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“Il vescovo di Roma” e l’ecumenismo. Il papato, ministero di comunione

“Il vescovo di Roma” e l’ecumenismo. Il papato, ministero di comunione

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 25 del 06/07/2024

13 marzo 2013: e venne un papa di nome Francesco. Con la sua elezione, il popolo tutto del dialogo ecumenico – reduce da stagioni stagnanti più che da attese realizzate – risolleva il capo, riprendendo a sperare. Grazie a segnali emersi all’impronta, fra cui il suo strategico autodefinirsi vescovo di Roma, prima di papa: perché si è papi in quanto vescovi della Chiesa che presiede nella carità tutte le Chiese (Ignazio d’Antiochia, Lettera ai Romani I,1), come accennò lui stesso, e non viceversa. Un’opzione carica di sensi nella grammatica dell’ecumenismo, se le modalità con cui si percepisce il primato petrino sono a tutt’oggi fra gli ostacoli più ingombranti in vista dell’unità tra le Chiese.

Si rilanciava così il fatto che si tratta di un ministero di comunione: non a caso la sottolineatura di Bergoglio sarà colta dai patriarchi delle Chiese ortodosse – dal patriarca ecumenico Bartholomeos in particolare – come chiaro indizio di apertura a una diversa modalità di esercizio del servizio papale. E se il fatto che il primato petrino stesse al cuore delle divisioni fra cristiani l’aveva ammesso Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut unum sint (1995), la prima interamente dedicata all’ecumenismo, era stato già Paolo VI, nel ‘67, ad averlo con parresìa definito «il più grave ostacolo» per la riunificazione dei cristiani.

Il 13 giugno scorso, il Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani ha diffuso un denso documento intitolato Il vescovo di Roma, in cui si riassumono le risposte di molte Chiese cristiane alla questione, lanciata da papa Wojtyla appunto nella Ut unum sint. In cui, dopo aver chiarito che «la via ecumenica è la via della Chiesa» (7), aveva invitato i responsabili delle altre Chiese e i loro teologi «a instaurare con me un dialogo fraterno, paziente, nel quale potremmo ascoltarci al di là di sterili polemiche, avendo a mente soltanto la volontà di Cristo per la sua Chiesa, per trovare una forma di esercizio del primato papale che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova» (96). Prima, del resto, ammetteva di essere «convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle comunità cristiane» e di aver deciso di ascoltare «la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova» (95).

A quasi trent’anni da quelle parole ci troviamo in una fase critica dell’esperienza cristiana, soprattutto in Europa, ma l’urgenza dell’unità della Chiesa non è venuta meno, anzi è aumentata proprio per il rischio di offrire, nella divisione, una controtestimonianza grave al mondo; inoltre, la richiesta di trovare una modalità di esercizio del ministero petrino condivisa dalle diverse Chiese emerge con forza dai dialoghi ecumenici in corso. Pochi mesi dopo la rinuncia al papato di Benedetto XVI (che, sostiene a buon diritto l’attuale documento, ha «contribuito a una nuova percezione e comprensione del ministero del vescovo di Roma»), nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, autentico programma del pontificato, Francesco riprendeva la richiesta del papa polacco, aggiungendo peraltro: «Siamo avanzati poco in questo senso. Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello a una conversione pastorale» (32). Due anni dopo, nel discorso per il cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi, il 17 ottobre 2015, manifesto di una Chiesa in uscita nonché costitutivamente sinodale, preciserà che «l’impegno a edificare una Chiesa sinodale è gravido di implicazioni ecumeniche», dicendosi «persuaso che, in una Chiesa sinodale, anche l’esercizio del primato petrino potrà ricevere maggiore luce».

Questa la cornice in cui inserire Il vescovo di Roma, in cui si valorizza particolarmente la dimensione sinodale: che resta tuttavia da definire appieno e, soprattutto, da applicare realmente nel vissuto ecclesiale quotidiano. Un testo che si presenta dichiaratamente come materiale di studio, e che, pertanto, avrà bisogno di tempo e di occasioni opportune per essere approfondito e discusso adeguatamente. Per questo sarà importante che della cosa si rifletta a livello di base, nelle parrocchie e nelle comunità, uscendo dalla falsa convinzione secondo cui l’ecumenismo sarebbe argomento per specialisti e teologi; e che divenga materia di incontri ecumenici sul piano locale. Il nuovo documento, infatti, osserva che «a differenza delle polemiche del passato, la questione del primato non è più vista semplicemente come problema, ma anche come opportunità per una riflessione comune sulla natura della Chiesa e sulla sua missione nel mondo». In effetti, raramente, come nell’ultimo biennio, si è discusso pubblicamente di ecumenismo, sulla scia della catastrofe ucraina: prese di posizione, articoli sui quotidiani, molti interventi in rete, il più delle volte per denunciarne la profonda crisi; talvolta la conclamata inutilità o persino la dannosità, sullo sfondo dello scenario bellico.

Su Repubblica è comparso un titolo definitivo (“La fine dell’ecumenismo”, il 27 aprile 2022, a firma di Alberto Melloni, che riferiva in modo preoccupato delle macerie in cui sarebbe ridotto «quel desiderio di unità visibile che aveva percorso il cristianesimo da fine Ottocento»); e non sono mancate le tonalità ironiche al limite del sarcasmo, ad esempio quando si è tratteggiata la controversa figura del patriarca di Mosca Kirill. Bene, ecco un’occasione non per dimenticare le ferite oggettive, ma per rilanciare un dibattito alto su un tema chiave. Senza dimenticare che, ha precisato rispondendo alle domande della stampa alla presentazione del documento il cardinale Kurt Koch, presidente del Dicastero, «per tutti i cristiani è chiaro che il capo della Chiesa è Cristo». E che, ha proseguito, «il primo compito del vescovo di Roma» è «l’obbedienza a Cristo e far sì che tutta la Chiesa faccia la stessa cosa». 

Brunetto Salvarani, saggista, esperto di dialogo ecumenico e interreligioso, insegna Teologia del Dialogo alla Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna 

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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