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Al “salotto” sugli abusi la fotografia sfocata e già vecchia della CEI

Al “salotto” sugli abusi la fotografia sfocata e già vecchia della CEI

Tratto da: Adista Notizie n° 21 del 08/06/2024

41875 ROMA-ADISTA. Il tema degli abusi sui minori nella Chiesa diluito nel mare degli abusi sui minori tout-court: nella società, su internet, nello sport; un peana delle iniziative, già in corso o appena lanciate, della Chiesa italiana e del Vaticano per contrastarli, iniziative parziali, lente, astratte, farraginose, superate prima ancora di essere avviate. E l’ennesimo no a una commissione indipendente d’inchiesta.

Può essere sintetizzato così il senso del convegno organizzato il 29 maggio dalla CEI e dall’Ambasciata italiana presso la Santa Sede dal titolo “Abusi sui minori. Una lettura del contesto italiano 2001-2021”. A parteciparvi, fra gli altri: la sociologa del Censis Ketty Vaccaro, la dottoressa Barbara Strappato della polizia postale, l’avvocato Fabrizio Cacace, esperto di Diritto sportivo, il prof. Michele Riondino di Telefono Azzurro a don Fortunato Di Noto dell’Associazione Meter, il segretario della sezione disciplinare del Dicastero per la Dottrina della Fede mons. John Joseph Kennedy e la neodirettrice del Servizio nazionale per Tutela dei minori della Conferenza episcopale italiana Chiara Griffini – psicologa, già responsabile del servizio tutela minori della diocesi di Piacenza, coordinatrice del Progetto “SAFE-Educare e Accogliere in ambienti sicuri” – che succede nel ruolo a mons. Lorenzo Ghizzoni.

Annunciato a mezza bocca in chiusura del comunicato finale dell’Assemblea Cei (v. Adista Notizie n. 20/24) e con un programma rimasto sconosciuto ai più fino a due giorni prima, il convegno, del quale non si è capito bene quale fosse il pubblico destinatario, era a inviti con partecipazione in streaming su Youtube che non consentiva commenti; tra pubblico elegante e un buffet all’altezza dell’ambiente del cinquecentesco Palazzo Borromeo, aveva più l’aria di un consesso salottiero ad alto livello, di rappresentanza, che di un incontro che mettesse al centro la questione delle vittime nella loro esperienza concreta; il suo senso è stato rappresentato dall’intervento di apertura di mons. Giuseppe Baturi, segretario della Cei, che ha incensato l’impegno della Chiesa italiana contro gli abusi e la sua presunta efficacia (già smentita dai dati emersi dalla seconda “rilevazione” annuale del novembre scorso, v. Adista Notizie 40/24: ha sottolineato l’aumento del numero dei contatti ricevuti dai centri diocesani, omettendo di dire che la maggior parte di essi non consisteva in segnalazioni di casi di abuso ma in semplici richieste di informazioni) e ha auspicato «una collaborazione con le autorità civili e soggetti della società civili: università, centri studi con cui stringere alleanze». La relazione di Riondino ha invece portato acqua al mulino di Telefono Azzurro e ha lodato la Santa Sede per la tempestiva ratifica («prima dell’Italia!») della Dichiarazione dei Diritti dei minori del 1989, omettendo però di dire che la stessa Santa Sede non ha mai ratificato la Convenzione di Lanzarote del 2007, nonostante le pressioni anche del Consiglio d’Europa.

Il processo a Rupnik

Certamente le informazioni più rilevanti sono quelle date sul processo a Marko Rupnik (ex gesuita, mosaicista sloveno, accusato di abusi sessuali da numerose ex religiose) da alcuni degli intervenuti, “assediati” dai giornalisti e subissati di domande, in margine al convegno. «È iniziato veramente bene e lo stiamo seguendo passo dopo passo, tenendo conto di tutti gli aspetti, quello delle accuse contro di lui, l’aspetto delle vittime, quello dell’impatto sulla Chiesa. È delicato, in questo momento non posso dire di più», ha detto mons. Kennedy ai giornalisti. Pochi elementi, ma che intanto confermano che il processo è iniziato e che ricade effettivamente sotto il Dicastero per la Dottrina della Fede: una recente nota del papa Francesco sul trasferimento dei dossier riguardanti “adulti vulnerabili” in senso ampio aveva infatti fatto ipotizzare uno spostamento del processo a Rupnik presso un altro Dicastero. Peraltro, il prelato irlandese ha sottolineato che la strumentalizzazione di immagini spirituali a fini sessuali, utilizzata anche da altri abusatori come i fratelli Thomas e Marie-Dominique Philippe (ad esempio l’immagine trinitaria, utilizzata da Rupnik per giustificare con le sue vittime la richiesta di rapporti sessuali a tre), normalmente definita “falso misticismo”, un crimine contro la fede, non costituisce una fattispecie giuridica nel diritto canonico e dunque allo stato attuale non prevede una pena. Lo aveva già affermato, in termini generali, il prefetto del dicastero per la Dottrina della Fede card. Víctor Manuel Fernández, nella conferenza stampa di presentazione del documento sul discernimento delle apparizioni (v. Adista Notizie n. 20/24): “falso misticismo” è una categoria che, allo stato attuale, non può essere utilizzata come capo d’accusa nei processi canonici perché riveste diversi significati.

