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Le radici della crisi, i nodi irrisolti, le speranze e gli scenari futuri. Dibattito a più voci

Tratto da: Adista Documenti n° 50 del 07/07/2007

(Furio Colombo non ha potuto partecipare al dibattito per impegni già assunti)

Luca Kocci: Guardando i primi passi del Partito Democratico, mi trovo maggiormente d’accordo con Raniero La Valle piuttosto che con Giorgio Tonini. Il Pd, più che un incontro tra laici e cattolici - come sosteneva Giorgio -, mi sembra un’operazione di ingegneria partitica, come diceva Raniero. Inoltre lo scorso settembre, sia i Popolari a Chianciano che i Cristiano sociali ad Assisi - e Adista ne ha parlato ampiamente - chiedevano che il cattolicesimo-democratico, da non confondersi con un grigio “moderatismo” cattolico, fosse una delle culture fondanti e protagoniste del Pd. Invece mi pare che questa istanza non sia affatto presente e che il cattolicesimo-democratico si sia eclissato. Chi rappresenta i cattolici nel Pd? Forse Bobba, Binetti e Fioroni? O forse gli atei devoti e i miscredenti clericali di cui parlava Furio Colombo? Rosy Bindi, che potrebbe farlo, è stata quasi crocifissa dopo la proposta sui Dico e contro di lei - con le gerarchie ecclesiastiche in prima fila - è stato organizzato il Family Day. Allora mi chiedo: c’è qualcosa che non ha funzionato oppure il percorso è ancora tutto da fare?

Valerio Gigante: Io cercherei di rimettere nella discussione un po’ di ciò che diceva Giovanni nella sua introduzione circa il ruolo che la gerarchia ha avuto nel cancellare tutto ciò che di vivo e vivace c’era nella realtà ecclesiale del post-concilio, cercando di guardare a ciò che è avvenuto nella sinistra negli ultimi 20-30 anni e – parallelamente – analizzando il processo involutivo del laicato cattolico.
Da una parte, mi trovo molto d’accordo con Raniero e con Angelo nel rilevare che in questi anni c’è stato uno smantellamento pezzo per pezzo del nostro sistema democratico, a partire dal referendum sul maggioritario del ‘93, che ha portato allo stravolgimento dei cardini del nostro assetto costituzionale. Probabilmente, questo processo era cominciato già anni prima, con il progetto craxiano della “Grande Riforma”, e anzi forse la crisi ha le sue origini già dagli anni ‘70. La risposta più lungimirante in termini di analisi politica – anche se personalmente non la condivido, le riconosco un grande slancio, una grande capacità di analisi – era quella di Moro: morto Moro, è cominciata “de facto” la Seconda Repubblica. In questi anni abbiamo visto infatti l’abbattimento dei partiti di massa, la cancellazione delle culture politiche, una stampa politica - punto di riferimento per centinaia di migliaia di persone - letteralmente smantellata, un’ingegneria costituzionale che è andata avanti, fino all’elezione diretta del primo ministro, che – seppure non prevista esplicitamente nel nostro ordinamento – nei fatti già c’è, tanto che nella coscienza di tutti alle ultime elezioni Prodi si è scontrato contro Berlusconi. E quando tu, Raniero, ti chiedevi perché un cattolico democratico deve trovarsi per forza a fianco di Pannella, rispondo che è questo sistema che ci impone di scegliere sempre tra “Roma” e “Lazio”. E se tu rivendichi il diritto di essere dell’Inter  ti rispondono che devi assolutamente schierarti o per la Roma o per la Lazio, altrimenti contribuisci a fare il gioco di uno dei due.
In questo contesto, la cultura della sinistra è stata distrutta, ma si è anche autodistrutta, e continuo a non capire perché il Pci-Pds-Ds abbia rinunciato ad avere una scuola di formazione quadri com’era quella di Frattocchie, né perchè a sinistra nessun altro partito si sia posto il problema della formazione della propria classe politica.

