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La vetrina che affama l'Africa

La vetrina che affama l'Africa

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 6 del 17/02/2024

Le Afriche, realtà plurale con 54 Stati, oltre 2mila lingue e popoli, 1.3 miliardi di persone, non hanno certo bisogno di saccheggio delle risorse travestito da piano innovativo e paritario di sviluppo, promesse troppo spesso non mantenute, vertici internazionali carichi di fuffa. Hanno bisogno di giustizia!

Quello che è andato in onda a Roma il 28 e 29 gennaio scorso, più che un vertice Italia-Africa nel nome del famigerato “Piano Mattei”, è un bel Festival dell’Ipocrisia. Presenti 25 tra capi di Stato e di governo africani, neanche la metà dei Paesi rappresentati, qualche comparsa dell’Unione Europea tra cui la presidente della Commissione, Ursula Von Der Layen, a traino della Meloni per una riconferma a Bruxelles, dirigenti italiani di almeno una dozzina di società partecipate di Stato con sete di petrolio e gas, tra cui immancabilmente Eni, Snam e Enel. Pronte a fare affari e firmare contratti sottobanco. Rigorosamente tenuta fuori la società civile, tanto italiana quanto africana. Avrebbero potuto cantare fuori dal coro e far andare di traverso la kermesse!

L’abbaglio della vetrina internazionale messa in scena dal governo Meloni, ormai sempre più concentrato nel fare propaganda invece di guidare il Paese, ha presentato sul palco un’idea mai condivisa prima con i partner africani interessati. Come dire: pensiamo noi per voi, abbiamo noi una soluzione vincente per tutti, fidatevi. Come se in passato non li avessero mai fregati! Si tratta di un piano di sviluppo quadriennale, a detta loro, innovativo. Sarebbe fondato su una partnership italiana con diverse realtà africane mettendo da parte la logica predatoria e paternalistica per giocare a carte scoperte su piani paritari in vista di una vantaggio reciproco. Ce la vedete l’Italia, ai cui vertici ritornano ad affiorare rigurgiti di un passato regime non certo tenero con gli africani, trattare ad armi pari con il Congo Brazzaville per avere il suo petrolio? Ma davvero crediamo alla favola dei pesi equilibrati quando la nostra Eni fa i salti mortali per portare a casa più petrolio e gas possibili dalla Libia, divisa in due tra turchi e russi? Con il fardello di un crescente debito estero, vero ostacolo allo sviluppo e leva trainante di un nuovo sistema globale neocoloniale, come possono i popoli africani trarre veri benefici da questi accordi che finiscono solo per arricchire le loro oligarchie?

Un conto è quanto si è detto in pubblico tra vuote teorie e diplomazie di circostanza. A dire il vero, Faki Mahammat, presidente dell’Unione africana le ha cantate alla Meloni: «Basta promesse, servono fatti! E sulle alleanze ci sentiamo liberi». Tradotto: non avete grandi margini perché già lo spazio libero è quasi oligopolio di Cina, Russia, Turchia, Emirati Arabi. Potenze a cui i vertici africani, spesso corrotti, stanno già da un pezzo svendendo il continente in una nuova logica neocoloniale.

Un altro conto è il piano pragmatico che si gioca dietro le quinte. Fatto dalle lobby potenti dei combustibili fossili, forti pressioni economiche, marketing d’assalto, ricerca spasmodica di nuove fonti energetiche, contratti pronti da firmare e soprattutto nuove ondate migratorie da fermare! Questa è la verità di un piano subdolo e predatorio il cui nome fa rivoltare nella tomba quel Mattei di cui nulla ci dicono della storia. Perché scopriremmo che era partigiano, dirigente pubblico lungimirante, deputato vicino a La Pira. Con la visione di far uscire l’Italia dalla povertà del dopoguerra anche attraverso un piano energetico rigoroso, certo improntato sullo sfruttamento di combustibili fossili, ma sempre con l’attenzione di trattare a carte scoperte e ad armi pari con gli interlocutori senza pregiudiziali e senza volerli umiliare. Mattei fu fatto fuori nel 1962 a soli 66 anni, in circostanze misteriose perché troppo scomodo per le multinazionali petrolifere e per certi settori politici affiliati.

