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GLI SCHELETRI DELLA POLONIA

- La tempesta delle dimissioni dell’arcivescovo di varsavia wielgus ha radici profonde nella storia della chiesa polacca.

Tratto da: Adista Contesti n° 8 del 27/01/2007

L'autunno scorso in Polonia sono andato a visitare le tombe di due amici vicino a Cracovia. Essi giacciono l'uno accanto all'altro nel piccolo cimitero del monastero benedettino a Tyniec. Il sole era tiepido; era un giorno silenzioso e dorato e il fiume Vistola ai piedi della collina sembrava scivolare anziché scorrere.

Entrambi gli uomini, in quanto polacchi del XX secolo, hanno vissuto vite tormentate, complesse. Entrambi, penso (anche se loro non ne hanno mai parlato) venivano da ambienti ebraici ma hanno vissuto come cattolici devoti. Uno, direttore di giornale, ha sfidato la censura comunista e la disapprovazione vaticana per gestire un settimanale culturale cattolico. L'altro, giornalista, aveva un passato più oscuro; il suo farsi beffe di tutto tranne che della sua personale visione della sua nazione e della sua Chiesa aveva fatto sì che la gente lo sospettasse - a torto – di non avere nessun principio e di agire come un informatore della polizia segreta.

Mentre me ne andavo, i miei accompagnatori mi hanno indicato una fila di semplici croci dove erano sepolti i monaci benedettini di Tyniec. Uno di essi portava il nome di fratel Michalowski. Nessun segno particolare sulla croce suggeriva che questo monaco fosse meno santo dei suoi vicini. Ma, mi è stato detto, si era scoperto che fratel Michalowski era stato per lungo tempo un agente stipendiato della polizia segreta che aveva arrecato un danno infinito al suo Ordine, alla sua Chiesa, e alla sua nazione per diversi decenni.

Nel 1968, per esempio, aveva offerto rifugio ad una coppia ceca che era scappata per le montagne dall'invasione sovietica nell'agosto di quell'anno. I due gli avevano confidato i loro piani per raggiungere l'Occidente imbarcandosi clandestinamente su una nave svedese al porto di Gdynia. Ma il loro santo protettore passò questa informazione alla Sluzba Bezpieczenstwa (Servizio di sicurezza, Sb), che arrestò i giovani cechi sulla banchina e fece sì che passassero molti anni in carcere.

Una tempesta a Varsavia

I fatti relativi al tradimento di fratel Michalowski sono emersi solo dopo la sua morte. È stato più fortunato dell'arcivescovo Stanislaw Wielgus. Una tempesta crescente di rivelazioni da parte dei media sul passato di Wielgus come informatore della Sb è culminata domenica 7 gennaio 2007 in un incredibile melodramma polacco. Di fronte ad un’assemblea completamente impreparata, riunita per presenziare al suo insediamento come arcivescovo di Varsavia, di cui facevano parte il presidente della Repubblica (Lech Kaczynski) e il primate (Jozef Glemp), Wielgus ha annunciato le sue immediate dimissioni.

Il giorno successivo, il rettore della Cattedrale Wawel a Cracovia, padre Janusz Bielanski, si è arreso di fronte ad analoghi articoli sulla sua collaborazione con la polizia segreta e si è dimesso. E la tempesta è scoppiata.

Il quotidiano Dziennik ora afferma di avere una lista di dodici nomi di figure prominenti della Chiesa, di cui almeno un vescovo, che hanno collaborato con la divisione affari religiosi della Sb nel 1978 nel tentativo infruttuoso di influenzare la scelta del nuovo primate di Polonia. Un prete di Cracovia che è specializzato nella ricerca di dossier Sb sulla Chiesa cattolica, Tadeusz Isakowicz-Zaleski, afferma di essere intenzionato a pubblicare un libro a metà febbraio con l'elenco di trentanove informatori ecclesiastici, tra cui tre attuali vescovi. E così si va avanti.

