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Religioni e prostituzione. Espropriate del corpo e della parola

Religioni e prostituzione. Espropriate del corpo e della parola

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 23 del 22/06/2024

Lo scorso febbraio è uscita per Vanda edizioni una pubblicazione che è un unicum nel suo genere: anzi, si tratta della prima pubblicazione in assoluto che si occupa della stretta correlazione fra prostituzione e religioni. Il titolo è molto significativo: Religione e prostituzione. Le voci delle donne, perché inquadra il tema da una “soggettiva” tutta al femminile, dando voce a quella parte dell’umanità storicamente oscurata dall’“universale neutro maschile”. È noto che i fatti diventano reali nel momento in cui vengono nominati. E per secoli alle donne è stata tolta la parola. Di questa “eliminazione” tutte le religioni istituzionali sono state fra le prime responsabili in quanto strutturate entro quel paradigma culturale del patriarcato, primo colpevole della subordinazione della donna. Le responsabilità delle diverse religioni sono tanto più grandi non solo perché sono fra le principali artefici delle “inculturazioni” sociali, ma soprattutto perché le giustificano dietro il nome di un Dio variamente nominato, ma sempre frutto di una mentalità patriarcale.

Che tale mentalità non derivi in modo necessario (causa-effetto) da fantomatiche “essenze naturali” lo dimostra tutta una serie di ricerche e di studi che attestano la presenza di società matriarcali, con al centro la figura della “Dea madre”, fino a circa 3.000 anni fa.

La prostituzione femminile diviene lo stereotipo all’interno del paradigma del patriarcato. Perché la donna privata delle sue qualità di “soggetto” diviene “oggetto” del dominio maschile, alla stregua di una “proprietà privata”.

Il libro preso in esame tratta il tema della prostituzione all’interno del buddhismo, del cattolicesimo, dell’ebraismo, dell’islam e del protestantesimo. Curatrici del testo sono Paola Cavallari, Doranna Lupi e Grazia Villa, tutte appartenenti all’OIVD, Osservatorio Inter-religioso sulle Violenze contro le Donne, sorto nel 2019 su iniziativa proprio di Paola Cavallari. I vari saggi derivano anche da una serie di webinar organizzati dall’OIVD, in particolare dal Gruppo “Prostituzione”. Ho chiesto alle tre curatrici Paola Cavallari, Doranna Lupi e Grazia Villa una breve presentazione.

Il contributo di Grazia Villa è frutto di una conversazione personale partita da una richiesta fatta in quanto avvocata ed esperta di diritto.

Grazia Villa - Nel saggio dedicato al buddhismo, mi dice, l’autrice, Maria Angela Falà, traccia una precisa distinzione fra tradizione occidentale e tradizione orientale nel trattare la gestione della prostituzione. La tradizione occidentale, di origine grecogiudaica, ha un impianto normativo legato al concetto di “legge”, mentre quella orientale cerca di agire sugli aspetti “motivazionali”, quindi anche intenzionali. Ma agire su tali aspetti produce un “florilegio” di indicazioni cui attenersi, difficili da seguire.

Grazia mi spiega che la differenza di approccio fra le due tradizioni deriva dal fatto che alla tradizione occidentale di origine greco-giudaica, che ingloba anche l’islam come terza religione abramitica, appartengono le “religioni del libro” (la Torah per gli ebrei, la Bibbia per i cristiani e il Corano per i musulmani). Il “Libro” è divenuto la base per l’elaborazione di “norme” con valore legale. Questo non è avvenuto in Oriente (India, Cina, Giappone) dove le religioni non hanno espresso uno specifico “Libro” di riferimento.

I Libri delle tre religioni abramitiche sono divenuti un punto di partenza importante per l’“ermeneutica femminista” che ne ha permesso una nuova interpretazione, partendo dall’ottica della donna.

Tuttavia, sottintesa ad ambedue le tradizioni è la questione etica. Per secoli la gestione della prostituzione è stata vista come il male minore, considerando come privilegio da salvaguardare il desiderio maschile, all’interno di una visione patriarcale che, come scritto in precedenza, vede solo l’uomo soggetto portatore di bisogni e relega la donna a oggetto, a bene. Da una parte la donna come fattrice di figli, quindi moglie e madre, dall’altra la donna come sfogo delle pulsioni maschili che una serie di norme di controllo sulla sessualità evitano di espletare in ambito matrimoniale.

L’altra grande questione, infatti, è quella legata alla sessuofobia che considera l’atto sessuale impuro, e perciò finalizzato alla sola procreazione. Ne consegue che la prostituzione femminile diviene il male minore perché incanala l’eccesso delle pulsioni maschili e tutela la bontà del matrimonio considerato come cornice del corretto perpetuarsi della specie, e soprattutto delle proprietà che, controllando la natalità, non vengono disperse.

Sul tema del rapporto fra diritto e prostituzione c’è un’altra pubblicazione, sempre per Vanda edizioni, intitolata Né sesso, né lavoro. Politiche sulla prostituzione di Daniela Danna, Silvia Nicolai, Luciana Tavernini e la stessa Grazia Villa. Le drammatiche testimonianze di donne uscite dal giro della prostituzione, riportate nei primi due saggi, indicano che la prostituzione non è mai un lavoro, anche se “il buon vecchio senso comune” lo indica come il “mestiere più vecchio del mondo”. Non essendo un lavoro, non può essere mai frutto di una scelta realmente libera. Chiaramente è necessario definire i limiti o le applicazioni del termine libertà, così abusato ai nostri giorni. All’interno di società governate da un iper neoliberismo consumistico e dalle leggi del libero mercato, sembra che tutto possa essere merce, e quindi divenire oggetto di compravendita. Anche il lavoro è ridotto a una sorta di “mercanteggiamento” in cui si vende la propria prestazione lavorativa, non più normata da leggi facenti riferimento alla giuslavoristica che equilibra e parifica i rapporti tra lavoratore e fornitore di lavoro. Ma in regime di compravendita si crea un dislivello e una situazione di sfruttamento perché c'è chi trae profitto da chi è costretto a vendere le proprie prestazioni lavorative.

