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Africa e cristianesimo. Il valore comune del camminare con l’altro

Africa e cristianesimo. Il valore comune del camminare con l’altro

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 32 del 21/09/2024

In ascolto di Shakulwe Konda Joseph, un saggio congolese, della tribù dei Bashi. Ha 94 anni e vive a Bukavu nel SudKivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Cristiano dalla gioventù, ha però sofferto dell’imposta rinuncia alla sua cultura d’origine, di cui ora sta cercando insieme ad altri di far conoscere i valori presso le nuove generazioni, come via per una rinascita del suo Paese.

Per quali vie e a quale scopo trasmette oggi il patrimonio del passato alle nuove generazioni?

Nel nostro gruppo, ogni giorno, a turno, animiamo dei programmi su quasi tutte le radio della città. Usiamo le lingue mashi, swahili e francese perché intendiamo rivolgerci a tutti. Il problema è riuscire a pagare gli spazi radio che ci vengono dati. La domenica, parliamo alla gente che si incontra per la messa.

Qual è il vostro obiettivo?

Vogliamo far conoscere al popolo i nostri valori culturali. È Dio che ha voluto che siamo ciò che siamo, con i valori che ci ha dato, così come ha voluto gli altri popoli. Dio ha creato i popoli diversi fra loro e vuole che vivano insieme: è quello che stiamo cercando di promuovere e che si chiama interculturalità.

Dobbiamo sapere ciò che altri popoli sono, ciò che sono stati e ciò che diverranno se mantengono i loro valori culturali. Raccontiamo ai giovani come questo è stato fin dalla creazione e loro lo racconteranno ai loro figli: è la perpetuazione della cultura, della vita. La Bibbia, il Vangelo è di perenne attualità e lo insegniamo senza stancarci, insieme ai nostri valori. Quando abbiamo un’idea di ciò che sono i valori contro il caos, allora possiamo costruire un percorso verso la nostra felicità.

Si dice che è tempo di superare le tribù per costruire l’unità del popolo. Che ne pensa?

Come si può costruire senza una base? Sono filosofie sbagliare, che non riconoscono che Dio ha creato l’essere umano e i popoli. Noi non abbiamo il permesso di creare: dobbiamo piuttosto perpetuare la creazione di Dio, senza interporci. Dio ci manda a continuare il suo lavoro, ma è lui che lo fa.

In che modo i popoli possono vivere bene insieme?

Rispettandosi reciprocamente e vivendo i valori che Dio ha dato loro. Bisogna sommare, moltiplicare questi valori, anziché dividere o sottrarre. Noi Bashi conosciamo due sole operazioni aritmetiche: l’addizione – di valori, competenze, virtù – e la moltiplicazione, degli sforzi, dei valori esistenti. Così il mondo sarà migliore, come Dio l’ha voluto.

«Andate per il mondo, fate un mondo migliore, dove i leoncelli mangino insieme agli agnelli!»: ecco la missione che Dio ha dato a noi tutti, la sua volontà. Non abbiamo il mandato di togliere, di diminuire ciò che ha creato, ma di continuarlo. Se il leone e la pecora bevono e mangiano insieme, ciò significa che si è fatto un mondo migliore.

In Occidente molti pensano che l’Africa soffra di guerre etniche. È vero?

Le guerre di cui soffre oggi l’Africa non vengono dalle differenze tra etnie e tribù. Guerre simili, per sterminare l’altro, sono cominciate da quando l’Occidente è entrato in Africa e continuano fino ad oggi: ecco la divisione, la sottrazione, importate dall’Occidente. Bisogna dirlo, per evitare nuove guerre.

Prima che l’Occidente scoprisse il nostro Continente, le tribù vivevano in armonia, secondo la volontà di Dio, componendo insieme: costruivano ponti per incontrarsi fino ad arrivare dove non si era ancora giunti, grazie all’amicizia, a questa composizione d’insieme. C’erano sempre, come ovunque, frizioni e conflitti, ma le tribù non si sono fatte guerre a oltranza.

I re Magi, che non erano ebrei, sono andati a vedere Gesù, il che dimostra che i popoli erano contenti di incontrarsi e di comporre insieme. È la missione prima che Dio ha dato agli esseri umani: di essere re Magi, uscendo da casa loro per andare verso l’altro. Non si fa amicizia restando a casa propria! Noi tribù Bashi incontriamo la tribù Barega e ci sposiamo presso di loro. La missione è andare verso l’altro, costruire l’amicizia, crescere in una comunità cosmopolita; fare l’addizione, la moltiplicazione e non la divisione.

L’Occidente sottolinea la competizione…

La mentalità dell’Occidente spinge a essere i primi e che nessuno stia davanti a noi. Dalla competizione – prima io, solo io, per gli altri non c’è posto – nascono le guerre. Dio non ha voluto questo, quando ha detto: «Andate per il mondo, fate un mondo migliore!» Che non ci siano grandi che mangiano i piccoli, sangue versato, uccisioni… Il demonio ha messo altro nel mondo affinché si faccia un mondo satanico.