In termini politici immediati, la diffusione dello scandalo ovviamente è utile agli scopi dell'attuale coalizione di governo di destra (capeg-giata da Jaroslaw Kaczynski, gemello di Lech). La strategia del partito che guida la coalizione, Prawo i Sprawiedliwosc (Legge e Giustizia, PiS), è fondata su una campagna rumorosa e populista che finalizzata a mettere in guardia la popolazione sul fatto che comunisti sotto mentite spoglie e agenti russi stanno ancora ricoprendo posizioni di rilievo, e che il processo di "lustrazio-ne" che avrebbe dovuto tenere gli ex agenti della polizia segreta al di fuori della vita pubblica, è completamente fallito. Mettere in piazza l'influenza della Sb nella gerarchia ecclesiastica aiuta ad alzare la temperatura del panico pubblico, a condizione che il governo non esageri offendendo le masse di credenti in quello che rimane il Paese più cattolico d'Europa.

Una Chiesa invincibile e fallibile

Ma quanto c'è di novità, in realtà, nella scoperta di questi informatori all'interno della Chiesa? Il problema è che la Polonia, negli ultimi cinquant'anni circa, si è ritirata in una cortina di dissonanza cognitiva su questo ed altri temi. La gente ha voluto credere che tutto è corrotto e allo stesso tempo che tutto è eroico. Sono passati cinquant'anni da quando sono stato per la prima volta in Polonia e posso confermare che la collaborazione di molti preti e vescovi con la polizia di sicurezza era cosa assolutamente di dominio pubblico allora ed è rimasta cosa di dominio pubblico anche dopo. Eppure, allo stesso tempo, i polacchi hanno anche santificato la Chiesa cattolica come portatrice e salvatrice dell'identità nazionale e della cultura polacca durante i periodi più oscuri della guerra e dell'oppressione del dopoguerra. Nei decenni comunisti, parlarono del clero come di una categoria di patrioti devoti e dalla tempra d'acciaio in difesa (come padre Jerzy Popieluszko usava dire) della "millenaria religione polacca dell'amore contro il moderno culto bolscevico dell'ateismo e dell'odio".

Padre Popieluszko era uno che incarnava perfettamente questa visione. Appoggiava le rivolte di Solidarnosc nel 1980, era scampato a maldestri tentativi della Sb di comprometterlo (per lo più attraverso donne), e fu ucciso alla fine da ufficiali della divisione affari religiosi della Sb nel 1984. Non meraviglia che all'inizio degli anni '80, quando giovani uomini si affollavano a candidarsi al sacerdozio durante gli anni bui della legge marziale, la gente dicesse: "In Polonia il nostro esercito è vestito di nero".

Nella mente dei polacchi, quindi, coesistevano in qualche maniera queste due nozioni, di Chiesa invincibile e di Chiesa tuttavia sin troppo fallibile. Ma la reale frattura nella Chiesa era generazionale, tra coloro che accettavano che lo Stato comunista non potesse essere rovesciato e bisognasse venirci a patti e coloro – i sacerdoti più giovani, specialmente – che pensavano che l'autorità dello Stato fosse tanto fragile quanto corrotta e che dovesse essere combattuta.

Suona ironico ricordare la vita di uno dei grandi principi della Chiesa polacca, il cardinale e primate Stefan Wyszynski. Fino al momento della sua morte, nel 1981, egli fu venerato come il più fermo e intransigente antagonista del sistema comunista; accanto a papa Giovanni Paolo II a Roma, era la persona che il regime polacco temeva maggiormente. Eppure anche lui era caduto una volta sotto il sospetto vaticano di essere un agente comunista.

Arrestato nel 1953, era stato rilasciato da Wladyslaw Gomulka, leader comunista che nell'ottobre 1956 sfidò la potenza sovietica e introdusse un breve periodo di relativa libertà. Wyszynski e Gomulka raggiunsero un compromesso unico nell'impero sovietico: la Chiesa avrebbe rispettato l'autorità dello Stato marxista e l'alleanza sovietica, e in cambio avrebbe riottenuto il diritto di fare le sue nomine, di insegnare religione nelle scuole e di pubblicare un giornale indipendente.

Mentre in quei mesi le passioni polacche montavano fino all'insurrezione, Wyszinski usò tutta la sua autorità per spingere alla prudenza e all'obbedienza nei confronti dello Stato. In una famosa omelia, disse che "un uomo muore una volta e viene rapidamente ricoperto di gloria, ma vive in difficoltà, nelle avversità, nel dolore e nella sofferenza per molti anni, e questo è l'eroismo più grande…". Ma tutti questi compromessi con lo Stato "bolscevico e ateo" erano considerati scandalosi dal Vaticano, e il cardinal Wyszynski venne trattato quasi come un collaboratore comunista quando visitò la Santa Sede qualche mese più tardi.