Raniero La Valle: E adesso che cultura ci metterebbe dentro le Frattocchie?

Valerio Gigante: Temo nessuna. D’altra parte, però, cos’è avvenuto negli ultimi 20-25 anni? Lo smantellamento sistematico di tutto ciò che era fermento, confronto, dibattito. Tanto che oggi, non solo non esiste dibattito, conflitto, ma manca proprio l’informazione, che è alla base del dibattito: perché se uno non ha i dati per discutere, su cosa si confronta? E passo al versante ecclesiale, tratteggiato da Giovanni. Il sistematico azzeramento del ceto dirigente del laicato cattolico, ha lasciato senza punti di riferimento i credenti. Per questo sono piuttosto scettico sulla “genuinità” del cattolicesimo di chi, come Bobba, ha rappresentato proprio la parabola involutiva di una struttura come le Acli che ha costituito un elemento fondamentale, insieme all’Azione Cattolica, nella formazione del dibattito ecclesiale negli anni ‘70 e ‘80 e che per questo è stata quasi del tutto cancellata, perché oggi la voce deve essere una sola, quella del padrone, che non ti chiama a discutere; semmai ti convoca in piazza a sostenere un documento - “Più famiglia” - che è stato scritto e deciso in altri luoghi.
Se la sinistra è all’anno zero, e il mondo cattolico, quello delle parrocchie, dell’associazionismo, e quindi in gran parte anche del cattolicesimo democratico, è grosso modo allo stesso punto, mi chiedo: in questo quadro, un nuovo contenitore a cosa serve? Non sarebbe meglio, piuttosto, cominciare a spargere quei semi nelle coscienze di cui parlava prima Angelo? Perché – anche se sembrerà un luogo comune – due debolezze non fanno una forza. Cioè, due culture politiche in crisi – quella della sinistra e quella del cattolicesimo di base - non fanno un Partito Democratico forte…

Giovanni Avena: Aggiungo una cosa minima, per rispondere alla minimizzazione di Ruini che Raniero ha anticipato e Furio Colombo ha ripreso. Sì, certo, nessuno sottovaluta il ruolo di Berlusconi nella crisi del sistema politico italiano; ma se i “miscredenti” devoti cui accennava Colombo non avessero trovato nel “miscredente” Ruini chi desse loro una sponda e il “battesimo”, essi non avrebbero avuto il peso e il successo che oggi possiedono. Il “miscredente” Ruini ha ripudiato i credenti: quelli della scelta religiosa, quelli del Concilio, quelli impegnati da laici in politica proprio perché credenti, quelli del cattolicesimo democratico ma anche quelli del cattolicesimo sociale. Se lui non avesse consumato questo ripudio,  questi miscredenti non avrebbero avuto il successo di cui attualmente godono. Oggi, nel Pd, ho l’impressione che questa coscienza, questa capacità di analisi, manchi completamente perché - è ormai il senso comune della politica - la Chiesa va rispettata, con la Chiesa bisogna trovare forme di compromesso, di “solidarietà”, come ha recentemente detto Napolitano. Se il Pd nasce così, tanto vale essere nostalgici della Dc e io - a questo punto - lo sono.

Maria Rita Rendeù: Torna il problema della consapevolezza o meno circa le due anime del cattolicesimo italiano e di come il Pd si renda capace di sceglierne una, non in funzione intraconfessionale, ma in funzione politica, cioè per affermare una cultura politica di un tipo o di un altro.

