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Legge 40: sentenza storica della consulta. Esultano associazioni e famiglie arcobaleno

Legge 40: sentenza storica della consulta. Esultano associazioni e famiglie arcobaleno

Tratto da: Adista Notizie n° 21 del 31/05/2025

42265 ROMA-ADISTA. «La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale»: il 22 maggio scorso, la Consulta ha emesso questa storica sentenza, la n. 68/2025, che di certo farà molto discutere e irriterà movimenti e partiti fieri sostenitori della famiglia tradizionale.

A sollevare dubbi sulla legittimità costituzionale della Legge 40/2004 ci aveva pensato la Sezione civile del Tribunale di Lucca, con un’ordinanza del 26 giugno 2024, la quale impugnava, oltre la già citata Legge 40 (artt. 8 e 9), anche l’art. 250 del Codice Civile, accusato dal Tribunale di confliggere con il diritto internazionale (in particolare con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli). La Corte lucchese aveva inviato le carte alla Consulta sospendendo il giudizio su una coppia la cui seconda madre non era stata riconosciuta a causa della circolare di Matteo Piantedosi del gennaio 2023, nella quale il ministro dell’Interno dava indicazione ai Comuni di non procedere alla trascrizione automatica della doppia maternità per i figli nati all’estero con Procreazione Medicalmente Assistita (PMA).

La pronuncia della Consulta del 22 maggio scorso, in sintesi, ritiene illegittimo che il nostro Paese non riconosca automaticamente come genitrice la madre non biologica, definita nel testo «madre intenzionale», di una coppia omosessuale che ha legittimamente e legalmente affrontato all’estero un percorso di PMA eterologa. All’estero, perché è lì che si recano le coppie omogenitoriali o anche le madri single se intendono avere un figlio, dal momento che in Italia la Legge 40 consente l’accesso alla PMA solo a coppie eterosessuali, sposate o conviventi. Una volta concluso il percorso di PMA all’estero, per i figli nati in Italia si apre il conflitto con la normativa nostrana, che attribuisce il figlio al genitore biologico e lasciando all’altro genitore la sola possibilità di adottare il figlio, con tempi e possibilità tutti da valutare, secondo la cosiddetta “stepchild adoption”.

La nota che accompagna la sentenza, diramata nello stesso giorno dall’Ufficio Comunicazione e Stampa della Corte Costituzionale, così spiega le ragioni della consulta: «La Corte, dopo aver precisato che la questione non attiene alle condizioni che legittimano l’accesso alla PMA in Italia, ha ritenuto che l’attuale impedimento al nato in Italia di ottenere fin dalla nascita lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che ha prestato il consenso alla pratica fecondativa all’estero insieme alla madre biologica non garantisca il miglior interesse del minore» e quindi viola l’art. 2 della Costituzione «per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile»; viola anche l’art. 3 della Carta «per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse di rango costituzionale»; e viola anche l’art. 30 Cost. «perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli».

È un impegno di coppia

Due sono le considerazioni, secondo la nota, che hanno spinto la Consulta a un pronunciamento tanto netto: innanzitutto la PMA comporta un impegno di coppia, di entrambe le partner, dal quale «nessuno dei due genitori, e in particolare la cosiddetta madre intenzionale, può sottrarsi»; in secondo luogo prevale sempre l’interesse del bambino, maggiormente tutelato dal riconoscimento di entrambe le genitrici. Pertanto, scrive l’Ufficio Comunicazione e Stampa della Consulta, «il mancato riconoscimento fin dalla nascita dello stato di figlio di entrambi i genitori lede il diritto all’identità personale del minore e pregiudica sia l’effettività del suo “diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni” (Art. 315-bis del Codice Civile, “Diritti e doveri del figlio”, ndr) sia il suo “diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale” (Art. 337-ter del Codice Civile, intitolato “Provvedimenti riguardo ai figli”, ndr.)».

Che succede ora?

In una nota diffusa dal PD, la segretaria del partito Elly Schlein e il responsabile Diritti della segreteria Pd Alessandro Zan hanno salutato con entusiasmo il pronunciamento della Consulta. «I legami affettivi e familiari non si cancellano per decreto o con crociate ideologiche», dichiarano i due. Questa sentenza «è una sconfitta politica pesante per tutti coloro che hanno fatto della discriminazione una bandiera e una crociata sulla pelle dei bambini». Il PD si riferisce chiaramente al governo Meloni, «che ha usato le famiglie arcobaleno come bersaglio politico, trascinando genitori e bambini nei tribunali, negando affetti, diritti e dignità» e chiede subito «una legge che riconosca pienamente le famiglie omogenitoriali e garantisca a tutte le figlie e i figli gli stessi diritti».

Mettere subito mano alla Legge 40 è ormai d’obbligo: di questo è convinto Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay, per il quale «questa sentenza rappresenta un passaggio storico». E commenta: «Finalmente, anche la nostra Costituzione abbraccia un’idea più ampia e inclusiva di famiglia. Migliaia di bambini e bambine che già vivono in Italia, e quelli che nasceranno in futuro, non dovranno più subire il lungo e doloroso iter giudiziario finora necessario per vedere riconosciuti entrambi i loro genitori. La Corte ha dato voce a un cambiamento sociale e culturale che esiste da anni, ma che la politica ha troppo a lungo ignorato, costringendo molte famiglie a lunghe battaglie legali per ottenere diritti fondamentali». Piazzoni invita il nostro Paese a «evolversi, superando discriminazioni ormai anacronistiche». A cominciare da una riforma della Legge 40 che elimini «il divieto di accesso alla PMA per le coppie di donne e le persone single. Una limitazione che non ha più alcuna giustificazione, se non quella di perpetuare una discriminazione inaccettabile».

Secondo il presidente della ReteLenford Vincenzo Miri, la Corte ha affermato «un principio di civiltà giuridica nell’interesse di tutti i bambini contro una cultura legata a un unico modello di famiglia. È una sentenza storica che cambia la vita di tutte le donne che, con le compagne o le mogli, vogliono avere un figlio perché non dovranno più sottoporsi all’umiliante procedura di adozione. Tutte le impugnazioni della procura e del ministero dell’Interno che intasano i tribunali cadranno perché i sindaci hanno correttamente dato tutela con i riconoscimenti all’anagrafe» (Ansa, 22/5).

Per il presidente di Gaynet Rosario Coco (il Fatto Quotidiano, 22/5), la sentenza «rappresenta una Caporetto, una sconfitta cocente per la linea del governo, che da due anni sprecava risorse pubbliche impegnando l’avvocatura dello Stato in assurdi ricorsi contro le famiglie arcobaleno e i loro figli e figlie, una vera e propria persecuzione giudiziaria. La sentenza dimostra per l’ennesima volta che questa linea è fallimentare, ideologica, contro il diritto e contro l’interesse fondamentale del minore, nonostante la martellante propaganda del ‘difendiamo i nostri figli da parte delle destre». 

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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