PIÙ FAMIGLIA, MENO DIBATTITO. STORIA DI UNA MANIFESTAZIONE NON ANNUNCIATA
Tratto da: Adista Notizie n° 27 del 07/04/2007
33828. ROMA-ADISTA. La gestazione del manifesto "Più famiglia", sottoscritto il 19 marzo dalle principali associazioni e movimenti del laicato cattolico, è stata piuttosto turbolenta. Mettere insieme tante sigle e sensibilità ecclesiali non è infatti risultato semplice, anche se le pressioni della gerarchia ecclesiastica hanno senz'altro facilitato l'impresa. Ciò non toglie, però, che nella fase preparatoria del documento il dibattito sia stato ugualmente acceso, tanto tra le diverse realtà ecclesiali quanto all'interno delle singole strutture associative. Alcuni, infatti, avrebbero preferito che il documento restasse un contributo al dibattito sul ruolo ed il valore della famiglia nella società contemporanea, senza divenire il manifesto di una kermesse politica, sia perché il ricorso alla piazza è distante dalla sensibilità di molti credenti, sia perché manifestare a S. Giovanni significa – giocoforza – dare all'iniziativa a difesa della famiglia un significato prettamente politico e antigovernativo. E questo, soprattutto i settori più progressisti del laicato cattolico (Acli e Ac tra tutti), avrebbero preferito evitarlo. Inoltre, sono in molti, nelle diocesi e nelle parrocchie, a ritenere che la prova di forza, l'esibizione "muscolare" di decine di migliaia di cattolici in piazza, poco giovi alla causa di un istituto - il matrimonio (e specialmente quello religioso) - la cui crisi non accenna ad arrestarsi: un trend che - tra l'altro - finora neanche i discorsi del papa, i pronunciamenti della Cei, le prediche domenicali, i corsi prematrimoniali tenuti da preti, l'impegno nelle parrocchie di laici e psicologi, le pastorali familiari e le catechesi sono riusciti ad invertire. Nonostante i dubbi e i malumori della base avessero trovato eco anche nelle riunioni preparatorie tra le organizzazioni cattoliche, alla fine il documento pro-famiglia è stato approvato all'unanimità. È passata così l'idea - caldamente sostenuta in ambienti Cei - di replicare il modello rivelatosi vincente nel 2005 (all'epoca della costituzione del Comitato Scienza e Vita): quello, cioè, di impegnare in blocco l'associazionismo cattolico. E infatti, da Comunione e Liberazione ai Focolarini, dalle Acli a Rinnovamento nello spirito, dall'Azione cattolica al Movimento per la Vita, nella lista dei firmatari le realtà più rappresentative della galassia cattolica ci sono tutte. E questa volta, rispetto a quanto avvenne 2 anni fa, tra le adesioni c'è anche quella dell'Agesci (la cui firma per questioni puramente tecniche è arrivata però qualche giorno dopo la presentazione ufficiale del documento): gli scout, all'epoca del referendum sulla legge 40, non avevano infatti risposto alla mobilitazione astensionista voluta dal card. Camillo Ruini. Stavolta, gli appelli dei vescovi non li hanno trovati indifferenti. Manca, a scorrere con attenzione la lista dei firmatari, le sigle dei "movimenti" dell'Ac: Fuci, Meic, Mieac, Mlac e Msac. Certo, l'adesione del presidente dell'Azione Cattolica si può considerare rappresentativa anche di queste sigle, che dell'Ac sono parte integrante. Se non fosse che il presidente del Meic, Renato Balduzzi, è stato tra i collaboratori del ministro Rosy Bindi più impegnati nella stesura del disegno di legge sui Dico. E che la Fuci ha più volte manifestato, nel dibattito interno all'Ac, il proprio disagio per la posizione assunta dall'associazione sulla questione delle coppie di fatto. E, infine, che il Mieac ha recentemente pubblicato un proprio documento in cui ci sono chiare aperture al riconoscimento delle convivenze (v. Adista n. 25/07). Insomma, se non si può dire che i movimenti dell'Ac non abbiano aderito al manifesto, è però vero che nessuno li ha interpellati nella fase di stesura del documento, né ha chiesto loro di sottoscriverlo una volta pronto. Un modo, probabilmente, per evitare imbarazzanti rifiuti. Il rospo dell'Azione Cattolica Ma anche l'adesione dell'Ac all'operazione non è stata pacifica. Le pressioni della Cei sull'associazione, tramite l'assistente generale, mons. Francesco Lambiasi (non a caso recentemente riconfermato dalla Conferenza episcopale nel suo ruolo per altri tre anni, pur essendo in carica già dal 2001), si sono fatte nelle ultime settimane particolarmente insistenti, creando dentro l'Ac diversi malumori. Al presidente Luigi Alici è stata dapprima chiesta una formale presa di distanza rispetto al ddl Bindi-Pollastrini; poi gli è stato chiesto di assumere il ruolo di "pontiere" tra le diverse anime presenti all'interno del cartello del Forum. Pare che Alici abbia accettato il ruolo di mediazione all'interno del gruppo di 5 "saggi" (Giovanni Giacobbe del Forum delle famiglie, Carlo Casini del Movimento per la Vita, Francesco D'Agostino dell'Unione dei giuristi cattolici, Domenico Delle Foglie di "Scienza e Vita", oltre ad Alici stesso) chiamato a redigere il manifesto "Più famiglia", perché convinto dalle rassicurazioni di mons. Giuseppe Betori che al documento non sarebbe seguita alcuna manifestazione di piazza (una iniziativa che colto alla sprovvista anche Cl e Movimento per la Vita). Ma poi le cose sono andate diversamente, e il presidente dell'Ac ha portato a termine obtorto collo il suo