Raniero La Valle: Dobbiamo rispettare la metodologia della formazione della cultura, cioè analizzare come si formano le culture. Mi chiedo: si può formare una cultura che abbia come presupposto e come condizione della sua legittimità che essa debba essere in partenza maggioritaria, cioè una cultura che deve andare bene a tutti o alla stragrande maggioranza del Paese? No, mi sembra un’assurdità, perché le culture devono potersi sviluppare anche in condizioni di minoranza. Cioè, se vogliamo oggi riprendere una cultura di cattolicesimo democratico, non possiamo pretendere di avere una cultura che vada bene a Ruini, alla Binetti, a Rutelli e che possa essere allo stesso tempo accettata come interessante dai laici dei Ds.
Le minoranze non devono aspettare la fine dei tempi per poter dire la loro. E neanche devono per forza diventare maggioranza. No, bisogna che abbiano da subito accoglienza dentro la società politica. Ho fatto l’esempio della minoranza cristiano-democratica, ma potrei aggiungere: perché non può esistere una minoranza che cerca di mantenere la memoria del marxismo? Perché questa minoranza, per essere accettata nella rappresentanza politica, deve per forza trovare un’unità con altre minoranze che magari non hanno alcuna intenzione di dialogare o di avere rapporti con il pensiero di tradizione comunista? Ma per quale ragione non può esistere un gruppo di pressione omosessuale che cerca uno sbocco sul piano della rappresentanza politica per sostenere le sue tesi? Ma perché io devo mettere questi omosessuali dentro uno schieramento che pretende di avere la metà più uno del consenso degli italiani? Continuando con questa logica, ci votiamo a una sconfitta certa. Perché Kerry ha perso le presidenziali del 2000? Colombo ha ragione sui miscredenti, ma è quando gli hanno messo fra i piedi la questione degli omosessuali che Kerry ha perso le elezioni: come si fa ad esprimere una convinzione che risulti onnicomprensiva di almeno metà del Paese?
La perdita del proporzionale è stata la perdita dell’agibilità culturale della politica. È il sistema proporzionale che permette che diverse culture politiche possano liberamente esprimersi. Poi, certo, devono trovare un luogo di composizione sul piano dell’alleanza politica, della proposta di governo. Moro faceva questo, ma Moro in partenza non stava con i comunisti: arrivava con grandissima fatica e dopo un lunghissimo percorso ad una alleanza con loro…

Giorgio Tonini: Raniero, Moro aveva un partito del 40%! E, dall’altra parte, un partito comunista che aveva il 35%. Adesso abbiamo 73 partiti del 2% l’uno, questo è il punto!

Raniero La Valle: Proprio perché c’è questa situazione di disgregazione - che fa poi parte della tradizione italiana, lo sappiamo benissimo - bisogna creare delle condizioni perché l’aggregazione sia naturale per tutti e non coatta. Per dialogare, le culture devono esistere. Allora dobbiamo smettere di pensare a cosa deve essere il partito democratico, o a cosa deve essere la sinistra unita (la sinistra in Italia non fa altro che discutere di se stessa). Discutere solo sullo strumento che deve funzionare - come anche Prodi ha imposto al sistema politico italiano - è una dinamica drammatica, è veramente la vittoria dell’antipolitica: che cosa può desiderare infatti l’antipolitica se non il fatto che si spengano le culture politiche, che si spengano le differenze, che venga meno il dibattito politico e quindi si debba arrivare poi per forza a delle soluzioni neutre sia sul piano culturale che su quello ideologico?
Neutre, poi, solo apparentemente, perché sappiamo benissimo che si tratta di soluzioni tecnocratiche. Prodi non può pensare che se lui fa una cosa giusta dal punto di vista dei conti dello Stato, questa cosa non vada spiegata, perché dopo si capirà che aveva ragione lui… Ma quando si capirà che aveva ragione lui sarà troppo tardi, la sinistra italiana sarà già affondata! Prodi non può dare la base di Vicenza rifiutando perfino di discutere con il suo popolo, con il suo elettorato. Prodi può benissimo dire: “Noi non abbiamo la forza politica per dire di no agli Stati Uniti d’America”; ma non può dire che quello di Vicenza è un problema urbanistico e a quelli che protestano che sono degli estremisti. Non può dire questo uno che gestisce una comunità politica (non un’azienda!). Non basta mettere in ordine i conti pubblici, bisogna dare risposte. Allora, non pensiamo tanto agli strumenti, ma pensiamo a ciò di cui ha bisogno questo Paese. Ha bisogno di tornare ad una ricchezza politica, ad un’agibilità politica. Quindi occorre che si torni al pensiero politico, alle condizioni perché il pensiero politico si manifesti.

