CRISTIANESIMO E SOCIALISMO: COME VIVERE LA FEDE NEL XXI SECOLO?
Tratto da: Adista Documenti n° 60 del 08/09/2007
Per cominciare, due annotazioni. Innanzitutto, per quanto Sono trent’anni che vivo in Venezuela. Quando ho toccato il suolo venezuelano, il 5 novembre del 1977, venivo da un’esperienza di comunità cristiana in cui vigeva la correzione fraterna, il lavoro di gruppo, la vita comunitaria. Di più, venivo dai miei studi di teologia all’Università di Salamanca, la stessa che anni prima aveva accolto Quevedo, Lope de Vega, Miguel de Unamuno, per citare alcuni degli alunni e professori più noti. Era proprio degli anni ‘70 sognare. Erano così profondi i sogni in quegli anni che la guerra del Vietnam, il muro di Berlino, le favelas di Rio erano parte della nostra vita. Erano i tempi in cui Gandhi e Luther King erano i maestri della resistenza pacifica e militante. Nel collegio universitario facevamo l’esperienza della "cassa comune". Ricordo che, durante le vacanze, il prete che guidava la nostra formazione ci sollecitava ad uscire. Io, per due volte, lavorai in una fabbrica di cemento a Wiesbaden, in Germania, facendo più ore che un orologio. Guadagnai un bel po’ di marchi che, tornato al collegio, consegnai ad un compagno più giovane di me che era amministratore del gruppo. Altri avevano lavorato in ospedale, o come commercianti, o in una fabbrica di Coca Cola... Ognuno metteva in comune quello che aveva. La cassa comune fu una buona scuola per imparare a condividere, per vivere austeramente, perché ci fosse coerenza tra quello che predicavamo e quello che vivevamo. Un principio avevamo chiaro: Gesù ci invita a vivere socialmente, in gruppo, in comunità. E con relazioni di rispetto e fraternità, di servizio e dedizione. Abbiamo la stessa dignità perché siamo fratelli. Un società di diseguali come l’attuale società di libero commercio finisce per essere un’immensa fabbrica per la produzione di impoveriti. E come far sedere alla stessa tavola, a spezzare il pane, chi muore di fame e chi muore per sovrabbondanza? È elementare l’affermazione che il Vangelo va letto con gli occhi di oggi, qui e ora, perché ha una capacità di giungere all’uomo che non passa mai, che è sempre attuale. Presenta la strada per la quale l’uomo nuovo, la donna nuova, la vita risuscitata a partire dal Risorto siano una realtà. E nella Parola c’è un’immagine che appare frequentemente: il mangiare in comune, il banchetto, il cibo condiviso, la moltiplicazione dei pani. Gesù, guardando la folla che lo ascoltava, e invitato a lasciarla andare - "lasciali andare perché vadano nei villaggi circostanti a comprarsi qualcosa da mangiare" - chiede ai vicini quanti pani avessero e dice: dategli voi da mangiare. Le persone che seguono Gesù sono in grande maggioranza povere, senza denaro. E vanno come pecore senza pastore, disorganizzate. Gesù si offre di dare una mano e contribuire ad organizzare questa moltitudine dispersa. Sono stanchi, affamati, ingannati da tanti falsi profeti, oppressi, e vedono in Gesù la loro speranza, l’uscita dall’oscurità. Come comprare se non hanno un soldo? Per questo Gesù li invita a dare, a condividere quello che hanno. La solidarietà è la spiritualità del Vangelo. E la condivisione. Gesù esce dalla logica per cui mangia solo chi ha, per cui il pane che ha Tizio è il suo pane e i mille pani che ha Caio sono i suoi pani e le migliaia di persone che non hanno nessun pane non mangiano oggi, né domani, né mai. Gesù sa che quello ha un pane, l’altro cinque, il terzo non ne ha, ma il quarto ne ha due... andiamo, ragazzi, condividiamo, dice Gesù, facciamo vedere che qualcosa di grande può uscire da qui. E mangiarono in cinquemila e si saziarono. È stato in Venezuela che ho conosciuto assemblee della comunità cristiana, incontri, celebrazioni festive nelle quali c’è sempre da mangiare per tutti. E la chiave è la stessa di sempre: ognuno porta qualcosa da condividere. E partecipano anche quelli che non portano niente. Nulla manca e nessuno se ne va senza aver mangiato. Nella casa dei poveri la solidarietà si cucina con la spiritualità della speranza. Ne ho fatto