compito, limando ed emendando il manifesto in modo che non risultasse "indigesto" a nessuno dei firmatari (anche se l'ala destra dello schieramento ha trovato la sintesi troppo "morbida"). Ma l'eccessiva esposizione dell'Ac in una operazione tutt'altro che condivisa all'interno dell'associazione ha messo in subbuglio una parte della dirigenza, a livello locale e nazionale. A Torino, l'appello a favore dei Dico di un gruppo di credenti (per sottoscriverlo basta inviare una mail a laicita@gmail.com, v. Adista n. 23/07) è stato sottoscritto, tra gli altri, dai responsabili del Settore Adulti dell'Ac torinese Nino Cavallo e Paola Gariglio e dall'amministratore diocesano Stefano Vanzini (in pratica, 3 membri della presidenza diocesana). Oltre a loro, il presidente del Meic locale Beppe Elia e gli ex responsabili di Acr Domenico Raimondi, Elena Gariglio, Roberta Russo e l'ex responsabile Giovani Luca Bobbio, oltre ad altri consiglieri. Sintomo di un malumore diffuso, che ha trovato una sponda anche a livello nazionale: nel corso di una seduta straordinaria della presidenza di Ac, tenutasi il 17 marzo e protrattasi a lungo, i vicepresidenti nazionali degli adulti e dei giovani hanno lamentato il ruolo imposto all'associazione dalla Cei, che ha reso l'Ac semplice cinghia di trasmissione dei desiderata della gerarchia verso i credenti e le altre strutture laicali. E al danno si è poi aggiunta anche la beffa. Se il manifesto "Più famiglia", evitando ogni esplicito riferimento ai Dico, tenta di non cadere nella contrapposizione frontale col governo e i parlamentari cattolici del centrosinistra, ci ha pensato il Sir, l'agenzia di stampa dei vescovi, a spiegare quale deve essere il vero senso della manifestazione del 12 maggio. In una nota del 19 marzo, l'agenzia sottolinea infatti che nel Manifesto firmato dalle associazioni cattoliche c'è un "evidente riferimento ai Dico". Le Acli di Arezzo: ma a noi i Dico piacciono Ciononostante, Andrea Olivero, presidente nazionale delle Acli, il 21 marzo difendeva la scelta di non citare i Dico nel manifesto: ''Non nascondiamo la testa sotto la sabbia, è noto che il disegno governativo non ci piace, ma abbiamo voluto 'volare più alto' indicando alcune questioni basilari rispetto al futuro del soggetto famiglia, senza entrare nella polemica". Tra le righe, le parole di Olivero rivelano che se Sparta piange, Atene certamente non ride. Anche nelle Acli, infatti, l'adesione del presidente nazionale alla manifestazione del 12 maggio è stata digerita male da una fetta consistente della base aclista. E c'è già chi marca le distanze dal gruppo dirigente. Come la presidenza provinciale delle Acli di Arezzo, che in un documento del 26 marzo sottolinea come "in una società pluralista la laicità rappresenta la giusta garanzia per la libera espressione delle diverse componenti della società" e ciò "richiama i cristiani stessi a impegnarsi a favore dei più deboli, più bisognosi di giustizia e solidarietà. In questo senso, il disegno di legge sui Dico non tocca l'istituto del matrimonio e nemmeno ne crea un altro simile, ma prende atto di una situazione e cerca di attribuire alcuni diritti non alle convivenze in quanto tali ma ai conviventi, in quanto persone. Lo Stato deve occuparsi di tutti i cittadini senza distinzioni e discriminazioni, riconoscendo loro giusti diritti dove e quando ci sono". "Spetta alla Chiesa – conclude il documento – individuare i principi, comunicarli in modo chiaro, favorendo confronto e dialogo. E aiutare i laici impegnati in politica a realizzarli nella loro autonoma responsabilità: sono i laici a orientarsi secondo l'insegnamento della Chiesa, assumendo la fatica di scelte politiche". Anche nella stampa diocesana c'è chi ha deciso di disertare la chiamata alla guerra anti-Dico proclamata dal card. Ruini e dal papa. Uno di questi è don Vittorio Cristelli una delle firme più autorevoli del settimanale Vita trentina (di cui è stato anche direttore dal '67 all''89). Sul numero del 18 marzo, Cristelli afferma che le manifestazioni di piazza, "anche per esigenze di spettacolarizzazione, si caricano di simboli polemici e di sceneggiature satiriche, che estremizzano le tematiche e personalizzano le polemiche. Il rischio è che, complice anche l'ulteriore spettacolarizzazione televisiva, l'opinione pubblica sia indotta a soffermarsi sugli aspetti scandalistici, anzi colga solo i messaggi collaterali gridati, anziché il senso tematico della manifestazione". Come è avvenuto per la manifestazione pro-Dico di piazza Farnese, a Roma: "Si è imposta solo quella che Avvenire ha chiamato ‘caciara anticlericale' e vengono ritrasmessi solo i cartelli e le sceneggiate contri i vescovi e il Vaticano. Vedrete che qualche cosa di analogo, ma in senso contrario, avverrà al Family day". Perché, spiega Cristelli, "la piazza va bene ed è un diritto. Ma andrebbe sottoposta alla potatura da quelle deformazioni che Francesco Bacone nel suo metodo per una lettura oggettiva della realtà chiama ‘idola' (immagini deformanti)": per questo, "la serietà del tema famiglia, ma anche del tema unioni di fatto, meriterebbe una potatura decisa e potente dalle deformazioni. Anche noi credenti dobbiamo sottoporci a queste potature che possiamo chiamare conversioni quaresimali". (valerio gigante)
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