Giorgio Tonini: Concordo sull’importanza del pensiero politico, ma non credo che il proporzionale sia ciò che occorra in tal senso al Paese. Di fatto, il proporzionale non è mai stato abolito. In tutti gli ordini e gradi in cui si vota c’è il proporzionale con le preferenze. La verità è che il bipolarismo è dato da Berlusconi, perché, se non ci fosse Berlusconi, in quell’aula del Senato o della Camera si potrebbero votare altre dieci maggioranze diverse, ma non si può fare perché “di là” c’è Berlusconi. A chi ci si può rivolgere “di là”? L’unico è stato Follini, ma che è dovuto venire “di qua”!

Raniero La Valle: Il problema è che ogni cinque anni votiamo una rappresentanza. Ma nei cinque anni di legislatura può succedere qualunque cosa: la guerra, l’inflazione… e il popolo? Come esercita la sua funzione circa la politica italiana? Attraverso le televisioni o attraverso il Parlamento? Il problema non è il proporzionale ma la attuazione della Repubblica parlamentare...

Giorgio Tonini: Noi non abbiamo mai smesso…

Raniero La Valle: ... ma non è vero! Il Partito Democratico nasce per il bipolarismo, non per altro; e se qualcuno lì si azzarda a negare il bipolarismo è  considerato eretico.

Giorgio Tonini: Rifondazione Comunista, che è il partito meno bipolare che esista, sostiene che se cade Prodi, si va alle elezioni... Per forza: con chi la fai un’altra maggioranza?

Raniero La Valle: È  il sistema…

Giorgio Tonini: Ti elenco i partiti di centro destra: dimmi quale altra maggioranza è possibile in questo Paese… siamo costretti a questa polarizzazione perché di là c’è Berlusconi!

Angelo Bertani: C’entra Berlusconi, ma c’entrano anche molte altre cose. Intanto, negli anni ’90, i partiti erano praticamente scomparsi...

Raniero La Valle: I partiti sono stati sciolti. Ci sono state scelte precise per togliere di mezzo i partiti.

Angelo Bertani: C’erano problemi anche, in qualche modo, di adeguamento al resto del mondo occidentale: perché è vero che noi eravamo l’unico Paese del mondo, in un gruppo di Paesi relativamente omogenei, che cambiava governo ogni anno. C’era moltissima instabilità.

Giorgio Tonini: Direi piuttosto che c’era stabilità politica senza governo...

Angelo Bertani: Anche di governo: al limite cambiavano un poco gli equilibri tra i vari partiti minori...

Giorgio Tonini: ...Con un debito fuori controllo...

Angelo Bertani: ...Insomma, occorreva raggiungere una diversa governabilità. L’idea è stata quella di arrivare a un sistema bipolare. Secondo me, il sistema dell’alternanza è praticabile, a due diverse condizioni. La prima è  che esistano due diversi tipi di soggetti politici. Uno è quello che viene eletto una volta ogni cinque anni e che staccandosi dai partiti di appartenenza governa, con il controllo del Parlamento. Poi esistono a valle i partiti, i quali possono, a seconda del caso, o ritirare la loro fiducia al governo o costruire diverse alleanze per la tornata elettorale successiva, scegliere i candidati per le elezioni locali ecc... Partiti dove i cittadini possano trovarsi in sezione e che vivano grazie a leggi che ne consentano l’esistenza: perché l’altro problema è che si finanzia la campagna elettorale e poi non si finanzia la vita culturale. La seconda condizione è che ci sia una dialettica con gli eletti, che si facciano congressi di partito in cui si può cambiare linea o alleanza con alle spalle vera partecipazione democratica, informazione, giornali che formano un’o-pinione pubblica critica, ecc. Quando diciamo politica, diciamo due cose diverse: una è il lavoro dell’amministra-zione, l’altra è la riflessione, la discussione, l’elaborazione di idee, il giudizio sulle cose, le scelte vocazionali. Due cose che non possono essere però in contraddizione: non può essere nello stesso luogo chi pensa alla mazzetta e chi a Maritain. Di fatto, nei primi anni ‘90 il sistema, anche per inerzia di tanti cittadini valorosi e un po’ astratti, ha finito per essere dominato da quell’apparato ‘confessionale’, ovvero di ceto,  nato da questo stesso sistema, che si è auto-proclamato. E oggi i partiti sono i partiti degli eletti. Questo è il problema della democrazia italiana.

