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Abusi: “Vi raccontiamo il nostro inferno con Rupnik”. Conferenza stampa di due vittime

Abusi: “Vi raccontiamo il nostro inferno con Rupnik”. Conferenza stampa di due vittime

Tratto da: Adista Notizie n° 8 del 02/03/2024

41767 ROMA-ADISTA. Le vittime di abusi «non devono perdere la fiducia nella giustizia, non devono perdere la speranza di trovare la verità. E non devono limitarsi ad andare a chiedere aiuto al vescovo o alla madre superiora. Devono andare a denunciare alle autorità dello Stato. Andate dai carabinieri, andate alla polizia! Andate da un avvocato, andate alle procure», perché «chi fa quello che hanno fatto a Gloria deve andare in carcere. Ci deve andare. Quindi dovete avere il coraggio di denunciare!». A parlare è l’avvocata Laura Sgrò, già impegnata a fianco della famiglia di Emanuela Orlandi, che accompagnerà Gloria Branciani e Mirjam Kovac, ex religiose della Comunità Loyola, presunte vittime del prete ex gesuita e acclamato mosaicista sloveno Marko Ivan Rupnik, al processo del Dicastero per la Dottrina della Fede contro quest’ultimo. Il 21 febbraio Sgrò era a fianco di Gloria e Mirjam mentre raccontavano la loro storia – una storia terribile nella sostanza, raccapricciante nei dettagli – già raccolta da Federica Tourn sulle pagine di Domani, ma ora per la prima volta ascoltata dal vivo in una conferenza stampa organizzata presso la Federazione nazionale della Stampa italiana da Bishopaccountability.org (che monitora i casi di abusi) rappresentato dalla sua copresidente Anne Barrett Doyle, davanti a una cinquantina di giornalisti (soprattutto stranieri). L'occasione: i 5 anni trascorsi dal summit sugli abusi nella Chiesa, con la partecipazione di oltre 200 vescovi di tutto il mondo, fortemente voluto da papa Francesco nel 2019 (v. Adista Notizie n. 8/19). È cambiato qualcosa da allora? No. Barrett Doyle ha ricordato l'incontro accordato da papa Francesco a Maria Campatelli, attuale presidente del Centro Aletti e sodale di Rupnik, lo scorso settembre, con tanto di foto ufficiali diffuse (v. Adista Notizie n. 32/23): «Perché il papa ha scelto di incontrare lei e non le vittime?».

Rupnik come Maciel e McCarrick

«Ci vuole coraggio per uscire allo scoperto quando la controparte è Marko Rupnik, un prete potente protetto ai più alti livelli del Vaticano e dei gesuiti», ha sottolineato all’inizio della conferenza stampa Anne Barrett Doyle, che ha ripercorso in breve tutta la vicenda. Già, perché il “caso Rupnik” ha tenuto banco in questi ultimi anni come prototipo di una gestione opaca, forse persino torbida, con connivenze e cecità a tutto campo. Rupnik, ha detto Anne BarrettDoyle, può essere affiancato ad altri personaggi i cui abusi hanno incontrato l’incredulità delle gerarchie, dal fondatore dei Legionari di Cristo Marcial Maciel Degollado (che di fatto non fu mai punito per i suoi misfatti, ma solo obbligato a un periodo di ritiro e preghiera da Benedetto XVI, due anni prima di morire nel 2008) a Theodore McCarrick, il cardinale statunitense che fu sospeso a divinis e poi nel 2019 dimesso dallo stato clericale per i suoi abusi.

Il potere di riscrivere una storia

Il cuore della conferenza stampa è stato il racconto di Gloria Branciani, abusata anche sessualmente. «Solo io posso riscrivere la mia storia», ha spiegato. E la sua storia è anche la storia di altre, e raccontarla ha un valore etico. È stata questa consapevolezza raggiunta a farle decidere di superare «l’ultimo velo di riservatezza» e di esporsi in prima persona.

Mirjam Kovac ha contestualizzato la vicenda: «Eravamo tutte ragazze giovani piene di ideali, ma quegli ideali, insieme alla nostra formazione all’obbedienza e alla fiducia nelle persone, sono stati sfruttati per abusi di vario genere, di coscienza, di potere, spirituali, psichici, fisici e spesso anche sessuali». 20 su 41 le religiose della comunità Loyola oggetto degli approcci sessuali. Una comunità (oggi in dissoluzione, v. Adista Notizie n. 45/23; Adista online 26/12/23), di cui Rupnik era il mentore. Ma anche quando ne fu allontanato nel 1993 (la fondatrice Ivanka Hosta, al corrente degli abusi, temeva che compromettesse l’auspicata approvazione vaticana degli statuti), «non ci siamo accorte che il seme dell’abuso è rimasto nella comunità e nelle persone, nei rapporti, nella struttura». Mirjam è andata via nel 1996. «Ma gli abusi sono continuati. Ancora oggi molte delle consorelle ne portano le conseguenze». Dopo la visita apostolica e il commissariamento della comunità, in diverse si sono ritrovate: «Le nostre piccole tessere stanno componendo un mosaico sempre più grande», ha detto Mirjam Kovac, «abbiamo visto che questa storia non è solo nostra». Denunciando: «Le istituzioni continuano a chiudersi nel silenzio, un muro di gomma che rimbalza ogni tentativo di curare una situazione malsana». Resta però la fiducia che «con le nostre e altre testimonianze, questo muro di difesa di disvalori si sgretoli. E crei lo spazio in cui ogni persona sia rispettata. È il nostro modo non violento con cui partecipiamo alla creazione di un mondo diverso».

