SALVARE LA COSTITUZIONE PER DIFENDERE LA DEMOCRAZIA. UN LIBRO VADEMECUM CHE PREPARA ALLA BATTAGLIA DEL REFERENDUM
Tratto da: Adista Documenti n° 18 del 04/03/2006
DOC-1704. ROMA-ADISTA. "La Costituzione italiana è stata scritta da uomini e donne del calibro di Giuseppe Dossetti, Lelio Basso, Palmiro Togliatti, Giorgio La Pira, Aldo Moro, Piero Calamandrei, Aldo Bozzi, Teresa Mattei, Nilde Iotti, Umberto Terracini e tanti altri, dietro i quali si intravedevano le vicende dell'esilio, dell'antifascismo, della guerra, della lotta di liberazione. Il nuovo ordinamento, destinato a sostituire la Costituzione del 1948, è stato elaborato in una baita del Cadore, a Lorenzago, nell'estate del 2003, da quattro ‘saggi' (D'Onofrio, Pastore, Calderoli e Nania) delegati dai rispettivi partiti a comporre le pulsioni secessioniste della Lega Nord con le esigenze di caudillismo del padrone del partito-azienda e con la tradizionale ispirazione antiparlamentare di Alleanza Nazionale".
È quanto scrive il magistrato e giurista Domenico Gallo in un ampio saggio contenuto in Salviamo la Costituzione, un libro a più mani - curato dallo stesso Gallo e da Franco Ippolito, con scritti, fra gli altri, di Raniero La Valle e Luigi Ferrajoli - appena pubblicato dall'editore Chimienti di Taranto (pp. 176, euro 13; e-mail: info@chimientieditore.it; sito internet: www.chimientieditore.it), che ha l'obiettivo, spiega La Valle, di "animare e motivare la battaglia popolare per la difesa della Costituzione della Repubblica". La prossima e decisiva tappa sarà il referendum confermativo - presumibilmente nel prossimo mese di giugno - al quale sarà sottoposta la nuova Costituzione riscritta dalla destra, approvata definitivamente dal Senato il 16 novembre 2005, senza però quella maggioranza qualificata che l'avrebbe messa al riparo dal voto popolare che ora invece può affossarla. Lo scorso 17 febbraio, infatti, il Comitato promotore del referendum contro la riforma della Costituzione, presieduto da Oscar Luigi Scalfaro, ha consegnato in Cassazione 78 scatoloni contenenti oltre 830mila firme di cittadini che hanno chiesto di votare per approvare o bocciare la "costituzione di Lorenzago" (ne sarebbero bastate 500mila). Prima di loro, il referendum era già stato chiesto da 15 Consigli regionali (ne servivano almeno 5) e da oltre un quinto dei parlamentari.
Il nuovo ordinamento "abroga e sostituisce l'intera seconda parte della Costituzione del ‘48" e, scrive ancora La Valle, "ne travolge inevitabilmente anche la prima parte con i suoi principi fondamentali, i suoi diritti e i suoi valori". È una Costituzione che prevede la "decostituzionalizzazione della democrazia" e la "costituzionalizzazione del berlusconismo", sintetizza Luigi Ferrajoli nel suo saggio sul "Processo decostituente" che, secondo il giurista, non ha "demolito" solo la Carta del 1948 ma il "paradigma stesso della democrazia costituzionale": il potere politico, di fatto, spetta solo al primo ministro, "eliminando limiti, controlli e contrappesi", e producendo "una verticalizzazione e una personalizzazione dell'assetto costituzionale" che assume "un carattere monocratico". "Il popolo - scrive La Valle - rimane ora l'ultimo depositario della legittimità costituzionale e l'ultima risorsa, l'ultima istanza in grado di salvare la democrazia rappresentativa nel nostro Paese. Esso è investito di un vero e proprio ruolo costituente. Non dovrà semplicemente ‘difendere' la Costituzione del ‘48, che la sua rappresentanza politica gli ha già sottratto, ma dovrà instaurarla di nuovo".
Pubblichiamo di seguito l'intera prefazione del libro, firmata da Franco Ippolito, Consigliere della Corte di Cassazione e presidente di Magistratura democratica.