Maria Rita Rendeù: Ed eletti che spesso gettano interrogativi inquietanti sugli stessi partiti e sulla tenuta morale dell’intero Paese, dato che ci sono intere zone d’Italia, dove si vota liberamente per i mafiosi. Ciò riguarda la formazione dei soggetti politici e delle culture politiche ad essi sottese. Ed è un problema anche del Pd, nel senso di quella lungimiranza politica che gli si richiedeva prima.

Giorgio Tonini: Riprendo il filo del ragionamento che stavo facendo a partire dalla provocazione di Giovanni Avena. Penso che nel dibattito che c’è stato finora si è confermato un punto, seppur visto in modo diverso. E cioè che le dinamiche interne alla Chiesa nel suo rapporto con la politica sono fortemente influenzate dalla politica. Poi per fortuna la Chiesa ha tante altre dimensioni: Bose, le parrocchie, il popolo di Dio che crede a modo suo...

Giovanni Avena: ...Ripudiati...

Giorgio Tonini: Ripudiati dai pastori, sì, ma sappiamo che anche i pastori non sono tutti uguali: ci sono anche bravi vescovi, talvolta disorientati. Ma comunque la dimensione pubblica, la dimensione storico-politica della Chiesa intesa come soggetto storico nel nostro Paese è pesantemente influenzata dalla politica. E quindi, secondo me, come non ci sarebbe il “ruinismo” - per come lo abbiamo descritto -  senza Berlusconi, così - sono assolutamente d’accordo con Giovanni – non ci sarebbe il berlusconismo se non ci fosse stata anche una dimensione “ruiniana”, nel senso dell’in hoc signo vinces. Il che non ha nulla a che fare con la “fede credente”, piuttosto ha a che fare con la religione strumento del potere, che diventa anche cultura politica e quindi strumento di lotta politica. Concordo anche con Furio Colombo quando rileva una impressionante somiglianza con la vicenda americana, anche nel valutare la crisi della sinistra. Perché un elemento della sinistra guarda caso coincide con la crisi dei Democratici americani: è il capitolo dei diritti civili. Il grande movimento per i diritti civili ha provocato un elemento di reazione, come sempre accade nella storia. Il che non vuol dire che chi si batte per i diritti civili ha torto, ma che ad ogni azione corrisponde una reazione. Nel Sud statunitense, i democratici, fino a Kennedy, sono stati un partito razzista, segregazionista, contrario ai diritti civili. La rottura portata avanti prima da Kennedy e poi da John-son ha provocato un movimento di reazione, che allora si chiamava moral majority, che è il ceppo dal quale è nato l’incontro tra destra americana e destra religiosa arrivato fino a Bush, con le varie metamorfosi di cui prima ci ha parlato Colombo. In Italia, Berlusconi ha costruito a tavolino questo processo: ed ha avuto, sta avendo e continua ad avere un impatto formidabile nel mondo cattolico e dentro la Chiesa, anche per la potenza del sistema dei media, che non a caso Berlusconi controlla, e che costituisce l’elemento più importante del suo impero. Un secondo aspetto: la rottura degli anni ‘90, quella che ha portato a Berlusconi. Sono d’accordo con Angelo: i partiti erano morti. Quelli che allora organizzarono il referendum per la preferenza unica o le inchieste di Di Pietro alla Procura di Milano non sarebbero stati in grado di buttare giù la potente Dc o il potente Pci, se questi partiti non fossero stati marci alle fondamenta. Molto di più la Dc, molto meno il Pci, ma erano comunque posti inabitabili per ogni giovane per bene.

