NON ANDRÒ A ROMA Quintín García González
Tratto da: Adista Documenti n° 78 del 10/11/2007
Di nuovo la gerarchia ecclesiastica spagnola, con i suoi martiri come riserva privata, come lascito esclusivo, e non come invito al ricordo fraterno, cattolico nel senso di universale, di quella eredità terribile di crimini e dolori senza fine, comune a tutti gli spagnoli di qualsiasi credo o ideologia, che fu la nostra Guerra Civile, con la sua successiva follia di vincitori e vinti. Così come sono patrimonio comune Auschwitz e Hiroshima, ferite aperte nella coscienza dell’umanità intera.
Sento freddo nell’anima per l’esultante annuncio della Conferenza episcopale. La gerarchia spagnola torna sempre a questa visione martiriale a beneficio proprio che ci gela il cuore.
E lo fa con una campagna di massa per muovere le volontà verso la gloriosa cerimonia di beatificazione nella Roma imperiale e vaticana. Come se si trattasse non del ricordo doloroso di alcune persone, vittime crudelmente sacrificate, ma dell’esaltazione del martirio a qualsiasi costo: di una sorta di superbia o orgoglio spirituale competitivo che va esibito e strombazzato contro qualcuno. Anche su alcuni mass media (si ascolti il programma radiofonico di Cadena Cope: no, meglio di no) si ha l’impressione che questi martiri siano un’arma appuntita da usare nelle contese politiche attuali di alcuni partiti contro altri.
Io, cattolico e sacerdote domenicano, sento un freddo autunnale nell’anima, antico e rinnovato, per l’esultante annuncio con cui inizia il messaggio ufficiale della Conferenza episcopale spagnola: “Vi annunciamo con profonda gioia la beatificazione di 498 fratelli fra le migliaia che hanno dato la loro vita per amore di Cristo in Spagna durante la persecuzione religiosa degli anni Trenta”. Profonda gioia, celebrazioni esultanti e pellegrinaggi di massa per festeggiare morti ingiuste e feroci? Io non sento allegria, ma una terribile tristezza al ricordo delle loro vite spezzate, dell’orrore di quella persecuzione religiosa nel quadro della guerra civile, criminale e fratricida, atroce. Guerra civile che ha colmato di vittime i due fronti in lotta.
Sono nato e sono stato educato sentimentalmente ed ideologicamente in uno dei due fronti. Ma da tempo mi sono affrancato da questa visione parziale, dal sangue solo di alcuni, verso la comprensione di quella guerra a partire dal volto sacrificato delle vittime, di tutte le vittime. E questo l’ho appreso non solo nelle analisi storiche sui distinti fattori e responsabilità che confluirono nella guerra civile - fra gli altri, l’allineamento politico esplicito e fazioso della maggioranza della gerarchia cattolica di allora, che non fece mediazione, un allineamento per il quale dovrebbe chiedere perdono - ma, prima e dopo di questo, nel cammino proposto da Gesù di Nazaret, che mise in opera l’insegnamento della parabola del Buon Samaritano: ogni uomo ferito, vittima oppressa, è il mio prossimo.
Per questo mi addolora la superba esibizione maiestatica e pontificale di esultanza, la sottolineatura della memoria solo di alcuni, di coloro che furono sacrificati per motivi religiosi. E quelli che lo furono per altri motivi in quel crocevia di interessi, passioni e vendette che incendiò la Spagna? Forse non sono tutti il mio prossimo? Certo che lo sono, perché mi identifico con il Buon Samaritano della parabola e non con il sacerdote che cambia strada per non macchiarsi con il sangue della vittima. Ho appreso nell’ere-dità del Cristo ad avere orizzonti e sentimenti universali – cattolici – secondo lo spirito delle beatitudini. Non a sentirmi membro di una Chiesa autistica e immisericordiosa che guarda solo agli interessi e alle ferite dei suoi soci tesserati. Per chi ammette un Dio Padre, ogni uomo è fratello, al di là di razze, credo e frontiere.
Non voglio dimenticare che questo l’ho appreso nella comunità cattolica, dove esistono visioni e sensibilità molto diverse al momento di valutare storicamente ed evangelicamente il fenomeno estremamente complesso della Guerra Civile. E, naturalmente, delle sue vittime. Ma c’è chi comanda e impone voci uniche nelle vetrine ufficiali.
Malgrado tutto, ringrazio la gerarchia spagnola che mi ha chiamato al ricordo dei cattolici assassinati. La loro memoria, dimenticata con il passare del tempo, riscalda il mio cuore di uomo e di credente in questi freddi giorni autunnali. Ma non andrò a Roma, a questi raduni faraonici, costosissimi, che onorano solo alcuni. Mi avvicinerò, questo sì, ai luoghi delle vittime di uno o dell’altro fronte e le onorerò con alcuni minuti di silenzio desolato. Una domenica andrò a Monsagro, ai piedi della Peña de Francia salmantina (monte vicino a Salamanca, ndt) dove sono nati due domenicani sacrificati. Un’altra domenica visiterò la fossa comune, nascosta in un giardinetto addossato alla parete della chiesa di Pelabravo, a Salamanca, dove, alcuni giorni fa, sono stati dissotterrati i resti di 14 persone assassinate dai franchisti. Così vorrei unire fraternamente, con un gesto intimo, spoglio di qualsiasi cerimonia, bandiera o credo, tutte le vittime della Guerra Civile. Prima che ci divori di nuovo l’inverno dell’oblio. O il freddo degli odii fratricidi.
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