Il Vaticano non ha mai mostrato di capire molto della realtà polacca, a parte i ventisette anni in cui Karol Wojtyla indossò il triregno. Papa Benedetto XVI è andato avanti e ha nominato Stanislaw Wielgus arcivescovo nonostante fosse stato avvertito circa il suo passato. Durante la seconda guerra mondiale, papa Pio XII fece ben poco per fermare l'infame persecuzione della Chiesa polacca da parte degli invasori nazisti e ignorò gli appelli cattolici polacchi affinché protestasse contro lo sterminio degli ebrei.

E tornando indietro al XIX secolo, mentre la Polonia era suddivisa dagli imperi stranieri, il papato appoggiò l'"ordine" imposto dai re luterani prussiani o dagli zar russi ortodossi e condannò come pericolosamente "liberali" le lotte per la libertà di una nazione cattolica. In altre parole, il rispetto del popolo polacco per il papa, nella patetica convinzione che il Vaticano avesse sempre considerato la Polonia come la figlia prediletta della santa Chiesa, è un altro emerito autoinganno.

La rete polacca

Due fattori hanno reso particolarmente dura la pressione della polizia sulla Chiesa nella Polonia comunista. Il primo era lo status assolutamente anomalo e eretico della Chiesa dopo il 1956: un'istituzione enorme, autogestita, indipendente dal controllo del partito ed essenzialmente ostile alla visione del mondo marxista. Nessun altro Stato comunista avrebbe tollerato questo, ma il prezzo del compromesso polacco era la quantità enorme di tempo e di risorse che lo Stato impiegava per spiare la Chiesa infiltrandosi o ricattando la sua gerarchia e cercando di influenzare le sue decisioni.

Il secondo fattore dietro la durezza di questa pressione era che la Chiesa aveva molto da perdere. E gli uomini della sicurezza lo sapevano. C'erano le proprietà della Chiesa, certo, ma anche più prezioso era il diritto di esercitare il ministero nei confronti dei fedeli cattolici, di predicare, di amministrare i sacramenti e di conservare ciò che restava dell'influenza cristiana in una società ufficialmente atea. Dal punto di vista religioso, erano compiti dovuti non solo all'uomo ma a Dio, e gran parte del compromesso può essere giustificato con lo scopo di preservarli. Un vescovo, avvertito che un seminario sarebbe stato chiuso per ragioni di "salute e sicurezza" se egli non avesse accettato di fornire al colonnello X rapporti mensili sulle opinioni del clero diocesano, si trovava in una posizione morale difficile. Analogamente, anche se in modo diverso, un parroco a cui veniva detto dal capitano Y che la sua relazione con una donna del posto sarebbe stata riferita al vescovo se non avesse fornito alla polizia una lista di tutti i suoi parrocchiani che ascoltavano Radio Europa Libera.

La Chiesa, in breve, era disperatamente vulnerabile. L'episcopato, soprattutto, aveva ogni motivo per tenere i parroci sotto stretto controllo politico, nel caso in cui avessero dato alla Sb un motivo per intervenire con minacce o ricatti. Retrospettivamente, sorprende che alcuni vescovi - come il cardinal Wyszynski stesso o l'irreprensibile vescovo Ignacy Tokarczuk di Przemysl, siano stati così ribelli. Ma altri leader, come il successore di Wyszynski alla primazia, Jozef Glemp, esasperarono i democratici con la loro riluttanza a pronunciarsi in difesa dei diritti umani o a difendere il clero attaccato per la sua opinione politica.

Oggi, a quasi vent'anni dal collasso del regime comunista, è difficile ricostruire il contesto nel quale i preti sono diventati informatori. È importante? Purtroppo sì. Il significato di tutte queste vecchie rivelazioni è che stanno spingendo l'autorità della Chiesa cattolica in Polonia ad assumere una forma diversa, più definita, più piccola. Spesso i singoli casi sono trattati ingiustamente. Ma in una prospettiva storica, può essere che lo scandalo degli informatori ecclesiastici faccia alla Polonia ciò che il lungo scandalo degli abusi sessuali nella Chiesa ha fatto all'Irlanda: aprire un passaggio doloroso verso la modernità.

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