Giovanni Avena: Erano marci per corruzione o marci per mancanza di democrazia?

Giorgio Tonini: Per mancanza di ricambio. Perché anche in democrazia,  quando non ci sono competizione e ricambio, l’acqua stagnante imputridisce. C’era un partito che governava senza una vera alternativa e questo provocava quella rendita di posizione che conosciamo. La Dc stava in piedi in quanto c’era la sfida del Pci: perché, altrimenti, avrebbero dovuto stare assieme quelli di Zaccagnini e quelli di Forlani?.
Se mi si chiede la data di nascita del bipolarismo in Italia, così come lo conosciamo oggi, con i suoi pregi e i suoi difetti, io rispondo il 1976, il XIII congresso della Dc. Il primo con l’elezione diretta del segretario, che sostanzialmente sostituisce il concetto del bipolarismo occidentale al meccanismo della consociazione proporzionalistica. Prima c’erano le varie correnti che in Congresso portavano ciascuno i propri rappresentati in Consiglio Nazionale, il quale a sua volta eleggeva il segretario in base agli equilibri provvisori e precari tra le varie correnti, che si modificavano poi strada facendo. Nel 1976 per la prima volta il segretario viene eletto dai delegati, e quindi indirettamente dagli iscritti: e infatti c’è il confronto con forte polarizzazione tra Zaccagnini e Forlani. Di fatto lì nascono due partiti. Erano due modi opposti di intendere la politica: si confrontavano, infatti, sulla questione fondamentale del Paese in quegli anni: se andare verso l’alleanza con il Pci e il confronto tra le forze popolari nel segno di Moro o se andare dall’altra parte, ricostruendo un blocco centrista in chiave anticomunista. E questo confronto è stato il segno della fase finale della prima Repubblica ed è da lì che è nato il germe delle due posizioni politiche successivamente.
Non a caso ci sono Prodi e Berlusconi: da un lato, la tradizione della sinistra Dc e la sua voglia di dialogo con la sinistra (mentre Berlusconi era l’uomo di Craxi), dall’altro l’emarginazione della sinistra con un blocco centrista, il famoso Caf.
Qual è stato l’elemento critico delle classi dirigenti in quegli anni? Il non aver colto il problema di una guida della transizione del sistema politico verso un modello di democrazia diverso da quello che avevamo conosciuto, segnato da un Partito Comunista così forte come non ce n’era un altro in Occidente, con la parziale eccezione della Francia prima di Mitterrand. Non c’è stata una classe dirigente in grado di pilotare questo passaggio: e il non farlo ha coinciso con la fase in cui il Paese rischiava di andare alla rovina. Sotto il governo Amato, nel ‘92, c’era il rischio che lo Stato dovesse portare i libri in tribunale, per così dire, non potendo pagare gli stipendi agli statali e le pensioni alla fine del mese; la svalutazione della lira era del 25%. Da allora è evidente che il bipolarismo italiano è stato segnato, piaccia o non piaccia, da Berlusconi. E non da due grandi forze politiche popolari come nel disegno di Andreatta: per lui, il Pci doveva diventare la Spd e la Dc la Cdu, come in Germania. Il suo disegno fallì sostanzialmente perché la Dc sprofondò nel pantano che segnò l’ultima fase della sua vita e il Pci non ha fatto in tempo a diventare un partito socialdemocratico. Il risultato è stato il bipolarismo segnato da Berlusconi, cioè da un elemento populista che oggi è l’elemento di assoluta rigidità del sistema italiano, quale che sia il meccanismo elettorale e politico che si possa inventare. La Costituzione è ancora quella del ’48 invariata, è cambiato solo il federalismo, un aspetto importante ma che non riguarda la forma di Stato e la forma di governo. Quanto alla legge elettorale, è vero che abbiamo avuto il maggioritario, ma siamo stati bravissimi a proporzionalizzarlo.
Per il resto, noi abbiamo votato con la proporzionale. E alle comunali di tutta Italia, non si è forse votato con il proporzionale? Ogni partito prende i suoi voti e la riforma elettorale ultima, il famoso Porcellum, è stata fatta perché ogni partito voleva il proprio simbolo sulla scheda, con uno sbarramento solo del 2%.