1. "Dietro e dentro ogni Costituzione c'è sempre, e più di ogni altra cosa, la storia e la cultura di un popolo", ha scritto Francesco Casavola, presidente emerito della Corte costituzionale.
La Costituzione non è soltanto la legge fondamentale di un Paese; è il patto con cui si stipula la condivisione di un insieme di valori, di principi, di regole essenziali che tutti devono osservare ed impegnarsi a realizzare, quale che sia il programma delle forze che - assumendolo come cornice e punto di riferimento della propria attività politica - si confrontano e si scontrano democraticamente per chiedere e ottenere il consenso dei cittadini.
In Italia, per quasi 60 anni, pur tra confronti e scontri, spesso aspri e talvolta laceranti, la Costituzione ha consentito questo "riconoscersi e ritrovarsi in un comune sentire". Oggi questa possibilità è posta in discussione. L'opera di delegittimazione della Costituzione ha raggiunto il suo culmine con l'appro-vazione da parte della maggioranza di destra di una legge costituzionale che, stravolgendo l'impostazione del 1947, persegue l'intento di affrancare il potere da limiti e da vincoli, presentati strumentalmente come ostacoli ed impaccio alla realizzazione di un Paese più moderno ed economicamente sviluppato.
Il perseguimento di tale disegno è stato condotto invocando la legittimazione che deriva dal consenso elettorale ed è stato presentato come necessario per meglio realizzare il volere e il bene del popolo. Questa concezione della democrazia, intesa soltanto come legittimazione del potere tramite il consenso popolare, è una concezione povera e misera (e talvolta anche miserabile, quando serve strumentalmente a coprire interessi personali e di gruppi di potere). La democrazia nello Stato costituzionale di diritto non si esaurisce tutta e soltanto nel consenso popolare. Il populismo non ha mai prodotto autentica democrazia; al contrario, è stato spesso l'anticamera e lo strumento di avventure autoritarie.
La democrazia è certamente fondata sulla legittimazione popolare, ma anche sulla separazione dei poteri e sui diritti fondamentali dei cittadini, senza i quali non c'è Costituzione, come affermava già l'art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789. Senza separazione dei poteri, senza il riconoscimento dei diritti fondamentali garantiti da una giurisdizione indipendente dagli altri poteri e dalla maggioranza politica, non c'è stato costituzionale di diritto, il cui connotato è che nessun potere è assoluto, neanche "la sovranità che appartiene al popolo", che infatti "la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione" (art. 1 Cost. 1947).
2. Il consenso elettorale è stato invece utilizzato dalla destra per teorizzare, rivendicare e praticare un esercizio del potere dalle mani libere, in funzione di privati interessi di un ristretto gruppo che ha preso il comando del Paese e intende conservarlo a costo di snaturare Costituzione, ordinamento giuridico e sistema elettorale.
Il potere è stato utilizzato come strumento per procurarsi e accumulare ulteriore potere (politico, economico, informativo) e concentrarlo in una ristrettissima oligarchia. È difficile immaginare un altro Paese, più del nostro, platealmente contrastante con il criterio che il liberale Michael Walzer assume a misura della società giusta: "quella in cui il possesso di un bene in una determinata sfera non si converte in dominanza tirannica su tutte le altre sfere". Il potere economico e informativo sono stati convertiti in potere politico, che a sua volta viene utilizzato per accrescere la potenza economica e l'influenza sul sistema televisivo e d'informazione.
La legittimazione elettorale è stata invocata come unzione divina (l'Unto del Signore!) anche per contestare e contrastare la legittimità di ogni sistema di controllo: di qui l'attacco all'autonomia dell'informazione, della magistratura, della Corte costituzionale, dello stesso Parlamento.
Il programma fu proclamato immediatamente dopo il successo della destra alle elezioni politiche del 1994, quando fu teorizzata la volontà di una "costituzione dei vincitori", da imporre al vinti, e palesata l'intenzione di ridisegnare nuove regole e di realizzare un proprio ordinamento anche materiale (accaparramento delle commissioni parlamentari, progetto di impadronirsi della Rai e del l'informazione, omologazione del Csm alla maggioranza parlamentare, regolamento dei conti con la magistratura, etc.).
