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SERGIO LUZZATTO AGGIORNA LA STORIA DI PADRE PIO.IL DITO NELLA PIAGA DEL “SANTO IMPOSTORE”

Tratto da: Adista Documenti n° 86 del 08/12/2007

DOC-1935. TORINO-ADISTA. “Altro Cristo” per i suoi devoti, “santo impostore” per i suoi detrattori: la figura di padre Pio da Pietrelcina è sempre rimbalzato fra questi due estremi ed è sempre sfuggita ad un rigoroso esame storico che, libero da intenti agiografici o polemici, ne documentasse la vicenda alla luce della storia politica, sociale ed ecclesiale del Novecento. Lo fa, per la prima volta, Sergio Luzzatto, docente di Storia moderna all’Università di Torino, in un libro (Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento, Einaudi, Torino, 2007, pp. 420, euro 24) che ha il merito di collocare il frate di Pietrelcina all’interno delle vicende storico-politiche del secolo scorso in cui, a dispetto di chi lo vorrebbe confinato in un anonimo convento dell’Italia meridionale, p. Pio è profondamente immerso: dalla prima guerra mondiale agli ambigui rapporti con il fascismo, dai primi anni dell’Italia repubblicana alla stagione del boom economico durante la quale – complici i nuovi mass media e il miglioramento delle vie di comunicazione – il culto di p. Pio assume respiro internazionale.

La Chiesa di padre Pio: “corpo mistico”, non “popolo di Dio”

E poi il suo ruolo nella storia religiosa del Novecento, che si può osservare anche attraverso la lente dei pontefici che lo hanno incrociato: “Benedetto XV – scrive Luzzatto – si mostrò scettico verso la figura del santo allo stato nascente, permettendo che il Sant’Uffizio procedesse subito contro di lui. Pio XI fu più diffidente ancora: sotto il suo pontificato, la severità del Vaticano nei confronti di padre Pio arrivò quasi al punto di azzerarne le facoltà sacerdotali. Pio XII, al contrario, consentì il dispiegarsi pieno e indisturbato del culto garganico. Giovanni XXIII fece macchina indietro, autorizzando pesanti misure di contenimento della devozione”, al contrario di Paolo VI che invece mostrò grande “benevolenza” nei suoi confronti bloccandone però la beatificazione. Con Giovanni Paolo II, poi, arrivò il trionfo della canonizzazione che segnò una sorta di “rivincita canonica di padre Pio” ma anche il ritorno ad una ecclesiologia del passato: “Dichiarando apertis verbis che padre Pio era stato pane della Cena e calco del Crocifisso – scrive Luzzatto –, Giovanni Paolo II volle affermare la sua concezione della Chiesa quale incarnazione. Una Chiesa non tanto popolo di Dio, come nella proposta conciliare di Giovanni XXIII, quanto corpo mistico di Cristo, come nell’omonima enciclica di Pio XII”. 

“Il libro non aspira a stabilire una volta per tutte se quelle di padre Pio siano state vere stigmate, o se padre Pio abbia compiuto veri miracoli. Perché non è questo il terreno sul quale deve misurarsi uno studioso di storia”, spiega lo stesso Luzzatto in un’intervista al “Corriere della Sera” (30/10). “In sede storica , quello che importa è ricostruire le circostanze attraverso le quali uno dei numerosi taumaturghi che il Mezzogiorno d’Italia ha prodotto nei secoli, un frate rude e buontempone, diretto e levantino, ordinario e carismatico, è potuto diventare padre Pio. Cioè un fenomeno di immensa portata spirituale e temporale. L’oggetto di una devozione ormai senza eguali nella pratica della fede cattolica, e il soggetto di un business economico senza più limiti né frontiere. Importa capire che cosa abbia reso possibile tutto questo, da un’epoca all’altra della nostra storia novecentesca: dal trauma collettivo della Grande guerra all’abbraccio clerico-fascista tra Chiesa e regime, dall’andata al popolo della Democrazia Cristiana fino all’odierno new age del miracolismo.”

Stigmate chimiche?

Tuttavia il libro di Luzzatto svela anche particolari inediti, frutto di un paziente lavoro di ricerca  (fra l’altro l’autore è stato il primo storico autorizzato dal Vaticano a consultare il fascicolo inquisitoriale su p. Pio), che gettano nuova luce sulla vicenda del frate. Fra i tanti, ne segnaliamo due che hanno a che fare con due nodi fondamentali della vita di p. Pio: le stigmate e il grande ospedale che tutt’oggi sorge a San Giovanni Rotondo.

Già bollate come frutto di “isterismo” da p. Agostino Gemelli – che aveva suggerito al Sant’Uffizio di far ‘sigillare’ le piaghe del frate e di proibirgli l’uso di farmaci impropri che potessero impedirne la cicatrizzazione –, le stigmate di p. Pio assumono contorni ancora più misteriosi alla luce di alcuni documenti contenuti nel suo fascicolo inquisitoriale e riesumati da Luzzatto: le richieste del frate, tramite biglietti autografi che una sua devota, Maria De Vito, avrebbe dovuto consegnare ad un cugino farmacista, sia di flaconi di acido fenico (che causa delle bruciature alla pelle) sia, soprattutto, di veratrina, una sostanza fortemente caustica. Cioè di farmaci che, applicati su mani e piedi, avrebbero potuto lacerare i tessuti.

Un ospedale made in Usa

Si sarebbe dovuto chiamare “Fiorello La Guardia” – originario del foggiano, sindaco di New York fra il 1933 e il 1945 e direttore generale dell’Unrra (United Nations Relief and Rehabilitation Administration) – il grande ospedale di San Giovanni Rotondo annesso al convento di p. Pio. Almeno così in base alla richiesta di finanziamenti che il frate e i suoi devoti – ben introdotti nelle ‘stanze dei bottoni’ – fecero pervenire all’amministrazione statunitense nell’ambito del pacchetto di aiuti postbellici destinati all’Italia. Evidentemente una trovata per accattivarsi le simpatie dell’amministrazione che, in effetti, finanziò l’opera quasi per intero, come poté annunciare Alcide De Gasperi in un comunicato emesso alla vigilia delle elezioni del 18 aprile 1948: “Il governo italiano in questi giorni ha approvato lo stanziamento di 250 milioni di lire dal Fondo Lire Unrra per la costruzione di un grande ospedale a San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia”, che “sarà dedicato alla memoria” di Fiorello La Guardia. Un finanziamento che coprì gran parte delle spese e che assorbì un quarto dell’interno stanziamento, un miliardo di lire, destinato per tutti gli altri ospedali d’Italia messi insieme. Fu lo stesso p. Pio, scrive Luzzatto, a benedire l’inizio dei lavori dell’ospedale “Fiorello La Guardia”, “il cui nome e cognome sarebbero fuggevolmente apparsi – l’anno dopo – sulla facciata dell’edificio in costruzione, salvo poi sparire durante il seguito dei lavori per far posto alla scritta che a tutt’oggi l’incorona, Casa Sollievo della Sofferenza”.

Pubblichiamo di seguito alcune pagine di uno dei capitoli conclusivi del volume, che analizza i rapporti fra p. Pio e Giovanni XXIII e li arricchisce di particolari inediti. 

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