Valerio Gigante: Lo sbarramento, che al Senato è il doppio, obbliga i partiti a presentarsi in coalizione, creando alleanze innaturali. E poi, quando tu parli di un sistema bloccato da Berlusconi, io rilancio: e se fossimo noi ad aver causato questo circolo vizioso, creando la mitologia dell’uomo forte per cui a livello circoscrizionale, comunale, provinciale e regionale dobbiamo eleggerci lo ‘sceriffo’?

Giorgio Tonini: Io sto dicendo che Berlusconi è l’elemento di discriminante politica, perché non si possono fare accordi con lui – è una linea invalicabile. A che serve il Pd in questa situazione? Sottoscrivo in pieno le parole di Angelo Bertani. Noi abbiamo bisogno di un partito per la democrazia in Italia, perché i partiti non ci sono – c’erano prima e da quando sono morti non ne sono stati fatti altri. C’è stato un tentativo: il Pds e poi i Ds sono stati un tentativo di costruire un grande partito sul modello socialdemocratico, che è il pilastro su cui in tutta Europa si fonda la sinistra con la sua cultura, la sua storia. I Ds sono passati dal 21% nel ‘96 al 16% nel 2001 e al 17% nel 2006. Mentre un partito, per costruire democrazia, deve essere grande e mettere insieme tanto popolo. Magari questo esperimento fallirà, non ho nessuna certezza: in Italia la forza centrifuga è molto più forte della centripeta e, semmai, la legge elettorale deve aiutare in questo senso.
Perché serve un partito grande e democratico? Per tre ragioni. La prima: dare forza alla politica. Non c’è democrazia senza una politica forte, altrimenti sono più forti altri poteri, dalle Fiamme Gialle all’economia, alla finanza, alla Chiesa. Secondo: abbiamo bisogno di democrazia e solo un partito degno di questo nome può far decidere alla gente, facendola partecipare ai momenti fondamentali col suo voto e alla vita quotidiana attraverso forme reticolari e anche differenziate di partecipazione (movimenti, associazioni ecc.). Terzo: perché abbiamo bisogno di un pensiero nuovo. I pensieri del ‘900, che non vanno cancellati ma tenuti vivi, devono in qualche modo aprirsi ad un orizzonte che è profondamente cambiato. Cambiato il contesto, dobbiamo elaborare insieme un pensiero nuovo: è anche per questo che abbiamo bisogno di un partito dove convivano pensanti e credenti nel senso lato del termine di ogni origine, cultura, confessione.

Valerio Gigante: Mi viene in mente quella vecchia pubblicità in cui si doveva dipingere una parete grande e un pittore girava per le strade trasportando un pennello enorme. Lo spot sosteneva però che non c’era bisogno di un “pennello grande”, nel senso delle dimensioni; piuttosto di un “grande pennello” nel senso della qualità. Mi sembra - Giorgio - che tu pensi che per contrastare la crisi politica italiana sia necessario un Partito di dimensioni grandi. Io invece credo che il problema non stia tanto nella creazione di un grande contenitore elettorale, quanto nell’elaborazione di una cultura che faccia “grande” la politica di un partito, anche minoritario o di piccole dimensioni.

