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Sinodo: flop, boicottaggio o inizio?
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 21 del 31/05/2025
Termino di rivedere queste note nel giorno in cui papa Francesco ha lasciato questo mondo. Se siamo tutti più poveri e smarriti, siamo anche grati al Signore che in lui ha rivelato la Sua presenza nella Chiesa e nel mondo degli esuberi umani.
Una parola
Per renderci conto di cosa è un “Sinodo” e di cosa intendeva fare papa Francesco ampliandolo a proposta di “stile sinodale”, ritengo importante accennare alla sua preistoria, riconducibile ai primi secoli cristiani, quando synodos era pressoché sinonimo di “Chiesa”, di “concilio”, di “adunanza popolare” dei fedeli. Vi ritornerò in seguito, ma ritengo ancora più utile rifarci alla sua storia, nei tempi più vicini a noi.
E poi arrivò il Vaticano II...
Forse i più anziani tra i cristiani di oggi ricordano la ventata di speranza che agitò “la Chiesa dal basso”, il sentire popolare, negli anni ‘50 del secolo scorso. Finita la guerra, mentre tutto era in discussione per ricostruire un’umanità devastata, di una cosa si era certi, che non si poteva continuare a vivere come prima, come se nulla fosse successo, come se non fossero morti 60 milioni di persone, come se a morire non fossero stati uomini di ogni colore e popolo, come se non fosse esistita la “bomba” e il massacro di Hiroshima e Nagasaki, come se non fosse stato liberato il mondo intero dal totalitarismo nazi-fascista. Si intuiva – oscuramente se si vuole – che un nuovo inizio era necessario e inevitabile. Nacquero su quest’onda i celebri “Movimenti” che nulla hanno da spartire con quelli spuntati dopo il Vaticano II. Movimento liturgico, teologico, biblico, catechistico, pastorale, ecumenico, ecc. Non ebbero vita facile, e il Vaticano fece di tutto per imbrigliarli, anche screditando, “lapidando”, quei fedeli migliori che prendevano sul serio l’appartenenza a un “popolo profetico”. Tuttavia sopravvissero. Personalmente ricordo quegli anni come tra i più vivaci della mia vita di gesuita.
Poi venne un emarginato cardinale Roncalli a fare il Vescovo di Roma. Bonomia, paciosità, gentilezza di animo, nonnesca poesia, sembrò a chi lo elesse il massimo spazio che si potesse concedere alla libertà dello Spirito Santo che soffiava nella Chiesa. E invece da quel vecchio diplomatico venne fuori l’inaspettato (e poi fin troppo edulcorato) Vaticano II. Chi può dimenticare quel Tantum aurora est?
Così Papa Giovanni XXIII definì l'apertura del Concilio II: «Abbiamo celebrato una grande giornata, abbiamo avviato un evento religioso voluto da Dio, ci prodighiamo con tutta la nostra buona volontà ma non ci facciamo illusioni perché siamo appena all’aurora della giornata cristiana». Lui non si “faceva illusioni”, noi, povera gente, sì, e abbiamo vissuto con inenarrabile pena quei cinquanta anni di «Anticoncilio» (G. Miccoli) che abbiamo sopportato dopo la sua morte. Difficile però “spegnere lo Spirito”, cari uomini di una Chiesa che troppo spesso voi fate apparire quasi come una falsificazione della Chiesa voluta da Gesù. Voi lo sapete bene in quale situazione si trovava la Chiesa quando un papa fu costretto a dimettersi per sua onestà intellettuale e pastorale. Ma le ventate e le fiammelle dello Spirito resistono alla bufera e nel 2013, dalla “fine del mondo” arriva Jorge Mario Bergoglio che si è fatto le ossa come cristiano, come gesuita e come padre-vescovo, in mezzo alla poveraglia delle Villas, tra governi sudamericani assassini, fin troppo stufo di una Chiesa arroccata in se stessa, gelosa dei suoi privilegi, amica dei dittatori, con cappellani militari che non avevano orrore di stare con squadroni della morte addetti a buttare agli squali i desaparecidos. Francesco si rivela subito: niente ermellini, niente scarpe rosse Prada, niente vaticanerie inutili, niente palazzi pontifici. E ha un programma semplice: sul Vaticano II non si torna indietro, nessuna separatezza tra fede e vita, nessuna pretesa di riformare la Chiesa (spetta solo allo Spirito); solo innescamento di «processi evangelici generativi» che porteranno al rinnovamento della stessa comunità ecclesiale (A. Spadaro).
Dire che la Chiesa intera, soprattutto nel suo aspetto istituzionale, fosse contenta dell’elezione di un tale uomo, sarebbe una bugia. Le cime della foresta ondeggiarono, si ricompattarano, si organizzarono, e ben presto sui social, preti, vescovi, giornalisti, membri di movimenti politici e religiosi che avevano per loro papa addirittura Pio XII, non lasciarono passare un giorno senza trovare di che insinuare e calunniare. Peggio: ricattarono, minacciarono, attentarono alla vita di Francesco (lo denunzia lo stesso papa in una pubblica udienza del 28 agosto 2019).
La Chiesa-istituzione non era stata mai così nettamente lontana dalla Chiesa-misterodi-salvezza. E ogni proposta papale («Chiesa in uscita», «ospedale da campo»…) facilmente veniva irrisa come una passeggera e imprudente “francescata”. La più clamorosa di esse è proprio il grandioso progetto del Sinodo di tutto il Popolo di Dio per un cambio di stile pastorale nell’intera compagine ecclesiale.
