Induismo e crisi climatica: non nuocere, perché tutto è uno
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 43 del 14/12/2024
Viviamo un’epoca di grandi sommovimenti in cui la natura appare sottoposta con ritmo esponenziale a fenomeni distruttivi. Il contesto appare drammatico, così drammatico che molti preferiscono adottare la politica dello struzzo, con un atteggiamento impotente di rassegnazione. La logica dominante del profitto immediato fa poi il resto.
Le ricerche scientifiche ci dicono che è stato superato il livello di guardia, la plastica ci sta sommergendo, sono sempre più frequenti le inondazioni in molte zone, mentre altre regioni del mondo soffrono la siccità. Il genere umano rischia l’estinzione, mentre il resto del pianeta sembrerebbe poter sopravvivere in futuro con nuovi equilibri. Le neuroscienze informano che l’aumento della temperatura ha già inquinato le nostre menti, provocando ansia, stress e aggressività (Sisodiya, 2024). Anche le epidemie appaiono più frequenti e non creano, come invece si sperava, nuove forme di solidarietà. Dopo la pandemia sono arrivate le guerre, guerre devastanti e tuttora in corso.
Tutto appare fuori controllo e non serve la nostalgia dei tempi in cui la vita era più semplice, magari più povera e meno nociva nei confronti dell’ambiente. I più anziani ricordano che i consumi alimentari di un tempo non producevano tanti rifiuti come ora, si andava dal lattaio con la propria bottiglia di vetro per comprare il latte, non si usava la plastica per i rifiuti, non esistevano gli allevamenti intensivi, ma nessuno oggi vorrebbe rivivere quegli anni.
Cosa dicono e possono fare le religioni in questo difficile contesto?
Per quanto riguarda l’induismo, è da sempre nel suo DNA l’amore e il rispetto della natura. Fondamento del pensiero induista è il Dharma, quell’insieme di norme universali ed eterne, di doveri, di giuste azioni che sostengono l'armonia dell’universo. Si dice nell’induismo che se soffre il più piccolo essere ne soffrirà il cosmo intero.
Non nuocere
Ahimsa Paramo Dharma, recita il Veda: ahimsa, il non nuocere, è il Dharma, il dovere supremo. La non violenza protegge la nostra vita e quella di ogni altro essere, e rende la nostra esistenza migliore e più felice.
Sappiamo che l’avidità, l’eccessivo materialismo e la cecità, ovvero l’ignoranza, si frappongono al Dharma. L’induismo è un richiamo all’etica nei comportamenti: ottenere i giusti mezzi per sopravvivere, non rincorrere infiniti desideri di possesso, e soprattutto, vale sempre la pena di ripeterlo, attenersi al principio del non nuocere.
Nello yoga, Patanjali pone appunto come premessa alla pratica l’attenzione a yama e nyama, i corretti comportamenti.
Se esiste come pensiamo un’unica energia vitale che permea l’universo e unisce il mondo umano, animale e vegetale, bisognerebbe nutrire un naturale sentimento di rispetto per ogni cosa. Tutto è sacro. L’armonia è essenziale perché tutto è interrelato, in un indissolubile legame di interdipendenza.
Questa sensibilità dona allo stesso tempo felicità a ognuno, la felicità duratura, non quella momentanea che ci viene dal piacere effimero, ma sat cit ananda, l’aver sperimentato (non solo compreso intellettualmente) la presenza della Realtà, la Verità (Sat), Coscienza, o Dio, o Atman. Dio è uno anche se è chiamato con molti nomi. È per l’induismo la sola vera Realtà che non cambia e perciò solo può dirsi tale, che è potenzialmente in tutti gli esseri anche se questi la potranno diversamente percepire. È la Realtà ultima, l’Atman, l’Assoluto, l’unica realtà davvero esistente e onnipervadente che ogni essere umano ha il privilegio di poter scoprire dentro di sé. È il fine cui mirare.
Tutto è sacro
Tutto è uno, tutto è sacro per l’induismo, quindi, siamo una sola famiglia, Vasudaiva Kutumbakam, recitano le scritture.
Questa conoscenza era presente nel Veda e nell’insegnamento dei maestri, esisteva quindi sin dall’antichità più remota. La ritroviamo anche nell’antica medicina ayurvedica, basata sulla corrispondenza tra universo e corpo umano, per cui non c’è distinzione tra salute dell’uomo e salute del mondo.
Questo sentimento di unione e di sacralità è ben descritto anche nelle biografie del Mahatma Gandhi. In particolare, si può ricordare un episodio della vita di sua moglie, Kasturba (in Ba. L’altra metà della non violenza, Laksmi Edizioni). Durante un periodo di grave ma lattia di Gandhi, causata da uno dei suoi digiuni, vediamo Kasturba assorta in profonda meditazione accanto a una pianta di tulsi, il sacro basilico indiano. Il tulsi, simbolo di felicità e cura per i disturbi respiratori è, in questa scena familiare, fonte di ispirazione, di sostegno, di amicizia.