esperienza non molto tempo fa, in un’ordinazione sacerdotale. Il Rettore incaricato ha organizzato la cerimonia e il banchetto come fanno quelli che non sono soliti condividere: con inviti, sedie inghirlandate, piatti veri, numero di invitati ristretto e selezionato... Giunta l’ora del pranzo, la folla che era venuta all’ordinazione, e che non poteva entrare, quasi butta giù la porta, e il prete ha dovuto richiamare all’ordine. Più sgradevole ancora, in tanti sono rimasti senza mangiare. Nella maggior parte delle celebrazioni a cui ho partecipato e, soprattutto, in quelle organizzate dalle comunità cristiane succede il contrario. Sono invitati tutti, tutti portano qualcosa, tutti mangiano, anche quando è poco, tutti celebrano, tutti si sentono contenti di accompagnare lo sposo o chi ha compiuto gli anni o il nuovo sacerdote. Vivere cristianamente è vivere la spiritualità comunitaria. La spiritualità socialista è al cuore della vita cristiana che vede nell’immagine del banchetto la definizione del Regno. Gesù pone l’accento sul cibo, sul banchetto, sulla condivisione in casa di un amico: Gesù faceva così nella casa di Pietro, nella casa di Matteo, in quella del piccolo Zaccheo, accettava gli inviti e sapeva che le sue amicizie erano povertà pura. Negli anni ‘80, fra quelle care comunità di Petare, vivevamo qualcosa di quello che ci raccontano gli Atti degli Apostoli. A quel tempo, in quelle comunità, dove i poveri si organizzavano, nascevano la cooperativa di acquisto, la cooperativa di cucito, la bottega di medicina naturale e la scuola alternativa per i bambini rifiutati dal Sistema. Veniamo da questi cammini di popolo organizzato, nella spiritualità del vangelo di Gesù, il Nazareno, il Cristo Risorto. A rifiutare Gesù sono l’impero, i gerarchi del tempio, i venduti a Roma e la classe sociale che vive alle spalle del popolo, opprimendolo a partire dalla religione. Oggi nella Chiesa cattolica molti di noi che ci diciamo seguaci di Gesù non siamo coerenti con le sue pratiche. Egli propone l’uomo nuovo, la donna nuova, Egli ci offre il Regno e ci invita con la Resurrezione a vincere le tenebre, il male, il peccato, l’op-pressione, le espressioni di questo peccaminoso sistema che mette davanti a tutto il capitale, mette il denaro al di sopra della dignità dei figli di Dio. Cosa importa al capitalismo selvaggio se distrugge le menti dei piccoli e adolescenti con programmi vergognosi di violenza e pornografia? Gesù ci offre un cammino diverso da quello dei farisei e dei grandi signori: siate servi gli uni degli altri, eliminate le differenze, ponetevi sullo stesso piano, abbandonate questi vestiti sontuosi che attirano l’attenzione, eliminate i titoli con i quali vi pavoneggiate (i pavoni, quando aprono la coda e si sentono unici, mostrano il sedere. Tutti quelli che si mettono al centro o al di sopra finiscono per mostrare il di dietro), non permettete che vi riveriscano e non cercate i primi posti... Siamo molto lontani, noi ecclesiastici, dalla spiritualità di Gesù, il Cristo, molto lontani. Vangelo alla mano, per costruire l’uomo nuovo dobbiamo cambiare alcune cosette. Per cominciare, praticare il rispetto, perché i seguaci di Gesù e tutti gli uomini e le donne sono uguali, e fratelli. Perciò è bene lasciarsi dietro titoli magniloquenti, eminentissimo, eccellentissimo, santità, eccetera; e vestiti tanto chiassosi, e un’orga-nizzazione così piramidale che l’autorità diventa molto simile a quella mondana, e questo sistema di "legge e ordine" incapace di ascoltare il popolo e le comunità.. Un titolo buono per riconoscersi? Fratello, meglio di padre. Fratello Matías, meglio di padre Matías. E sedere alla mensa dei poveri e uscire a cercare chi è ai margini delle strade (noi della mensa sociale di San Buenaventura ci impegniamo a perlustrare ogni angolo, ovunque ci sia un uomo ferito, per invitarlo a mangiare con noi, a sentirsi fra fratelli e sorelle pronti a rivestirlo di abiti puliti). Pedro Casaldáliga ha pagine poeticamente evangelizzatrici quando scrive al papa sollecitandolo a lasciare il Vaticano: "Vieni Pietro, vieni dove sta la gente, perché