Naturalmente un corpo umano può essere ridotto a merce da vendere se non è visto come “soggetto”, ma solo come “oggetto”, come cosa disumanizzata. E la donna per secoli è stata vista come oggetto, una “macchina” a uso e consumo di un soggetto maschile unico portatore di bisogni.

Paola Cavallari - Da questo punto di vista è importante il contributo per questo articolo che mi ha fornito Paola Cavallari. Scrive: «Il corpo è mio e lo gestisco io: alzi la mano chi non ha mai sentito questo slogan. Autodeterminazione era la parola che condensava questa presa di coscienza; urlarla un atto sovversivo: significava riconquistare un corpo di cui eravamo state espropriate, di cui non conoscevamo la lingua, di cui ignoravamo la grammatica e le risonanze dei sensi. In quegli anni uscì Questo sesso che non è Uno, di Luce Irigaray: il sesso non era uno, ovvero non era quello che la tradizione patriarcale ci aveva trasmesso e che avevamo interiorizzato. Il desiderio femminile era altra cosa da quello maschile, che il pensiero dominante istituiva come l’unica forma possibile di sessualità. Altro libro leggendario di quegli anni fu Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale, di Rivolta Femminile: qui Carla Lonzi insieme a compagne elaborava un altro tassello epocale della ricerca del piacere femminile. Il corpo della donna, dopo millenni in cui era stato detto e controllato dal potere maschile, dai clan patriarcali e dalle caste del clero, dai saperi scientifici, era ora nostro». «Ci si dice che il sex work è esercizio di autodeterminazione della donna, che sceglie liberamente di vendere il corpo. La conquista dell’autodeterminazione femminile sarebbe sempre salvaguardata, e le nuove forme in asse con le precedenti. Come scrivo nel libro è un inganno e va smascherato».

«Negli anni Settanta quella parola era unita al piacere della donna (mentre il piacere della sex worker è un no sense); era antitetica alla barra di separazione tra mente e corpo: l’utero/corpo non era uno strumento di cui si poteva disporre, anzi, ci si opponeva radicalmente alla scissione, alle logiche biopolitiche (sul tema della biopolitica fondamentale l’opera del filosofo Michel Foucault, ndr) strumentali, prefigurando piuttosto una riappropriazione olistica di sé nell’orizzonte di una inscindibilità di mente e corpo. L’idea del sex work si fonda, al contrario, su una disunione con il corpo, su un’ideologia di individualismo proprietario acquisitivo, da cui discende il disporre del proprio corpo, un bene economico inscritto nell’orbita della merce: la dissociazione tra mente e corpo, contro cui combattevamo, la si vorrebbe riproporre e con essa una riedizione del dominio maschile».

Doranna Lupi - L’analisi di Doranna Lupi riassume il senso del libro: «Il commercio del sesso è oggetto di un acceso dibattito a livello internazionale. Le donne che hanno vissuto la prostituzione stanno prendendo coraggiosamente la parola, dando vita a un movimento globale per l’abolizione di questa pratica. In Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione (Round Robin Editrice 2017) Rachel Moran spiega come essa rappresenti uno stupro simbolico che offende tutte le donne. Le nuove narrazioni femminili hanno dato voce e forza a chiunque voglia contribuire a questa battaglia, anche a chi, come noi, non ha vissuto direttamente questa esperienza, ma sente il bisogno di parlarne pubblicamente trovando le connessioni con i propri vissuti. Da qui nasce il Gruppo Prostituzione dell’Osservatorio Interreligioso sulle Violenze contro le Donne (OIVD) che si concentra sul ruolo delle istituzioni religiose nel perpetuare modelli patriarcali e stereotipi sessisti, attraverso teologie pensate e scritte da uomini per gli uomini. Abbiamo organizzato un ciclo di incontri dedicato a “Religioni e prostituzione. Le voci delle donne”, ponendoci e ponendo alle nostre interlocutrici, provenienti da diverse tradizioni religiose, molti interrogativi. Gli studi femministi hanno giocato un ruolo fondamentale nel mettere in luce la forza eversiva dei testi sacri, degli insegnamenti e delle parole profetiche che sottolineano la sacralità della vita e dei corpi. Le donne che sono sopravvissute alla prostituzione ci hanno invece raccontato delle violenze subite e della loro profonda scissione interiore, necessaria per superare il ribrezzo e la paura, per non impazzire. Una ferita indelebile che ha compromesso l’armonia tra mente-corpo-emozioni, considerati come il tempio della nostra spiritualità. Questo approccio rappresenta l’originalità della nostra ricerca, riportata nel libro e nata dall’incontro di donne credenti che si sono unite creando una rete basata sui valori condivisi di fedi e femminismo». 

Giusi D'Urso è laureata in Filosofia, collabora con diverse testate. Si occupa di temi ambientali, di Studi di Genere e di Storia della Scienza

*Immagine tratta dalla copertina del volume "Religioni e prostituzione. Le voci delle donne",  pubblicato da Vanda edizioni 

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