Una volontà, riconfermata in questa legislatura, volta anche a superare il significato storico e fondativo della Costituzione repubblicana del 1947, minandone la matrice antifascista. Le ambigue parole, tante volte ripetute, di "riconciliazione e pacificazione" tra le parti contrapposte degli anni 1943-1945, quando non sono mera retorica, possono avere il significato pericoloso e inaccettabile di equiparare chi lottava per la libertà a quelli che stavano dalla parte della dittatura fascista e dell'oppressione nazista.
Contro tali veleni è necessario riaffermare che la riconciliazione è gia avvenuta con la Repubblica democratica nata dalla Resistenza, che garantisce pluralismo, tolleranza, convivenza pacifica, accettazione dell'altro e confronto delle idee. La pacificazione è la Costituzione, che ha costituito per tutti una garanzia di esistenza e di identità fisica e culturale.
La Costituzione vigente, nei suoi valori e contenuti fondamentali, è ancora idonea ad orientare un progetto di rilancio e sviluppo del Paese. Essa disegna una democrazia ricca di valori e di finalità, sintetizzati e riassunti nell'impegno solenne che costituisce la ragione e l'essenza della Repubblica: quello, assunto verso ciascuna donna e ciascun uomo, di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3 cpv. Cost.).
3. La Costituzione non è un bene nella disponibilità della maggioranza (...). Non vogliamo certo affermare che la Costituzione è immodificabile, tant'è che la stessa Carta prevede la possibilità di revisione nell'art. 138. Ma questa norma non può essere utilizzata per stravolgere l'impianto della Repubblica, ma soltanto per approvare modifiche che ne sviluppino disegno, finalità, progetto, secondo una coerente logica di continuità costituzionale.
La modificabilità della Costituzione trova i suoi limiti (espliciti o impliciti) in quei principi la cui modifica porterebbe ad una trasformazione radicale del sistema vigente.
Limite è non soltanto la forma repubblicana dello Stato (art. 139). Limiti sono innanzitutto i diritti, per l'appunto, "inviolabili", anche per il legislatore. Limite è l'assetto democratico, cioè il pluralismo politico, istituzionale, sociale: la poliarchia e il sistema di pesi, contrappesi e controlli, che mirano ad impedire la concentrazione dei poteri e la loro personalizzazione verticistica.
Limite è il sistema parlamentare della nostra democrazia politica: ciò significa certamente possibilità di modificazioni all'interno di quel sistema, ma divieto di stravolgimento con la previsione di poteri "sulla maggioranza parlamentare" da parte di un presidente "forte". Limite è il principio autonomistico, nel senso che non si può restringere l'autonomia, ma si può ampliarla sino al punto massimo costituito da altri limiti: l'unità e l'indivisibilità del Paese, i doveri inderogabili di solidarietà, l'universalità dei diritti uguali in ogni parte del territorio (a cominciare dalla salute e dall'istruzione).
Un'opinione diffusa sostiene la immodificabilità della prima parte della Costituzione e la modificabilità della seconda parte. In questi termini la tesi non è accettabile. La prima e la seconda parte della Costituzione non sono due sfere autonome e separate; i cambiamenti della parte cosiddetta "organizzativa" possono produrre effetti rilevanti anche sul piano dei diritti e dei principi elencati nella prima parte.
Il principio di rigidità della Costituzione è immodificabile, anche se è scritto nella seconda parte. Altrettanto il ruolo di garanzia della Corte costituzionale, che in una costituzione rigida significa primato dei diritti fondamentali sulla politica e garanzia che i diritti non sono nella disponibilità del governo e della maggioranza. Ridurre il ruolo della Corte, o renderlo maggiormente "in sintonia" con la maggioranza parlamentare, comporta una riduzione della garanzia rappresentata dal diritti, cioè la modifica della prima parte della Carta.
L'indipendenza della magistratura è prevista e garantita da norme della seconda parte: si possono forse modificare tali norme per ridurre l'indipendenza dei magistrati? Certamente no, così come non è costituzionalmente accoglibile la proposta di "armonizzare" il Consiglio superiore della magistratura alla maggioranza politica, secondo la singolare idea lanciata anni fa da un significativo esponente del ristretto gruppo di comando berlusconiano, il sen. Previti.
