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Astensionismo e onda nera: le analisi cattoliche sul voto europeo

Astensionismo e onda nera: le analisi cattoliche sul voto europeo

Tratto da: Adista Notizie n° 23 del 22/06/2024

41892 ROMA-ADISTA. Se a destra si esulta e a sinistra Pd e AvS rivendicano i propri risultati positivi (in particolare Elly Shlein, che nonostante l’onda nera europea e il rafforzamento del centro destra italiano si è presentata nella notte elettorale assieme a tutta la segreteria del partito affermando che era «una bella giornata per il Pd», frutto di «un grande lavoro di squadra. Un risultato straordinario»), nella Chiesa cattolica il clima è tutt’altro che festante.

L’avanzata nazionalista e sovranista preoccupa, così come la decisa svolta a destra impressa dalla tornata elettorale, anche se una eterogenea maggioranza “europeista” (che dovrà però scendere a imprevedibili compromessi) ancora sembra tenere. Poi c’è il dato dell’enorme astensionismo che in quasi tutti i Paesi dell’Unione (con poche eccezioni, ad esempio la Germania) testimonia sfiducia, distanza, disaffezione alla partecipazione democratica. Una circostanza che preoccupa la Chiesa, che sull’europeismo e sulla partecipazione alla dimensione pubblica ha costruito per decenni la formazione del laicato cattolico.

Equilibri europei sempre più fragili

Avvenire, nell’editoriale di Andrea Lavazza (11/6), usa toni particolarmente preoccupati: «Più di un elettore europeo su due non ha voluto sacrificare 30 minuti del proprio tempo per recarsi ai seggi. Tra chi l’ha fatto, quasi un terzo ha scelto partiti che dell’Europa hanno una visione per lo più limitata alla condivisione di uno spazio economico (e anche qui con eccezioni a favore dei singoli Stati)». È vero che «non c’è stato un travaso di consensi a livello continentale capace di ribaltare gli equilibri attuali, e la maggioranza a Strasburgo potrebbe ripetere lo schema che ha portato all’elezione di Ursula von der Leyen cinque anni fa»; eppure, «in un contesto bellico nel quale l’Unione sembra essere sotto pressione come mai in passato e suscettibile di diventare un attore decisivo nelle crisi in atto», in ogni Paese si è votato secondo logiche interne e i temi identitari. «Ma se un messaggio da portare a casa c’è in questa tornata, esso sta nella fragile continuità che la Ue potrebbe manifestare nei prossimi mesi e anni. Nel caso (probabile) venga confermata a Strasburgo l’alleanza tra popolari, socialisti e liberali (con possibili aggiunte), l’orientamento centrista rimarrebbe a caratterizzare la legislatura che si avvia. Tuttavia, con il chiaro sottofondo che è mancato il sostegno di partecipazione e di scelta politica a favore di un’Unione più forte e capace di trovare quella politica estera e di difesa comune di cui si è provato a parlare durante i mesi precedenti». Difficile ora «immaginare un rinnovato dinamismo europeo. Piuttosto vi sarà da attendersi una maggiore cautela sui principali dossier, con i leader preoccupati soprattutto di non dare troppo spazio alla delega verso Bruxelles per non vedersi sottrarre consensi dalle forze euroscettiche pronte a cavalcare l’onda». Con lo spettro però sempre più incombente della guerra.

Poi c’è Marco Tarquinio, l’ex direttore della testata, candidatosi con il Pd su posizioni pacifiste e critiche nei confronti della NATO. Ed eletto nella pattuglia socialista e democratica che andrà a Strasburgo. Intervistato da Marco Iasevoli (Avvenire, 11/6), afferma che le sue proposte sono state presentate in maniera caricaturale dai media, in particolare quella «sullo scioglimento graduale della Nato in favore di un’alleanza difensiva “paritaria” tra Ue e Usa». «Il Pd, comunque, piaccia o non piaccia a qualcuno, si è dimostrato – dice Tarquinio – un partito plurale che sta cercando di costruire un nuovo rapporto con una società ferita da vecchie e nuove disuguaglianze e da una crescente sfiducia-astensione».

Non distante da Avvenire la lettura di Famiglia Cristiana: «I vincitori delle elezioni europee in Italia sono tre», scrive Antonio Sanfrancesco (10/6): «Il “partito” degli astensionisti, Giorgia Meloni, premier in carica e leader di Fratelli d’Italia, il principale partito della coalizione di governo, ed Elly Schlein, leader del Pd, il principale partito d’opposizione. È abbastanza curioso che dopo una tornata elettorale dove ognuno correva per sé, con il proporzionale puro, sia uscito un quadro di marcato bipolarismo con le due leader che si sono notevolmente rafforzate nei rispettivi campi d’azione».