Il rapporto con il mondo vegetale è profondo e intimo nell’induismo. Tra le diverse fasi della vita tradizionalmente previste, l’ultima è quella in cui ci si ritira nella foresta, rifugio e luogo energetico ideale per la meditazione.
Molto illuminante è un saggio di Yogasri Paramahamsa Svami Yogananda Ghiri (nella rivista Dipavali dell’Unione induista italiana, ottobre 2022) che descrive le antiche classificazioni di alberi e piante nell’induismo: boschi che favorivano la pace mentale per i saggi (i rishi) o donavano spazio per i rituali, o esprimevano dei veri e propri sentimenti.
Le piante: paradigmi relazionali evoluti
Anche studi recenti (si veda per tutti Stefano Mancuso) portano a credere nella eccezionale vitalità e capacità relazionale delle piante. Da Darwin in poi il pensiero occidentale ha dovuto cambiare impostazione e oggi sappiamo che le piante si muovono, hanno più organi di senso di noi, hanno più capacità di sopravvivenza di noi, intrattengono relazioni di scambio e reciproco sostegno con le altre piante e con gli animali. Le piante, considerate per troppo tempo oggetti inanimati, sono invece esempi di paradigmi relazionali evoluti, non verticistici, ma tali da utilizzare modelli orizzontali di rapporto, modelli che si sono rivelati più efficaci ed efficienti anche negli studi manageriali contemporanei. I modelli inclusivi, collaborativi sono infatti più forti e duraturi di quelli competitivi, che invece ragionano sul bisogno di affermazione nel breve periodo e alla fine distruggono anziché creare. Le piante, inoltre, hanno dalla loro parte il fatto di “essere maggioranza”, infatti abitano il pianeta quasi interamente. La presenza umana è percentualmente quasi irrilevante rispetto alla loro.
Le iniziative in difesa dell’ambiente
Il Dharma anima le iniziative dell’Unione Induista Italiana–Sanatana Dharma Samgha, che soprattutto a partite dal 2012, grazie all’Intesa realizzata con il Parlamento italiano, ha potuto utilizzare le risorse dell’8xmille per numerosi progetti in difesa dell’ambiente, oltre che nel campo sociale. In tal modo è stato possibile sostenere associazioni impegnate nella protezione di animali altrimenti destinati al macello; lanciare campagne di eliminazione della plastica nella ritualistica dei templi delle varie comunità; distribuire fiori in campagne di sensibilizzazione contro la violenza e i femminicidi; aiutare i detenuti a vivere meglio la detenzione attraverso corsi di agroecologia; promuovere nei giovani l’acquisizione di comportamenti proattivi nel proteggere la biodiversità e rigenerare l’armonia della Terra. È ritenuta sempre molto utile, inoltre, la piantumazione di alberi. Un verso del Veda così recita: «Se vuoi godere per centinaia di anni dei frutti e della felicità della vita allora sistematicamente pianta alberi».
Risvegliare le coscienze
L’azione, il “fare” in una direzione positiva ed etica assumono quindi un’importanza fondamentale. Le religioni hanno il cruciale compito di risvegliare le coscienze delle persone, seminando sempre valori positivi e ponendosi come esempi viventi di ciò che è possibile fare per migliorare se stessi in primo luogo e di conseguenza ciò che ci circonda.
Pur in quel quadro fosco che abbiamo delineato all’inizio di questo scritto, e che troppo spesso viene propagato con allarmismo dai media producendo così una generale rimozione del problema, si può e si deve essere invece parte della soluzione del problema stesso.
Le religioni hanno il compito di collaborare insieme, di essere agenti di pace, di trasmettere valori positivi. In Italia l’Unione Induista Italiana partecipa da molti anni al dialogo interreligioso, con proprie iniziative e insieme ad associazioni come ad esempio Religions for peace; è presente ai Tavoli interreligiosi e attiva nel dialogo intermonastico. Nella conoscenza e comprensione reciproche già si crea un terreno fertile per il rispetto di tutto ciò che è apparentemente diverso da noi ma che in realtà ci unisce profondamente.
Lilamaya Devi è dell’Unione Induista Italiana (UII) da oltre un decennio. Per la Laksmi Edizioni ha curato diverse pubblicazioni e scritto “Ba. L’altra metà della non violenza”, testo dedicato alla vita di Kasturba Gandhi. Partecipa al dialogo interreligioso nel gruppo Donne di fede in dialogo di “Religions for peace” ed è attualmente vice presidente del Tavolo interreligioso di Roma. Collabora inoltre all’organizzazione di eventi per l’UII.
*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza
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