Dal Concilio al Sinodo
Io sono reo confesso di non avere nutrito dubbi ed incertezze sulla necessità e la provvidenzialità della proposta papale su “Sinodo e sinodalità”. Tanto più convinto quanto più col passare dei giorni intuivo che in alto loco ecclesiale e accademico, la proposta veniva considerata poco più di uno stravagante obiettivo da fare fallire. Oggi onestamente mi chiedo se un Sinodo di tutta la Chiesa è stato ed è una capricciosa nube di passaggio o un onesto mettersi in cammino verso un cambiamento di rotta ecclesiale.
Fin dai tempi dei miei studi teologici ho sempre saputo che la Chiesa non è setta di uomini in cerca di potere o mutuo soccorso. È ecclesia, gente adunata dal Cristo. È concilium, persone che stanno insieme per interrogarsi sulla dottrina e l’annunzio cristiano. È “sinodo – synodos” per scegliere insieme, uno stare insieme (syn) in mezzo alla strada (odos) alla ricerca della volontà del Padre. Tutti termini intercambiabili offuscati dal colpo di mano della riforma gregoriana di Gregorio VII (papa dal 1073 al 1085) che inventa una istituzionalizzazione piramidale della Chiesa: tutto è il papa, lui è propriamente la Chiesa, poi a scendere, sono i vescovi uniti col papa, poi il clero, e poi l’ubbidiente e passiva massa della ecclesia discens, chiamata a obbedire e tacere.
Comunque, che Francesco, vescovo di Roma, parlasse di Synodo e di “stile sinodale” nella Chiesa (era il 2021) per tanti significava convocare tutto il popolo di Dio a rivedere insieme ciò che riguardava l’insieme. E l’“insieme” era primariamente il “popolo di Dio”, non la gerarchia. Il Vaticano II era stato chiarissimo in merito. In tanti percepimmo ciò che da tempo aspettavamo: mettere in discussione la riforma gregoriana significava applicare le decisioni conciliari del Vaticano II. Chi sa se il nostro papa prevedeva o no il trambusto, comunque fece superare a tanti cattolici, preti, laici, illustri teologi (O. Romero, J. Castillo ad esempio, G. Gutierrez, L. Boff, O. Da Spinetoli) e gente semplice, la voglia di cambiare galassia dopo quegli infausti 50 anni anticonciliari di cui abbiamo parlato.
Dopo una partenza dei lavori sinodali, entusiasta, attiva, creativa, non solo mia ma della mia comunità cristiana, vedendo con quale scetticismo tanti preti e "superpreti" – come direbbe San Paolo – locali e no, snobbavano l'iniziativa come una "francescata" che sarebbe passata con la morte del papa, dal secondo momento degli eventi sinodali, ho tentato altre strade di servizio al Vangelo nella Chiesa. Abbiamo vissuto la commedia di chi usava la parola “sinodalità”, così pourparler, perché andava di moda e piaceva al papa, perfino mentre dichiarava “sua irrinunciabile volontà” decidere da solo. Rivoltante ma reale oggi, in tempi di gratuito e tronfio trumpismo, sentire alti “mitrati” ricordare che “qui comanda il vescovo”, “il vescovo sono io”. E chi ne dubita? Ma è forse utopistico desiderare che smettano di abusare di parole sante? O che smettano di trattare il popolo di Dio da perenne dormiente?
Alcune considerazioni
Sciogliamo l’enigma iniziale. Flop il Sinodo? In certo senso sì, se il Documento finale è stato bocciato dal 95% dei partecipanti. Boicottaggio? Certo che sì! Le bordate anticoncilio di Paolo VI con la sua celebre nota praevia, con l’avocare a sé alcuni temi scottanti del Vaticano II, e poi i pontificati di Wojtyla e di Ratzinger non sono stati inefficaci. Siamo loro figli. Abbiamo un clero che non ha mai conosciuto i documenti del Vaticano II. In alcune diocesi, era vietato a seminaristi e preti, leggere Carlo M. Martini, Enzo Bianchi e simili “eretici”. Ci resta l’ultimo interrogativo: l’avventura sinodale voluta da papa Francesco, nonostante limiti, timori, mugugni di figure apicali e di umili cespuglietti del Popolo di Dio, può essere un inizio, un fatto fondante per la riscoperta dell’autentica Chiesa voluta da Gesù di Nazareth? Presuntuosamente affermo che – a differenza di Ungaretti – io non ho bisogno di nessuna «illusione per farmi coraggio»; cerco di farmi bastare la virtù teologica della speranza. «Spe salvi facti sumus» – “dalla speranza siamo stati salvati” – dice San Paolo (Rom 8,24). Prima o dopo, ci sarà un papa che dirà, parafrasando Francesco, “sul Sinodo e lo stile sinodale non si torna indietro”. E sarà un passo avanti nel cammino verso quella Chiesa che Gesù ha sognato e iniziato con i suoi amici e fratelli, e fiduciosamente anche oggi costruisce perfino con noi.
Felice Scalia è gesuita dal 1947 e saggista, Felice Scalia vive a Messina. Laureato in Filosofia, Teologia e Scienze dell’Educazione, già docente alla Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e all’Istituto Superiore di Scienze Umane e Religiose di Messina.
*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza
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