«Il successo di Meloni e Fratelli d’Italia è chiaro anche nell’ottica europea. L’Italia, infatti, è il solo Paese in cui il governo esce sensibilmente rafforzato dal voto» e «dà una grossa legittimazione a Meloni nelle trattative che inizieranno nelle prossime settimane con gli altri capi di Stato e di governo europei per definire i ruoli della nuova Commissione europea con la “maggioranza Ursula” composta dai partiti europeisti (Ppe, Socialisti e Renew) che non solo regge ma è l’unica percorribile per avere una maggioranza a sostegno della nuova Commissione».

Episcopati in subbuglio

Anche nell’episcopato il sentimento più diffuso è la preoccupazione. A partire da quelli europei: «Una bassa affluenza alle urne, combinata con il forte aumento dei partiti nazionalisti ed euroscettici, soprattutto nei Paesi fondatori dell’Unione europea, manifesta una forte insoddisfazione per la performance dell’Ue”afferma in una nota la Comece, la Commissione che rappresenta gli Episcopati cattolici dell’Unione europea. Ciononostante, i risultati «mostrano che nel Parlamento europeo viene mantenuta una maggioranza filoeuropea. La maggioranza dei votanti ha espresso sostegno al progetto europeo e un forte desiderio di più Europa. Questa è una buona notizia e uno dei punti chiave sottolineati dai vescovi della Comece nei mesi precedenti le elezioni».

Un po’ tutte le Chiese europee sono scosse dalla tornata elettorale. In Francia e Germania soprattutto, perché l’estrema destra ha ormai raggiunto un consenso elettorale davvero inimmaginabile appena qualche anno fa.

Un editoriale del quotidiano cattolico La Croix commenta la decisione di Macron di sciogliere l’Assemblea Nazionale e di indire nuove elezioni politiche come «invito a tutti a uscire dal torpore di fronte al pericolo nazionalista che minaccia il Paese, a cominciare dalla metà di coloro che non hanno partecipato al voto». «La decisione è seria e pesante. Si apre un momento di chiarimenti essenziali. Spetta ad ogni francese fare la scelta più giusta».

«L’Unione Europea è uno dei più grandi progetti di pace della nostra storia», afferma una dichiarazione congiunta dei vescovi di Dresda-Meißen, Erfurt, Görlitz, Magdeburgo e Berlino, le diocesi della Germania dell’Est, alla luce di un voto europeo: «Ora tocca a tutti noi», scrivono i vescovi, «ai rappresentanti dei partiti democratici, ma anche a noi come Chiesa cattolica e a ciascuno e ciascuna di noi, rafforzare la coesione e i legami, e non lasciarci scoraggiare». E concludono: «Il successo della nostra democrazia e il futuro dell’umanità sono nelle nostre mani».

In Italia sono state poche le voci dell’episcopato a commentare i risultati elettorali. Tra queste, mons. Franco Moscone, arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo. «Il non voto ha vinto al primo turno con la maggioranza assoluta!», ha affermato in una nota (10/6). «L’astensionismo ha ottenuto vergognosamente la maggioranza con un risultato negativo “storico”, evidenziando così quella crescente disaffezione verso le Istituzioni, in particolare quelle europee, se non addirittura verso l’esercizio democratico del voto».

Ricostruire strumenti di partecipazione

Più variegato il quadro dell’associazionismo cattolico. «Prima di entrare nel merito di qualsiasi analisi del voto per il rinnovo del Parlamento Europeo – ha detto il Presidente nazionale delle Acli Emiliano Manfredonia – non possiamo far finta di niente rispetto alla nuova e ulteriore crescita del dato sull’astensionismo, che per la prima volta nel nostro Paese, in una tornata elettorale di carattere nazionale, scende sotto alla soglia del 50% dei votanti». «Si potrebbe attribuire questo calo a un disinteresse per le questioni europee, se non fosse che nel nostro Paese questa tendenza pare essere costante, e configurare un vero e proprio allarme democratico, cui va data risposta attraverso una seria riforma del sistema politico che promuova la partecipazione e la centralità dei cittadini».

Per le Acli le strade sono due: rinnovare la vita dei partiti «nel segno della trasparenza, anche con la reintroduzione del finanziamento pubblico», e cercare di «coinvolgere nuovamente i cittadini nelle decisioni politiche, creando delle assemblee partecipative i cui pareri siano vincolanti per i partiti stessi».

Sulla stessa linea l’Agesc (Associazione genitori scuole cattoliche), che in una nota diffusa il 12 giugno suggerisce una chiave di lettura dell’astensionismo: quella «della sempre minore rilevanza dei cosiddetti “corpi intermedi”, che costituiscono l’articolazione e i tendini stessi del corpo democratico».

Massimiliano Costa, presidente del Masci (Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani) commenta così sul Sir (12/6) l’esito del voto: «Chi è ai margini della società e si sente escluso dalle dinamiche della “normale convivenza” non ritiene il voto cosa importante che possa cambiare la propria vita e pertanto non si pone proprio il problema se andare o no, e abbandona le urne». Così anche Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum del Terzo Settore, per la quale «Bisogna stimolare, valorizzare quanto più possibile l’esercizio della democrazia perché quando a vincere è l’astensionismo, perdiamo tutti». 

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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