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OLTRE LA CRISI DEL MODERNO: UN CONVEGNO SUI NUOVI ORIZZONTI DELLA LAICITÀ

Tratto da: Adista Notizie n° 87 del 09/12/2006

33667. FALCONARA MARITTIMA (AN)-ADISTA. Come molte altre categorie della modernità, la laicità si trova oggi - di fronte ai nuovi ed inediti problemi posti dalla società globalizzata - ad essere sottoposta ad una verifica delle proprietà analitiche e normative ad essa connesse. E così proprio alla "Laicità" è stato dedicato il terzo convegno internazionale del ciclo "Tramonto o trasfigurazione del cristianesimo?" organizzato lo scorso 23-25 novembre a Falconara Marittima dall'Associazione per gli studi di filosofia e teologia e dal Centro universitario "Falconara filosofia".

Numerosi gli interventi che si sono succeduti nella tre giorni di discussione. Particolarmente interessante il pomeriggio del venerdì, nel corso del quale, dopo un'introduzione di Maria Cristina Bartolomei dell'Università di Milano, il teologo Giuseppe Ruggieri ha tenuto una relazione dal titolo "Riflessioni teologiche in margine della concezione contemporanea della laicità", seguito dal prof. Biagio De Giovanni che è invece intervenuto su "Che cosa significa oggi laicità".

Ruggieri ha iniziato il suo ragionamento descrivendo il passaggio intercorso negli ultimi anni da una concezione della laicità come "neutralità rispetto al pluralismo delle convinzioni" a quella della laicità come "garanzia per la pacifica convivenza delle varie convinzioni". Quest'ultima accezione si trova però a dover fronteggiare un problema epocale che ha investito le società contemporanee: "Col venir meno di una filosofia sociale condivisa, nell'epoca di un pluralismo radicale, non si vede più quale possa essere l'ultimo fondamento condiviso per il rispetto dei diritti di tutti". Tale problema è stato al centro del celebre confronto tra Jürgen Habermas e l'allora card. Ratzinger. Nel corso di quella discussione, spiega Ruggieri, Habermas "esprime il dubbio che lo Stato democratico costituzionale possa rinnovare in maniera autonoma le condizioni normative della propria esistenza" e formula l'ipotesi che la forma statuale debba quindi dipendere in un certo senso "da tradizioni religiose e metafisiche autoctone, o comunque da tradizioni etiche vincolanti per la collettività". Tuttavia Habermas non conclude da questo ragionamento che i cristiani debbano essere gli unici ad attivarsi in questo delicato processo di legittimazione e traduzione secolare. Per Ratzinger invece - continua Ruggieri - "solo il cristianesimo di fatto può assolvere al compito di una rinnovata fondazione dell'etica individuale e sociale". Ma la prospettiva delineata da Ratzinger "soffre di una carenza" che Ruggieri definisce "grave": essa "non si interroga sul senso di ciò che sta accadendo nell'epoca contemporanea. Questa viene descritta in termini di pura crisi, di puro vuoto". "Non ci si impegna – continua Ruggieri - in una lettura della storia volta a coglierne le possibilità, le premesse che essa contiene. Da questo punto di vista si resta ancora succubi di una prospettiva che ha dominato l'intransigentismo cattolico dalla Restaurazione ottocentesca in avanti: il dinamismo delle società contemporanee, fuori da ogni controllo delle Chiese, porterebbe inevitabilmente alla perversione del vivere civile".

Il mutamento epocale che stiamo vivendo, inoltre, implica un tramonto "dell'universali-smo ideologico" che "tocca da vicino anche l'identità cristiana". Quest'ultima, secondo Ruggiero, può essere stimolata a declinare la propria universalità in maniera originale: "l'universa-lità del messaggio cristiano originariamente non si pone come universalità di una dottrina, ma di un evento". "Se interrogato nel suo centro delicato e più intimo, il messaggio cristiano manifesta una sua universalità originale che non è quella del comune riconoscimento dei valori della convivenza, ma sta piuttosto nell'energia, nella dynamis dell'evento predicato, di riconoscere l'altro, chiunque lui sia, nella capacità di sedere a tavola con i peccatori come sogno positivo dell'irruzione del Regno".

Biagio De Giovanni: la laicità e il riconoscimento della differenza

Biagio De Giovanni si chiede - in apertura del suo intervento - se esista una "nuova attualità del problema della laicità in questa condizione storica". La "scena mondiale" contemporanea è stata inizialmente interpretata come il risultato di un processo di "dissoluzione del tempo e dello spazio" (v. ad esempio la celebre teoria della "fine della storia" di Francis Fukuyama). Nonostante la popolarità raggiunta da queste tesi, esse sembrano inadeguate a cogliere le complesse dinamiche in atto nel mondo d'oggi: "la 'controfaccia' di una scena mondiale così descritta", sostiene De Giovanni, "è l'irrompere prepotente dei paradigmi identitari, dell'entropia identitaria, anche come fenomeno di reazione all'insostenibile assenza di un fondamento. Assistiamo allora alla radicalizzazione delle identità religiose, etniche, nazionali, subnazionali; radicalizzazioni che spesso sfociano nel fondamentalismo, nell'integralismo, in forme esplicite di xenofobia".

Di fronte a tale scenario, torna attuale il problema della laicità, il cui significato non può però ridursi alla semplice distinzione fra religione e politica. "Oggi – afferma De Giovanni – questa concezione della laicità è necessaria ma anche insufficiente, riduttiva" perché non coglie la potenzialità insita nel quadro apparentemente drammatico che il mondo contemporaneo ci presenta.

Benché la storia abbia già dato prova della "pericolosa potenza" insita nel razionalismo occidentale, quest'ultimo può tuttavia fornire alcune "figure" dotate di "un'impressionante forza analitica". Il 'diritto cosmopolitico' così come emerge dalla riflessione di Kant e la 'dialettica del riconoscimento' sviluppata da Hegel rimandano ad una "idea di identità non statica e non bloccata in se stessa. Un'identità aperta, che diviene". "Anche Hegel - continua De Giovanni - coglie la potenzialità nichilistica dell'abisso della libertà: il nichilismo può sembrare l'ultima parola della libertà". È necessario dunque fare i conti con la critica del moderno. Ma la critica del moderno non può essere fatta "ricostruendo l'assoluto contro il relativo", come tenta di fare Benedetto XVI. "Il rischio - spiega il professore - è che la lotta al fondamentalismo venga condotta all'insegna di un altro fondamentalismo". Bisogna quindi attuare uno "sforzo di specificazione della fenomenologia del moderno": non si può concepire il moderno solo come "una rottura con la forza dell'origine". Lo stesso concetto di laicità viene ad essere investito da questo processo di rielaborazione delle vecchie categorie con le quali è stata interpretata la modernità. Esso infatti deve affiancare alla pur fondamentale distinzione tra Stato e Chiesa, tra religione e potere, "il grande tema del riconoscimento della differenza". (emilio carnevali)

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