Il piano Mattei in verità nasce nella primavera del 2022 appena dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. L’allora ministro Luigi Di Maio e l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, visitarono numerosi Paesi africani tra cui Algeria, Congo, Angola e Mozambico per stringere nuovi accordi sull’estrazione di gas e petrolio o per rafforzare quelli esistenti, con l’obiettivo di rompere la dipendenza energetica dalla Russia. Altro che visione paritaria, sviluppo sostenibile, partnership strategica per lo sviluppo delle potenzialità africane! Siamo davanti a uno sbandierato grande piano governativo che in realtà è la somma di piani di investimento di gruppi industriali e finanziari. Lo hanno capito benissimo gli africani stessi che hanno a cuore le sorti dei loro popoli. Scrive The Herald, testata filogovernativa dello Zimbabwe: «Il piano Mattei è stato messo insieme in fretta e furia dall’Italia con l’obiettivo di non perdere la sua libbra di carne in Africa».

Ma chi vuol prendere per i fondelli Claudio Descalzi quando recita il copione: «Siamo una società africana presente in Africa da 60 anni per il rispetto che abbiamo per quelle persone»? A chi vuol farla credere Descalzi, ormai il vero ministro degli Esteri di un Paese, l’Italia, primo finanziatore europeo di progetti fossili all’estero e sesto a livello globale? Le sue e quelle delle altre comparse a Roma, con pochissime eccezioni, sono parole vuote che nascondono la sete di sempre più affari per difendere stili di vita che noi occidentali non vogliono mettere in discussione.

Il piano, anche se in vetrina presenta 5 settori strategici di investimento (istruzione e formazione, agricoltura, salute, energia e acqua) si fonda in realtà su due priorità assolute: la sicurezza energetica dell’Italia e il contrasto ai flussi migratori irregolari. Quest’ultimo vero assillo della fortezza Europa che presto andrà alle urne giocandosi il consenso proprio sulla carta dei respingimenti dei migranti, del controllo asfissiante delle frontiere, dello spauracchio degli stranieri.

Anche i finanziamenti lasciano a desiderare. Non solo per l’ammontare, 5.5 miliardi di euro, piuttosto irrisorio per dare benzina all’ambizione di una trasformazione consistente delle parti, ma soprattutto per la modalità di approvvigionamento. Che rasenta davvero il ridicolo: nessuna risorsa viene davvero investita in questa operazione di pura propaganda di regime. Si gratta la pentola da altre parti: 2.5 miliardi provengono dal Fondo destinato alla Cooperazione Internazionale, senza dimenticare che l’impegno di destinare sulla carta lo 0.7% del PIL all’aiuto allo sviluppo dei Paesi più poveri è da tempo umiliato da un risicato 0.32% nella pratica, neanche la metà. I restanti 3 invece vengono prelevati dal Fondo previsto per la lotta ai cambiamenti climatici. Si tolgono quindi risorse alla solidarietà e all’ambiente e si danno alla finanza. Di cosa stupirsi quando la politica è ridotta, da un pezzo, a marketing?

Come dire: giriamo un po’ le carte in tavola per non cambiare nulla. Soldi tanto non ce ne sono. Provano così a rimescolarli e far credere alla gente che si occupano anche dei poveri africani. Basta che restino là! In realtà a loro degli africani non frega proprio nulla. Ne al di là del Mediterraneo, dove continuano la rincorsa sfrenata ai loro combustibili fossili e alle altre risorse. Né al di qua, dove agli africani vengono bloccati gli ingressi attraverso il Memorandum con la Tunisia e il patto scellerato con l’Albania, si indebolisce quasi del tutto la protezione speciale, si concedono porti lontani di attracco alle navi delle Ong, che li salvano nel Mediterraneo, impedendo salvataggi multipli.

Invece dello slogan arrogante e falso dell’“aiutiamoli a casa loro” non sarebbe più corretto affermare, ora ancora di più con il vergognoso Piano Mattei, quello di “saccheggiamoli a casa loro”?

​Filippo Ivardi Ganapini è missionario comboniano a Castel Volturno

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