E ancora: l'art. 112 è modificabile? Certamente no, come ha sottolineato la Corte costituzionale, che ha precisato che "realizzare la legalità nell'uguaglianza non è concretamente possibile se l'organo cui l'azione è demandata dipende da altri poteri. Di tali principi è indispensabile requisito l'indipendenza del pubblico ministero. Il principio di obbligatorietà dell'azione penale è il punto di convergenza di principi basilari del sistema costituzionale, talché il suo venir meno ne altererebbe l'assetto complessivo" (sent. n. 88/1991).
Si potrebbe continuare. Ma bastano questi pochi esempi per capire che anche la disciplina della "organizzazione" dello Stato è immodificabile se incide sugli elementi costitutivi della forma immodificabile della Repubblica democratica.
Ebbene, il testo approvato dalla maggioranza di destra non soltanto modifica la Costituzione, incidendo pesantemente anche sulla sostanza della prima parte (pur se, formalmente, non viene toccata), ma la stragrande maggioranza degli interventi (…) sono regressivi e autoritari, quando non sconclusionati e pericolosi per la democrazia.
4. Con il referendum la parola passa al cittadini, che il berlusconismo riduce a "gente" che ha solo la facoltà d'interve-nire il giorno dell'elezione per investire il capo di un potere smisurato. Un ventennio di spregiudicato uso della televisione commerciale, sostenuta e foraggiata da interventi legislativi di favore, a cominciare dal "decreti Berlusconi" degli anni '80 per finire alla legislazione firmata dal ministro Gasparri, ha tentato di ridurre i cittadini a meri elettori, quando non a consumatori-telespettatori di politica e di democrazia rituale.
La destra confida nell'apatia e nell'indifferenza della gente, nella lontananza dei giovani da un testo scritto 60 anni fa, nell'interesse per i prodotti nuovi, propagandati come una autovettura o un elettrodomestico.
Noi confidiamo nella capacità di reazione democratica che in questi anni è scesa in campo contro l'attacco ai diritti sociali, ai diritti civili, ai diritti delle donne e contro le pretese di impunità del potere. Il mutamento costituzionale approvato dalla maggioranza politica è molto più grave e pericoloso della legge Cirami, della legge Schifani e di tutte le altre leggi di privilegio personale che hanno meritato al Governo Berlusconi la vergogna espressa dall'opinione pubblica internazionale. Non si tratta di una legge rimediabile che può cancellare un'altra maggioranza, né di una legittima revisione della Costituzione (l'art. 138 consente revisioni circoscritte nella logica dello sviluppo e dell'ampliamento dei diritti e delle libertà), bensì di una vera rottura costituzionale: più che una dittatura della maggioranza, si realizzerebbe un sistema di strapotere personale, con concentrazione dei poteri in un singolo soggetto, che può da solo sciogliere il Parlamento e, quindi, usare la minaccia di scioglimento come ricatto verso la sua stessa maggioranza.
In questa situazione, neppure la riserva di legge potrà più costituire una garanzia per i diritti fondamentali, giacché il potere di ricatto del premier-dittatore condizionerà pesantemente la stessa maggioranza. In questa maniera, la riforma della seconda parte della Costituzione modifica. senza dirlo, anche la prima parte. In gioco è, insieme alla Costituzione del 1947, l'idea stessa di costituzionalismo, come insieme di principi e di regole generali per limitare il potere.
Tutti i democratici devono sentirsi impegnati a contrastare questo disegno. (…). La campagna-battaglia referendaria può e deve diventare una straordinaria occasione - nella scuole, nelle università, nel luoghi di lavoro - per riaffermare i diritti di ogni persona, "senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali" e per rilanciare la Costituzione, come insieme di principi e di regole per limitare ogni potere. Una grande e diffusa mobilitazione popolare darà la più autentica rinnovata legittimazione a quel patto fondamentale di convivenza e di civiltà che è la Costituzione, nata dalla Resistenza ad ogni dittatura, e costituirà la forza più efficace per ribaltare gli intenti di chi, per interessi di parte, ha tentato di violarla e stravolgerla.
Abbiamo oggi la possibilità di trasformare la resistenza costituzionale di questo decennio in una lotta per il rilancio del costituzionalismo per l'Italia e per l'Europa.
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