AL DI LÀ DELLE CARICATURE
Tratto da: Adista Contesti n° 16 del 25/02/2006
Gli attacchi alla fede possono costituire una grave aggressione, ma la critica alle dottrine protegge dal fondamentalismo
QUESTO ARTICOLO DI MICHEL KUBLER È STATO PUBBLICATO SUL QUOTIDIANO CATTOLICO FRANCESE “LA CROIX” (02/02/06). TITOLO ORIGINALE: “DIEU, AU-DELÀ DE NOS CARICATURES”
Cominciamo dall’essenziale: Dio stesso, quale che sia la maniera con la quale gli uomini si riferiscono a lui, non è colpito dalle deformazioni che subisce.
Non che sia indifferente alle parole e alle immagini che lo descrivono: se si crede in un Dio personale, che ha voluto entrare in relazione con l’umanità (è il caso dei tre grandi monoteismi), allora questo Dio è sensibile a quello che si dice di lui. Senza finire nell’antropo-morfismo, lo si troverà – per riprendere i termini della Bibbia – ora “tenero”, ora “geloso”, ma sempre resterà “pieno di misericordia e di amore”, qualsiasi cosa abbiano potuto fare di lui le sue creature.
I credenti devono allora tollerare qualsiasi rappresentazione che metta in discussione la loro fede? Certamente no. Semplicemente, saranno attenti a distinguere fra i gradi degli attacchi, verbali o figurativi, di cui possono essere oggetto. La fede appartiene all’ordine delle risorse vitali di una esistenza: è normale che la sua messa in questione da parte di terzi sia vista come una grave aggressione, che tocca la persona nell’intimo.
Nonostante ciò, nessuna espressione pubblica sui sistemi religiosi deve essere interdetta; è sano, al contrario, che si possano posare su di essi sguardi esterni, capaci di mettere in discussione il funzionamento delle loro istituzioni o di fare una lettura critica delle loro dottrine. È un buon mezzo – fastidioso, ma esigente! – di proteggerli da tentazioni fondamentaliste.
Restano, nella cerniera fra Dio, che trascenderà sempre i nostri poveri discorsi, e la religione, che deve accettare di essere contestata, dei personaggi che incarnano una tradizione e condensano in sé, in modo unico, non solo le credenze di una moltitudine, ma il Dio al quale esse si riferiscono. Toccare le figure che hanno questa funzione ipersensibile di congiunzione diventa, per questi credenti, mettere in causa il fondamento stesso della loro fede.
Certo, non si può mettere sulla stessa linea quello che rappresentano Abramo e Mosè per il giudaismo, Gesù per i cristiani e Maometto per l’islam. Ma attentare all’immagine di questi equivale, per i fedeli che vi fanno riferimento, a negare il cuore stesso della loro esistenza. Una simile violenza sembrerà loro insopportabile, senza tuttavia giustificare un’altra violenza di risposta: questo sarebbe prendere Dio in ostaggio una seconda volta.
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