conoscerai il dolore di questo tuo popolo e conoscerai la gioia della solidarietà nella favela e nel barrio". Bisogna cambiare l’impal-catura pagana che si è impossessata della Chiesa, carisma imbavagliato dalla legge fredda. Mi sto riferendo all’istituzione ecclesiastica della quale faccio parte, affinché conduca un esame di coscienza, aprendosi alla revisione, all’impegno di ascoltare la voce di Dio che è nel popolo. Ma è evidente che a maggior ragione devono cambiare anche gli attori del discorso politico attuale, perché la credibilità si perde in poco tempo. Come parlare di un socialismo rivoluzionario quando vediamo funzionari che comprano case stupende, vivono come ricconi, nuotano nell’ostentazione!? Come credere in quello che predica in lungo e in largo il Presidente se si continua a dare scandalo, con tante differenze, tante disuguaglianze? Come parlare di socialismo se si continua a mantenere una struttura come Guaiparo per chi non ha assicurazione e le cliniche private per quelli che godono di assicurazioni milionarie o di un pingue libretto d’assegni? Oggi in Venezuela viviamo tempi d’azione, di cambiamento, di rivoluzione già da ora, con la nostra vita, di conversione al popolo, "abbeverandoci allo stesso pozzo", come ci ricorda Gustavo Gutiérrez, ed in questa quotidianità il nostro popolo sta rendendo possibile la trasformazione che desideriamo. Noi, a partire dalla Chiesa, dall’esempio, siamo chiamati a presentare il socialismo sostanzialmente come spiritualità di Gesù. Proprio negli ultimi esercizi spirituali che abbiamo fatto come Chiesa di Ciudad Guayana, il predicatore, Eutiquio Sanz, sacerdote e netturbino per 30 anni, ci presentava alcuni criteri per la trasformazione della vita capitalista che non rinuncio a condividere. 1) La priorità del povero e la prassi politica trovano il loro fondamento nella misericordia di Dio. È con la politica che bisogna fermare la macchina che fabbrica poveri, l’azione politica in carità e misericordia. Essere radicali nella fede include la radicalità politica e questo non è facile. Bisogna essere disposti ad essere criticati ed attaccati perché coloro che più temono il cambiamento sono quelli che più hanno. 2) L’azione individuale e l’agire politico non si convertano nella mera gestione delle briciole del Sistema, cadendo nel rischio del paternalismo o dello Stato assistenzialista. Perché non è mai carità reale se non è da uguale ad uguale: questo è condividere mensa e beni, questo è l’Eucaristia. 3) Abbiamo bisogno di una nuova teologia, che nasca dal basso, che dia voce a chi è in basso, ai poveri. Dobbiamo leggere la storia a partire dai vinti, leggere la storia dalla parte delle vittime di tutte le dipendenze, dell’Aids. 4) Il Venezuela è profezia incarnata per il continente, per il mondo intero. Quelli che hanno occhi vedranno i cambiamenti che stiamo operando. Profeti contro la guerra, contro la xenofobia ("nessun fratello è illegale"), contro gli imperi, contro la manipolazione capitalista. Scelte che ci obbligano ad avere una spiritualità più impegnata, che sarà profetica solo quando sarà sostenuta dal nostro stesso stile di vita. 5) l’importanza dei poveri. Il Regno viene dai semplici, non dalle grandi somme di denaro. Viene dal credere che è necessario lasciarsi evangelizzare dai poveri – e questo nella nostra Chiesa che civetta con i ricconi non si riesce a capirlo -, che è necessario il contatto con i più semplici per comprendere la realtà, che è spesso molto cruda ma che è sacramento di Dio. Nel volto del povero, nel popolo organizzato, nel processo per la trasformazione delle strutture: qui vediamo il volto del Signore Gesù. 6) il prete netturbino insisteva molto sulla necessità di ‘fare rete’, attenti a rompere ogni isolamento delle lotte del popolo. Migliaia di esperienze ci possono venire in aiuto. In questo piccolo spazio del popolo di Dio che è San Félix, concretamente nella parrocchia di San Buenaventura, stiamo stringendo legami, condividendo, visitandoci, arricchendoci con la vita di popoli fratelli come quelli di El Salvador, Guatemala, Nicaragua, dell’altopiano peruviano, dei barrios Los Guandules di Santo Domingo... stiamo spingendo la storia insieme, in un grappolo. E in questo il Venezuela e il suo presidente sono un esempio: nella lotta per unire, per fraternizzare, per rafforzare la rete dei popoli uniti e difendersi dall’impero, dai piani economici che soffocano economie e speranze dei semplici. È creare la trama della sovversione contro il vecchio sistema (ricordo la lotta degli zapatisti, dei senza terra, la fatica dei clandestini...). 