La collaborazione fantasma tra Cei e DDF

Quanto alla fantomatica collaborazione tra Cei e Dicastero che, nelle parole pronunciate dal presidente CEI card. Matteo Zuppi nel 2022, doveva consistere nella trasmissione dei 613 dossier di abusi sessuali esaminati dal Dicastero tra il 2001 e il 2021, ma della quale a novembre scorso (v. Adista Notizie 40/23) non c’era ancora traccia, essa in effetti non esiste così come era stata illustrata: ha affermato infatti Kennedy che «di per sé il nostro lavoro non è con le Conferenze episcopali, è con il vescovo singolo e con il superiore generale di ogni ordine religioso: sono loro i nostri interlocutori. Se una Conferenza episcopale vuole avere delle statistiche, possono farlo loro chiedendo alle diocesi di fornirle per avere una visione globale. Non è un lavoro che facciamo noi». Come dire che il DDF non trasmette alcun dossier, ma semmai saranno i vescovi stessi che avevano inoltrato le denunce in partenza a interloquire con la Conferenza episcopale. C’è infatti un problema di riservatezza, dice, «di segretezza, ma nel senso buono del termine, di protezione, poi spesso ci sono elementi che rientrano nella confessione, nel sigillo sacramentale». «Non dimentichiamolo, era il materiale che ogni vescovo aveva fornito a noi», afferma Kennedy, «non lo abbiamo inventato noi, abbiamo suggerito che il vescovo lo mandi a un punto centrale della Conferenza per ottenre lo stesso risultato».

E la trasparenza nei procedimenti? «È una cosa importante – afferma Kennedy – perché se io avessi un figlio abusato da un sacerdote vorrei sapere a che punto sta il caso. È una cosa su cui si discute, da tenere presente per un futuro, ma non troppo lontano». Quanto al numero dei casi di abuso (il 77% dei dossier che arrivano in Dicastero riguardano abusi), l’Italia attualmente si posiziona «nella top ten dei Paesi, ma non lo era dieci anni fa e non lo sarà tra dieci anni – spiega Kennedy – perché vedo l’impegno e gli sforzi a tutti i livelli in ogni Diocesi e in ogni ordine religioso. Un numero alto non è un cattivo segno, perché indica che la gente trova il coraggio di denunciare». «Mi preoccupo per i vescovi dei Paesi che non ci forniscono i casi», dice, «sarebbe meglio avere un camion che arriva davanti al sant’Uffizio con tutti i casi, ci mettiamo a lavorare, puliamo questa situazione, siamo come la nettezza urbana di tutta la Chiesa». In Italia, dice, «i casi non sono tantissimi ma sono presenti, c’è ora una sensibilità particolare come in Irlanda trent’anni fa».

Quanto ai risarcimenti «questa è una cosa che si decide in un processo giudiziale, non in un processo amministrativo, però molto spesso questo è già deciso nel foro civile, a livello locale, prima che arrivi da noi», si schermisce Kennedy.

Il nuovo vecchio “progetto pilota” della CEI

Venuto a mancare il contributo diretto del DDF nella trasmissione dei 613 dossier riguardanti casi di abusi sessuali alla CEI, la Chiesa italiana evidentemente ha dovuto “ricalcolare il percorso”, come fanno i navigatori. Di qui lo «studio pilota» illustrato dalla presidente del Servizio Tutela minori della Cei Chiara Griffini, che era stato a suo tempo abbozzato nello scorso novembre: uno studio che, ha detto Griffini, renderà possibile «svolgere delle ricerche che consentiranno di avere una fotografia del periodo 2001-2021»; un’analisi «qualitativa e quantitativa» nella quale saranno – come anticipato da Kennedy – i singoli ordinari del luogo a fornire i dati. Due le fasi del progetto: la prima sarà «una ricerca multidisciplinare» che a sua volta vedrà un primo momento di analisi a campione su un numero determinato di diocesi e poi un ampliamento del campione; la seconda sarà una fase «sapienziale», di analisi e riflessione. Il tutto sarà condotto da due enti «indipendenti»: l’Istituto degli Innocenti (Azienda pubblica di Servizi alla Persona di Firenze) e il Centro interdisciplinare sulla vittimologia e sulla sicurezza dell’Università di Bologna.

«I 613 dossier saranno il punto di partenza; i dati e le percezioni di un documento giuridico chiedono di essere approfonditi e implementati perché sono meglio raccolte all’interno dei contesti diocesani nei quali le cose sono avvenute», si arrampica Griffini. «Saranno gli enti di ricerca che definiranno le modalità». Nella prima fase «si chiederà a un campione di diocesi di partecipare alla ricerca nella quale verranno applicati questi strumenti sui casi che hanno raccolto tra il 2001 e il 2021». Ma il campione chi lo crea? Chi selezionerà le diocesi? «Verrà stabilito dagli istituti di ricerca, che hanno tutte le competenze professionali all’interno», glissa Griffini. Quanto ai tempi di questo studio, si auspica che sia completato entro la fine del 2025, ma i tempi potranno ampliarsi; «nella speranza che da questo studio si possano definire i criteri per poter affinare qualcosa che intercetti la realtà ancora sommersa», l’obiettivo sarebbe dunque «offrire una lettura qualitativa e quantitativa» dei dati già esistenti quanto ad abusatori, vittime e reazione della Chiesa. Un compito che sembra piuttosto limitato e parziale rispetto a quanto fatto in altri Paesi, e che taglia fuori dai suoi obiettivi l’acquisizione di dossier approdati alla giustizia civile e si ferma a quella piccola parte dell’emerso denunciata dai vescovi al Dicastero. 

*Foto presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza 

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