni (più nobili) non c’è parola. Forse Francesco condanna anche queste fattispecie, ma è certo che non lo fa in questo discorso. Se trovo prudente questo silenzio, non posso non evidenziare un altro silenzio (assai meno apprezzabile): sulla necessità imprescindibile che tutte le agenzie educative (per prima la Chiesa cattolica!) si impegnino a diffondere una cultura della prevenzione delle gravidanze e assicurino, soprattutto alle donne, l’accesso gratuito a tutti gli strumenti contraccettivi.

Una terza considerazione viene suggerita dal passaggio – anche esso mediaticamente enfatizzato in queste ore – sulla Condanna della “teoria del gender”: «Purtroppo, i tentativi compiuti negli ultimi decenni di introdurre nuovi diritti, non pienamente consistenti rispetto a quelli originalmente definiti e non sempre accettabili, hanno dato adito a colonizzazioni ideologiche, tra le quali ha un ruolo centrale la teoria del gender, che è pericolosissima perché cancella le differenze nella pretesa di rendere tutti uguali. Tali colonizzazioni ideologiche provocano ferite e divisioni tra gli Stati, anziché favorire l’edificazione della pace». Non è la prima volta che il papa prende di mira questa “teoria”, ma – come nelle volte precedenti – non indica nessun riferimento a istituzioni, libri, studiosi che la sosterrebbero. Così, però, offre un vantaggio immeritato a quelle frange conservatrici, anzi reazionarie, che nella sua stessa Chiesa come in altre Chiese cristiane, lo contestano. Sono infatti intellettuali delle Destre teologiche di orientamento fondamentalista ad aver inventato la categoria “teoria del gender” per fare di molte teorie (alcune convincenti, altre opinabili, altre ancora insostenibili) un unico mazzo da bruciare al rogo. No, caro papa: su questioni delicate o si procede con il cesello o si tace del tutto. Quale bioetico o quale esponente del pensiero femminista, quale teorico del mondo LGBT+ sostiene che si debbano cancellare le “differenze” per renderci tutti «uguali»? In questo territorio culturale – che pur frequento da alcuni anni – ho incontrato esattamente tesi di segno opposto: ognuno di noi è unico e nessuno ha il diritto di omologarlo a una pretesa normalità. Ma, «se sbaglio, mi corriggerete».

Augusto Cavadi co-dirige, con la moglie Adriana Saieva, la “Casa dell'equità e della bellezza” di Palermo. Ha pubblicato, tra l’altro, “Il Dio dei mafiosi” (2009), "Dio visto da Sud" (2021) e "O religione o ateismo? La spiritualità 'laica' come fondamento comune" (2021)

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