Invece in Africa non c’è l’idea di cancellare l’altro per mettersi davanti, ma piuttosto l’idea di camminare insieme. Siamo un popolo con gli altri, per essere nell’insieme ciò che Dio ha creato: il mondo. Ogni parte di questo mondo incontra l’altra, ed è quello che è chiesto. Da noi si dice: «Rhugendabanga burhaliboba»: essere insieme con qualcuno in viaggio non è una debolezza, ma una vittoria, una forza. Per questo, quando lasciamo casa nostra per andare verso l’altro, abbiamo conquistato il mondo. Abbiamo tutti ricevuto la stessa missione, l’Occidente come l’Africa.

Lei fa costante riferimento alla Bibbia… La sua attività di volgarizzazione dei valori è motivata anche dalla fede?

Cultura e fede sono la stessa cosa, non è permesso separarle: Dio è universale. Noi abbiamo fede in un solo Dio, da cui abbiamo la vita. Quando volgarizziamo i nostri valori culturali, scopriamo che li abbiamo in comune con altri popoli, almeno con quelli che hanno l’idea di Dio: fare solo il bene, essere con il prossimo come noi vogliamo essere con Dio. L’amore di Dio e del prossimo: ecco la lampada del nostro insegnamento.

Quand’era giovane, per essere battezzato ha dovuto rinunciare alle sue radici culturali. Eccola oggi, alla sua età, felice di essere cristiano. Come mai?

«Diventare cristiano» non è un linguaggio appropriato: siamo cristiani da tanto, siamo un popolo che crede in un solo Dio. Già da prima dell’arrivo del cristianesimo avevamo questa fede. Da quando mio padre e mia madre mi hanno ricevuto – col permesso di Dio –, sono entrato in questa fede e vi resterò per l’eternità. La mia fede in un solo Dio nessuno può togliermela, anche se ci sono state fluttuazioni. Per nulla al mondo posso cedere il posto del nostro Dio a qualcun altro.

A un certo momento vi hanno parlato di un certo Gesù che i vostri antenati non conoscevano. Rappresenta qualcosa nella sua vita?

Si comprende che Dio, che noi conosciamo come autorità superiore, ha anche altri collaboratori che noi non conoscevamo. È ciò che si chiama «messaggio rivelato»: ci vengono rivelate cose che sono le benvenute. Ci è stata rivelata la presenza di Gesù, che non era conosciuto anticamente come ci è stato qui insegnato, e noi l’abbiamo accolto, come hanno fatto altri Paesi. Io credo in Gesù: che esiste, che è presente, nel modo in cui ce lo hanno insegnato, il Figlio di Dio, il Figlio del Re. Sono convinto che quanti l’hanno scoperto non hanno sbagliato strada. Che egli sia lodato.

Che cosa si attende quando lascerà questo mondo? Qual è la sua speranza?

Ho la speranza che il mondo continui, anche se io sarò partito. Io vado verso Colui che mi ha mandato.

Spera di incontrare un giorno gli antenati che le hanno lasciato tanti valori?

Certamente, li incontrerò! Un missionario d’Africa che aveva vissuto a lungo fra di noi, lasciando Bukavu ci ha detto: «Parto dopo sessant’anni vissuti in Congo. Sono malato, morirò presto e andrò in Paradiso. Se non vi trovo i Bashi, torno indietro». Aveva vissuto bene con i Bashi, un popolo credente in Dio. I nostri antenati non sono proclamati santi nella Chiesa ma noi li riconosciamo come tali, perché hanno risposto «presente» all’appello di Dio, si sono comportati bene, hanno svolto bene il loro compito e Dio non è stato scontento di loro: certamente vivono presso Dio. Quelli che hanno fatto piacere agli esseri umani qui, hanno fatto piacere a Dio.

La forza per vivere la loro fedeltà, dove l’hanno trovata?

È Dio che gliel’ha data, non l’hanno acquistata. Penso che fare il bene sia una grazia. Certi rifiutano: disorientati dall’abuso, scelgono la cattiveria. Coloro che uccidono gli altri, mangiano il pane altrui, distruggono ciò che è buono, già qui sono declassati, dichiarati «cattivi» e non vedranno il volto di Dio. Sono dei cattivi «bazimu» (spiriti), mentre i buoni «bazimu» sono dei santi. Tra tutte le scienze che l’essere umano può e deve possedere la principale è la scienza del vivere in modo da fare il meno male e il più bene possibile. Gesù l’ha detto: l’amore di Dio e l’amore del prossimo.

Si sente un uomo felice?

Sono felice in tutte le condizioni, negative o positive, perché Dio ha voluto che ci fossi. Svolgo il mio compito. Si è frustrati per certe cose, ma passa. Camminiamo gradino dopo gradino verso il nostro fine. Un uomo felice è un uomo con gli altri. 

Teresina Caffi è missionaria saveriana

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza

 

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