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Sempre più guerra, sempre più armi, sempre più soldi. Il rapporto del Sipri
Tratto da: Adista Notizie n° 43 del 14/12/2024
42063 STOCCOLMA-ADISTA. Affari d’oro per le fabbriche di armi. Le prime cento aziende armiere del mondo, nel corso del 2023, hanno guadagnato 632 miliardi di dollari, con una crescita del 4,2% rispetto all’anno precedente. È quanto emerge dai nuovi dati pubblicati a inizio dicembre dallo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), importante istituto di ricerca indipendente sulla pace. «Una tendenza probabilmente continuerà anche nel 2024», spiega Lorenzo Scarazzato, ricercatore del Sipri. Infatti i ricavi «non riflettono ancora pienamente l’entità della domanda e molte aziende hanno lanciato campagne di reclutamento, lasciando intendere di essere ottimiste sulle vendite future».
La parte del leone l’hanno fatta gli Usa: nella top 100 ci sono ben 41 aziende statunitensi, che hanno registrato ricavi per 317 miliardi, la metà del totale (e con un +2,5% rispetto al 2022). L’Europa segue, sebbene rallenti il passo (ma un forte incremento si era verificato nel 2022): le 27 aziende europee presenti nella top 100 hanno incassato 133 miliardi, appena lo 0,2% in più rispetto all’anno precedente. La bassa crescita ha una spiegazione: le aziende europee produttrici di sistemi d’arma complessi, infatti, hanno lavorato per lo più su contratti più vecchi, i loro ricavi quindi non riflettono l’afflusso di ordini. «I sistemi d’arma complessi hanno tempi di consegna più lunghi», spiega ancora Scarazzato. «Le aziende che li producono sono quindi più lente nel reagire ai cambiamenti della domanda. Questo spiega perché i loro ricavi da armamenti sono stati relativamente bassi nel 2023, nonostante un’impennata di nuovi ordini», i cui effetti evidentemente si faranno sentire più avanti.
Crescita vigorosa invece per le aziende con sede in Asia e Oceania (23 nella top 100): hanno registrato una crescita del fatturato del 5,7% rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 136 miliardi di dollari. A guidare la pattuglia delle aziende asiatiche c’è la Corea del Sud (4 aziende nella top 100 che hanno registrato un aumento complessivo del 39%) e il Giappone (5 aziende nella top 100 hanno fatto segnare un +35%). «La forte crescita delle entrate nel settore degli armamenti da parte delle aziende sudcoreane e giapponesi riflette il quadro più ampio degli aumenti militari in corso nella regione in risposta all'aumento della percezione delle minacce», spiega Xiao Liang, ricercatore del Sipri. «Le aziende sudcoreane stanno anche cercando di espandere la loro quota del mercato globale delle armi, compresa la domanda in Europa legata alla guerra in Ucraina».
A crescere in maniera importante sono anche le aziende con sede in Russia e in Medio Oriente, segno tangibile che le guerre fanno incassare, e tanto: le due aziende russe incluse nella top 100 hanno visto il loro fatturato aumentare del 40% (per un fatturato di oltre 25 miliardi); le tre turche hanno fatto segnare un incremento del 24% (6 miliardi) grazie soprattutto alle esportazioni indotte dalla guerra in Ucraina; infine i ricavi delle tre aziende israeliane presenti nella top 100 hanno raggiunto la cifra record di 13,6 miliardi di dollari. «Una crescita che sembra destinata a continuare», spiega Diego Lopes da Silva, ricercatore Sipri: «oltre a registrare entrate record nel 2023, i produttori di armi israeliani stanno prenotando molti altri ordini mentre la guerra a Gaza continua e si espande».
«Siamo dentro una spirale bellicista. È in atto un tentativo finanziario, economico, politico e anche culturale di rendere la guerra più accettabile: una cosa un po’ brutta, ma un grande affare che fa guadagnare punti di Pil in un periodo di crisi economica», dice don Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax Christi, intervistato dall’Osservatore Romano (3/12). La società civile, prosegue, «prima prendeva atto della tragedia della guerra e tutti noi eravamo convinti che non si può preparare la pace preparando la guerra», mentre oggi sembriamo quasi assuefatti e la voce instancabile di papa Francesco, «che nell’indire il Giubileo ci invita a sognare un mondo senza armi», rischia di rimanere isolata. «Questo aumento sarà ancora più misurabile nei prossimi anni», spiega sempre al quotidiano della Santa sede Francesco Vignarca, di Osservatorio Mil€x e di Rete italiana pace e disarmo. «L’aumento del fatturato riguarda al momento soprattutto le aziende che producono “strumenti immediati”: per esempio i produttori di munizioni, che hanno venduto in Ucraina e non solo, hanno registrato un grande rialzo. I sistemi d’arma più complessi, invece, hanno bisogno di più tempo per essere sviluppati. Ma l’aumento è ormai strutturale e quindi lo vedremo tantissimo anche nei prossimi anni».
Il 10 dicembre, giornata che ricorda la Dichiarazione universale dei diritti umani da parte dell’Assemblea delle Nazioni Unite, in tutta Italia si attiveranno iniziative diffuse per il disarmo. «È un’occasione per denunciare tutti insieme che i diritti umani vengono calpestati da questa ondata tragica delle spese militari», conclude don Sacco: dobbiamo fermare questi investimenti e questa produzione, «la giornata del 10 dicembre ci ricorda che le persone non sono mai effetti collaterali delle guerre e, insieme ai loro diritti fondamentali, devono essere rimesse al centro».
*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza
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