Giorgio Tonini: Diciamo che nella “sala parto” del Partito Democratico c’è una grande confusione e un grande agitarsi, qualcuno gira a vuoto, qualcuno parla a vanvera... Eppure abbiamo assistito già a un grande fatto democratico. Ds e Margherita nel loro congresso (i Ds anche a voto segreto, sezione per sezione, con 250.000 votanti e il 75% di sì) hanno accettato la scommessa di rimettere in discussione la loro casa per dare una chance alla democrazia dell’intero Paese. Il tutto può fallire, certo: in Italia in fondo ha sempre successo chi opta per tenere il proprio fagottino e aprire una bancarella tutta per sé, con la sua struttura, il suo segretario, il suo apparato. È anche più facile, perché non c’è bisogno di confrontarsi con chi la pensa diversamente.

Valerio Gigante: Non nego che quello che dici sia più difficile. Io torno al discorso dei semi della coscienza...

Giorgio Tonini: Sì, ma questo non è al momento il punto della questione che stiamo discutendo.

Raniero La Valle: Solo una precisazione. Quando nel Pci è partita la grande kermesse per fare il partito nuovo, me lo ricordo perfettamente, la preoccupazione dei promotori di questo nuovo soggetto politico era che non c’era una destra, che se la dovevano inventare: fino a quando Berlusconi non è entrato in campo, questi erano convinti che la destra in Italia non ci fosse. Questo per dire fino a che punto le analisi sono carenti. Allora, vi faccio gli auguri più grandi affinché ce la facciate, per carità, però la cosa che mi preoccupa è che una situazione così drammatica come quella in cui siamo oggi in questo Paese sia legata a una scommessa. Sapere che la mia democrazia è affidata ad una roulette russa mi fa spavento. Così come mi spaventa sentire che l’unica speranza è che Berlusconi ad un certo punto se ne vada: è una posizione disperata…

Giorgio Tonini: Lo abbiamo battuto, però. Di poco, ma lo abbiamo battuto…

Raniero La Valle: Probabilmente è più facile combattere adesso la destra proprio perché c’è Berlusconi. Ma quando la destra troverà un altro personaggio, più credibile ma con gli stessi ingredienti di fondo, il confronto sarà  molto più difficile. Se noi predisponiamo degli strumenti non garantisti, che non permettono di restituire un ruolo al Parlamento e un’agibilità alla vita politica, arriveremo a una situazione così rigida che il giorno in cui un Turigliatto qualunque vota secondo le proprie convinzioni casca il governo, e così casca anche la Repubblica. Credo al diritto di Turigliatto di votare contro il governo; credo però che lo debba esercitare senza il rischio di causare una crisi istituzionale. Oggi invece siamo sul piano di un continuo azzardo politico.

Angelo Bertani: La vera debolezza - e questa è una debolezza soprattutto della sinistra - è che la partecipazione politica dei cittadini dovrebbe connotare questo centrosinistra, mentre invece non è così. Sarebbe il suo strumento di presenza politica, mentre la destra ha la televisione, i dividendi, i consigli delle banche, ecc. Il chiamare a partecipare è il modo per rafforzare la democrazia e la sinistra. Tutti temiamo invece che l’opera-zione del Partito Democratico sia fatta “a freddo”, che ci siano tanti sospetti reciproci, che non venga valorizzato abbastanza quello che è l’aspetto obiettivamente interessante: ovvero  che si mettano insieme a discutere culture politiche diverse, esponenti piuttosto vivaci, spesso pregevoli, ma di solito annegati nel silenzio. Se il Partito Democratico riuscisse ad operare questo di più di partecipazione sarebbe un gran bene.

Giorgio Tonini: In questo senso, stanno proliferando le scuole di formazione del Pd. Certo, tipiche dell’età moderna, non decise a livello centralizzato “dal partito”. Se ci fosse un “organo del partito”, oggi non lo leggerebbe nessuno. La società è molto più mobile e la dimensione della formazione diffusa e partecipata è molto importante. E non è vero che non c’è una cultura politica da trasmettere. È la cultura - così la vorrei definire - del mulino: impasto di tradizioni e storie diverse, capace di elaborazioni altissime così come di una cultura di base che sta cominciando a diventare una koiné di gruppi e di persone.

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