L'invasione lenta di uno spazio intimo

Gloria riscrive la sua storia e la racconta al pubblico con visibile commozione. Riesce perfettamente a rendere l’impercettibile, millimetrica invasione del suo spazio più intimo, psichico, spirituale e fisico: un percorso che, iniziato a metà degli anni ‘80, quando conobbe Rupnik da studentessa di medicina, mentre si stava interrogando su una chiamata vocazionale, l’ha portata – secondo il più classico dei modelli di plagio e manipolazione da parte di un direttore spirituale – a subirne le imposizioni: Rupnik aveva l'autorità del padre spirituale, del confessore e di garante del carisma della nascente comunità. «È in grado di manipolare molte persone attorno a sé creando una rete di contesto molto ampia, un contesto abusante», ricorda. E parla della propria dipendenza dal giudizio di Rupnik, della tipica altalena di conferma e svalutazione (tra “love bombing” e umiliazioni) messa in atto da lui, della perdita della propria identità, della disperazione, dei pensieri suicidari. Fino alla rivolta interiore, alla denuncia (vana), all’isolamento e alla uscita dalla comunità, nel 1994. «All’epoca ero molto ingenua – spiega Gloria – Oggi ho capito che l'abuso di coscienza permette tutti gli altri abusi attraverso la manipolazione del proprio mondo spirituale. Rupnik è entrato nel mio mondo spirituale deformando la mia relazione con Dio, nella mia psiche. Ogni mio slancio, culturale o spirituale, era utilizzato per cambiare le mie idee, il mio modo di comportarmi, persino le emozioni». «Percepivo un impoverimento della mia identità. E il mio disagio di fronte alle sue richieste sessuali era sempre riportato a una mia colpa personale: negandomi, non crescevo spiritualmente, mi diceva Rupnik. Mi sono resa conto che tutte queste dinamiche di plagio erano tese a destrutturare la mia personalità, sostituendola con una dipendente, obbediente, infantile».

Gloria è caduta in una trappola di mistificazione spirituale che ricorda molto quella dei fratelli Marie-Dominique e Thomas Philippe. Significativi gli esempi che inanella: «Mi sollevava la gonna sulle gambe dicendomi che era il gesto compiuto da Maria su Gesù per rivelare la divina umanità, in un'icona esposta nel suo atelier»; «mi diceva: “ti bacio come bacio l’altare su cui celebro l'Eucaristia”»; fino alla goccia che fa traboccare il malessere di Gloria, quando Rupnik le disse che «sentiva nella preghiera che il nostro non era un rapporto esclusivo ma che doveva essere a immagine della Trinità e che dunque dovevamo invitare una sorella a vivere sessualmente con noi per rappresentare lo Spirito Santo»; «mi sentivo in trappola e lui mi diceva che non accettavo questo rapporto perché ero egocentrica e gelosa»; e poiché «mi mancavano “determinazione e forza”, dovevo assumere un ruolo sessualmente aggressivo con l'altra persona». La porta addirittura in due cinema romani dove si proiettano film pornografici, «una “forma d'arte”» che preludeva «all'orgia collettiva» a cui aspirava e che richiedeva di superare «ogni coinvolgimento emotivo e ogni atteggiamento dolce e infantile».

Il crescente disagio di Gloria suscita l’aggressività di Rupnik, che la squalifica anche in pubblico, inibendo qualsiasi capacità di reazione. Arriva a dirle che il proprio direttore spirituale, il cardinale gesuita Tomáš Špidlík (ispiratore e mentore del Centro Aletti) lo aveva «confermato teologicamente nel suo modo di vivere la sessualità». E che se lei avesse denunciato, la avrebbe fatta passare per matta. «Stavo molto male e comincia a nascere in me l’idea della morte come unica via di fuga»: in quei momenti si prova «disorientamento, umiliazione di corpo, anima e spirito; dolore, peso nel cuore, un peso che solo Dio, l'amore, quello vero, ha potuto ancora trasformare in vita»; e poi «senso di colpa, panico, senso di impotenza, delusione, fallimento, disgusto, disprezzo per ciò che ero diventata, vergogna, rabbia», vissuti in modo così potente da anestetizzare il sentire e allontanare «dalla libertà e dal libero arbitrio».

Le protezioni. Anche del Vaticano

Siamo nel 1993 e Gloria denuncia alla superiora, che però le fa terra bruciata intorno. Va allora a parlare a p. Spiedlik, che durante la confessione la blocca («Sono affari tuoi, non voglio sentirli») e le consiglia di dare le dimissioni dalla comunità Loyola. Nemmeno una sua testimonianza per l'arcivescovo di Lubiana arriva a destinazione; nemmeno il provinciale dei gesuiti p. Lojze Bratina le crede. «Tutti hanno cercato di salvare il loro orto». Nella primavera 1994, dopo aver provato a denunciare al Capitolo, ne viene esclusa e abbandona così la comunità. I tre anni successivi sono di grave malessere e patologie.

«Il mio desiderio è rompere questo cerchio di solitudine e di silenzio assordante che vuole diventare la voce di tante di noi», conclude Gloria. «Abbiamo il desiderio che venga conosciuta la verità – anche quella processuale – e che ci venga data visibilità perché noi esistiamo, non è più accettabile essere screditate», ha detto infine Gloria. 

*Foto presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza 

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