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Comunità Loyola: a otto mesi dalla soppressione tutto resta uguale?

Comunità Loyola: a otto mesi dalla soppressione tutto resta uguale?

Tratto da: Adista Notizie n° 23 del 22/06/2024

Sono già passati otto mesi dall’entrata in vigore del Decreto del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica con cui viene soppressa la Comunità Loyola e laicizzate le religiose che ne fanno parte. La congregazione religiosa, nata nel 1982 su iniziativa di Ivanka Hosta e dell’ex gesuita – attualmente sotto processo vaticano per abusi sessuali – Marko Ivan Rupnik, era stata eretta nel 1994 come Istituto religioso di diritto diocesano dall'Arcivescovo di Ljubljana dell'epoca, mons. Alojzij Sustar, con sede nella Diocesi di Roma. Ma nulla sembra essere cambiato: né per chi ha subìto gli abusi avvenuti al suo interno, né per chi quegli abusi li ha perpetrati.

Una comunità tossica

Secondo quanto si legge nel Decreto di soppressione (Prot. n. DD 2185-1/89, 20 ottobre 2023), del quale Adista è in possesso, firmato dal prefetto del dicastero card. João Braz De Aviz e dal segretario mons. José Rodriguez Carballo, gli abusi di potere e psicologici e uno stile di governo difensivo e tirannico da parte della prima sorella responsabile, Ivanka Hosta, datano già dagli anni ‘90, dall’epoca di una dolorosa e traumatica frattura con Rupnik. Dopo aver ripercorso le fasi salienti del faticoso percorso della comunità, il Decreto tratteggiava il quadro fosco emerso dalla visita canonica del 2019 richiesta dal vescovo di Ljubljana mons. Stanislav Zore e affidata al francescano p. Viktor Papez: «Religiose con difficoltà psichiche e psicosomatiche a causa della situazione della comunità, incomprensioni, pessimismo, depressioni, sovraccarico, paura, infantilismo, possessività, culto della personalità, élitarismo, autoritarismo».

Mentre al Dicastero continuavano ad arrivare testimonianze e accuse, sia contro Hosta che contro Rupnik, nel 2020 Zore nominava un commissario straordinario, mons. Daniele Libanori, fino a qualche mese fa vescovo ausiliare di Roma, che per due anni tentava invano di rifondare su altre basi la comunità. Così il Decreto vaticano riassume le conclusioni di Libanori (settembre 2022): «Esistenza di uno stile dispotico di governo della Fondatrice e Prima Sorella Responsabile; autoreferenzialità e dinamiche settarie del gruppo; identificazione totale e univoca con la Prima Sorella Responsabile e relazione di dipendenza da parte dei membri; dinamiche relazionali non sane, clima di sospetto e diffidenza; grave commistione tra foro interno e foro esterno; ritmo di vita poco attento alle giuste esigenze di riposo; tendenza a un moralismo esasperante, volontarismo e rigidità; accuse di abuso di coscienza e di potere; mancanza di una adeguata formazione permanente».

Di qui la decisione del Dicastero dell’ottobre 2023, più di un anno dopo, di sopprimere la comunità ai sensi del can. 584 del Codice di Diritto Canonico, nominando come delegato pontificio p. Amedeo Cencini, e p. Papez e suor Marisa Adami come suoi soci, con il compito, si legge nel Decreto, di «informare i membri che i voti, temporanei e perpetui, emessi nell'Istituto cessano al momento dell'esecuzione del presente decreto»; «stabilire, con giustizia ed equità, la destinazione dei beni appartenenti all'Istituto, secondo quanto richiesto dal diritto universale e proprio, tenendo conto della volontà dei donatori, aiutando per quanto possibile e secondo le necessità i membri nel reinserimento nella vita ordinaria»; «salvaguardare gli eventuali obblighi assunti dall'Istituto e i diritti acquisiti da altre persone, attenendosi a quanto prescrivono le norme canoniche al riguardo».

Il tempo a disposizione per portare a compimento questo passaggio è (era) di un anno, ovvero con scadenza il 20 ottobre 2024. Il che significa che mancano ormai soltanto quattro mesi. Inoltre, conclude il Decreto, «il Delegato Pontificio coadiuverà l'Arcivescovo di Ljubljana nel valutare le accuse presentate e avviare un eventuale procedimento penale nei confronti della Fondatrice e Prima Sorella Responsabile, Sr. Ivanka Hosta». Alla quale, peraltro, viene fatto divieto di «dare vita a nuove Associazioni di fedeli fondate in vista di diventare Istituti di vita religiosa o Società di vita apostolica».

Indifferenza e inerzia

Nell’applicazione del Decreto appaiono, oggi, diversi gravi problemi che danno l’impressione di un totale stallo, a pochi mesi dalla scadenza del termine. Come prescritto, prima della soppressione, dal Decreto disciplinare firmato da mons. Libanori a giugno 2023, Ivanka vive in Portogallo, nella diocesi di Braga: secondo alcune testimonianze, sembra che, nonostante il team di accompagnamento nominato dal Dicastero abbia informato della situazione i vescovi e il nunzio portoghesi, questi siano rimasti inerti. Ivanka e le 17 (ex) sorelle che la appoggiano continuano a vivere come se nulla fosse successo negli ultimi anni. Le case di proprietà della comunità, che il Decreto prevede che siano vendute per trovare fondi di sussistenza da destinare alle sorelle che, al momento della dissoluzione della comunità, vi appartenevano ancora, sarebbero al momento tutte occupate. Le stesse compagne di Ivanka sembrano non accettare l’avvenuta “laicizzazione” conseguente alla dispensa dal voto religioso, complice anche il fatto che nulla viene intrapreso dalla gerarchia ecclesiastica per facilitare questo processo. In particolare l'arcivescovo mons. José Manuel Garcia Cordeiro di Braga non avrebbe provveduto a chiudere la cappella dell'appartamento dove Ivanka vive, che era anche la sede della ex comunità, e la stessa Ivanka continua a esercitare una vita pastorale attiva in due parrocchie, nelle quale verrebbe presentata come religiosa e investita del servizio di ministro straordinario dell'Eucaristia; ha partecipato, il 15 giugno, alla 3a assemblea sinodale della Diocesi.  

Un atteggiamento di indifferenza che sembra manifestata anche dal nunzio apostolico in Portogallo mons. Ivo Scapolo che, a quanto è noto, non ha mai preso alcuna decisione in merito. Qual è, dunque, il potere reale, oltre che formale, di p. Cencini e dei due membri del team di accompagnamento alla transizione, oltre a quello di accompagnare individualmente le ex sorelle, perché il decreto sia realmente applicato? Il Dicastero resterà a guardare?

A ciò bisogna aggiungere che nel Decreto, che pur riconosce la grave responsabilità di Ivanka Hosta, non si trova alcun riferimento a provvedimenti punitivi per gli abusi compiuti, tranne il vago riferimento a un «eventuale procedimento penale». E nemmeno vi si parla di un risarcimento dei danni materiali e morali a quelle ex sorelle che, al momento dell’entrata in vigore del Decreto, erano già uscite dalla Comunità Loyola e che, per reinserirsi nella società e ricostruirsi una vita, hanno dovuto affrontare con coraggio la precarietà e situazioni gravose sia finanziariamente che psicologicamente. E che continuano a farlo, ogni giorno. 

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