7) l’ecumenismo e la storia della salvezza, che fanno presente nella storia la misericordia di Dio e mettono al servizio dell’umanità la forza immensa della religione, realizzando incontri che rendono possibili l’internazio-nale della speranza, come dicono gli zapatisti, o il macroecumenismo di cui parla Pedro Casaldáliga. 8) il Regno. Il Regno come frutto di una rottura del vecchio sistema ingiusto: "Venite a me voi tutti che siete affaticati". Vivere il Regno come festa e annunciarlo a partire dalla fragilità. 9) rendiamo possibile una Chiesa dei poveri, e non per i poveri. Una Chiesa del popolo, una casa d’accoglienza, di solidarietà, una casa per chi non ha casa, la casa dei poveri. "Sogno un’immensa casa che si chiama solidarietà, dove non si parli di ‘io’ ma di ‘noi’ e dell’amicizia. Che abbia una porta sempre aperta. Sogno una casa in festa di fraternità, ogni giorno, dove tutti dividano la stessa tavola, lo stesso bicchiere e lo stesso pane, e dove nessuna voglia superare l’altro se non nell’amore...". Cristianesimo e socialismo. Cosa vuol dire essere cristiani nel secolo XXI? Dall’opzione per il popolo credente, da questa opzione per il Regno, la prima cosa è credere in Gesù Cristo, nel Dio di Gesù, celebrando la fede impegnati nella causa del popolo. Perché Dio si identifica con i poveri, con coloro che sono caduti nel cammino, con coloro che si sono allontanati: il padre esce ogni sera a scrutare l’oriz-zonte e a cercare il figlio. È un’esperienza di misericordia e di compassione, di vita. Per questo - è il sogno mio e di tutti quelli che credono nei poteri creatori del popolo, di tutti i fratelli e le sorelle per i quali Gesù rendeva grazie a Dio, i semplici e umili – è necessaria una Chiesa che sia misericordiosa come il Padre è misericordioso e dove si possa condividere, socializzare una fede impegnata; una Chiesa che non faccia il gioco dei potenti, che non abbia paura e che non ricorra alla paura, che trovi se stessa nell’essere per gli altri, come sognava Bonhoeffer. È Chiesa solo quando è per il popolo. Nel presentare questa meditazione scritta, proclamo la mia fede in questo popolo, nello sforzo di costruire l’uomo nuovo che si sta facendo in Venezuela. Credo nella capacità creatrice, nella possibilità di forgiare una storia nuova e meravigliosa e nella sua dinamica verso una società più fraterna, più giusta, una società più cristiana perché condivide di più. La nostra forza è la speranza e la fede (1Cor 15,24), forza di cui abbiamo bisogno nella lotta contro le forze reazionarie, contro coloro che sono contro ogni condivisione. Pablo Neruda ci aiuta a chiudere questa riflessione, e così sia con la benedizione di Dio: "Vieni.../ anche se non lo sai, io sì lo so:/ vinceremo noi,/ i più semplici,/ vinceremo!".
non abbia vissuto la guerra civile spagnola, sono però figlio di ferite ancora non cicatrizzate. Nella fazione di cui faceva parte la mia famiglia, dire socialista equivaleva a dire comunista, rosso, antireligioso, incendiario di chiese (...). Secondo una certa lettura della storia, l’orrore della guerra "fu opera dei socialisti e dei comunisti". Così appresi a casa mia fino a quando, da adulto, mi resi conto della verità e mi si svelarono altre letture della guerra civile spagnola. È facile capire che parlare di socialisti e di socialismo per molta gente sia come parlare del diavolo. Conosco fratelli nella Chiesa per i quali è ancora così, non avendo avuto la possibilità di avvicinare un’altra lettura. Senza contare l’infelice esperienza europea di quello che si conosceva come "cortina di ferro".
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