VESCOVI E RIVOLUZIONE BOLIVARIANA: UNA CHIESA SENZA PASTORI. Intervista a Numa Molina
Tratto da: Adista Documenti n° 88 del 15/12/2007
D: Come spieghi la bocciatura della riforma costituzionale?
R: La riforma non è passata perché tre milioni di persone che avevano precedentemente votato per Chávez stavolta si sono astenute, probabilmente spaventate dalla campagna di menzogne promossa dalle élite. Non hanno voluto votare contro il presidente, ma hanno preferito non recarsi alle urne, magari pensando che tanto Chávez ce l’avrebbe fatta lo stesso. Del resto, l’opposizione ha vinto per un soffio. Il fatto è che, da quando Chávez ha presentato il progetto di riforma, i mezzi di comunicazione - Globovisión, El Nacional e El Universal in prima linea - hanno orchestrato, con l’ausilio dei vescovi, una campagna feroce, usando l’arma della paura per indurre la gente a credere che la riforma attentasse alla proprietà privata. Si diceva per esempio che ad ogni persona che possedeva due automobili ne sarebbe stata tolta una. Addirittura che il governo avrebbe sottratto ai genitori la patria potestà sui figli piccoli. Non a caso i mass media si trovano nelle mani di poche famiglie che hanno potuto sfruttare il Paese indisturbate per 45 anni, finché il progetto bolivariano non è venuto a colpire i loro interessi. L’informazione che passa, anche in Europa, risponde sempre agli interessi dei proprietari di questi media. D’altro lato, il referendum ha permesso di smascherare i falsi leader che fingono di stare dalla parte del governo o che si sono distanziati dal popolo di Chávez. Molti funzionari, governatori e sindaci che figurano come sostenitori del presidente sono in realtà interessati solo ad arricchirsi: a loro non conveniva che al popolo venisse riconosciuto più potere. La riforma, dunque, aveva i suoi nemici nelle file stesse dei sostenitori di Chávez, e ciò per il fatto che essa rispondeva agli interessi dei poveri. Ma ciò contribuirà a purificare i quadri rivoluzionari.
D: Il fatto che Chávez abbia serenamente riconosciuto la sconfitta dovrebbe perlomeno costituire la prova definitiva del genuino carattere democratico di tutto il processo. Cosa diranno ora quelli che accusavano il presidente di essere un dittatore?
R: La leadership del presidente Chávez esce, da questo punto di vista, rafforzata. Riconoscendo la sconfitta, ha smontato tutto l’apparato di menzogne costruito dai mass media a livello internazionale, mostrando nella maniera più chiara il suo totale rispetto per le regole democratiche.
D: Cosa prevedi che succederà ora? Il processo che tante speranze ha dato ai poveri andrà comunque avanti?
R: Anzi, la rivoluzione bolivariana verrà portata avanti con maggiore impegno. C’è sempre la Costituzione voluta dallo stesso Chávez nel ’99, costata sangue, sudore e lacrime al popolo povero del Venezuela. Questa Costituzione, che adesso le classi ricche del Paese, i fascisti, hanno difeso a spada tratta, prima è stata da loro avversata con tutti i mezzi. Poco tempo fa, mentre mi trovavo nella metro di Caracas – preferisco sempre prendere i mezzi pubblici piuttosto che la macchina perché così posso capire cosa succede tra la gente, tra i poveri – ho visto una donna di un quartiere povero, con un bambino in braccio, avvicinarsi al capo di un qualche dipartimento statale. La donna ha chiesto conto a questo direttore di una petizione che lei, insieme a un gruppo di donne del quartiere, aveva presentato senza ottenere risposta. Lui le ha detto che la responsabilità era del tale ufficio, non sua come direttore. “Ma è proprio perché lei è il direttore, che deve rispondere”, ha ribattuto la donna. E poiché lui cominciava ad alterarsi, la donna ha infilato una mano nel reggiseno e ha tirato fuori la Costituzione, che in Venezuela è diffusa in un formato minuscolo, tascabile. E ha detto che lui aveva il dovere di rispondere, perché questo diceva la Costituzione all’art. tale, e ha cominciato a leggerlo. A quel punto il direttore ha cambiato completamente atteggiamento: le ha dato appuntamento per il giorno dopo e le ha lasciato il numero del cellulare. È così che il popolo venezuelano ha imparato a difendere i propri diritti. Questa Costituzione è stata fatta per il popolo ma aveva bisogno di una serie di modifiche, perché in essa sono presenti degli aspetti che oggi non consentono di fare pienamente giustizia. Per questo il presidente voleva riformarla. La riforma avrebbe dato al popolo più potere: ad esempio, avrebbe permesso alla gente di ogni quartiere povero, di ogni villaggio, di amministrare direttamente i proventi petroliferi. Sarebbe sparita così la figura del sindaco corrotto che abbiamo avuto per tutti questi anni.
D: Ma il popolo ha potuto partecipare direttamente al processo della riforma costituzionale?
R: Dal giorno successivo alla presentazione del progetto di riforma, ha subito preso avvio il lavoro per farla conoscere e arricchirla, fin nei villaggi più dispersi. Alcuni amici parlamentari mi hanno raccontato come ogni giorno arrivassero pacchi di lettere in cui le persone chiedevano che fosse inserito nella riforma questo o quell’aspetto. Si sono tenute oltre 20mila assemblee nei diversi villaggi e nelle diverse piazze dei quartieri e delle città. La partecipazione popolare non è certo mancata. C’è stata, è vero, la protesta del movimento studentesco contro la riforma, ma si è trattato, in maggioranza, di ragazzi che studiano nelle università private. Dicevano di manifestare perché stavano perdendo la libertà di espressione, e intanto si esprimevano in tutta libertà per le strade.
D: Non avrà forse destato particolare timore la misura della rielezione indefinita?
R: Se un governante piace alla maggioranza perché sta operando bene è giusto che possa continuare a governare. Sempre che il popolo abbia il diritto - e lo avrebbe avuto - di mandarlo via. I poveri si sentono rappresentati da Chávez. Il re di Spagna gli ha detto di tacere: non vogliono che parli perché la sua voce è la voce del popolo. Il linguaggio diplomatico dei grandi vertici non ha portato a niente. Lui ha lasciato il linguaggio diplomatico per parlare il linguaggio del popolo. Per questo in ogni Paese in cui si reca vi sono moltitudini che lo aspettano. È un comunicatore che è arrivato al cuore del popolo. Lo ha riconosciuto persino un oppositore venezuelano: rispondendo a quanti, nell’oppo-sizione, ritengono che l’unica soluzione sia quella di uccidere Chávez, egli ha detto che la vera soluzione sarebbe togliere Chávez dal cuore del popolo. Ma anche se Chávez morisse noi continueremmo a lottare a costo della vita.
D: Esiste nel Paese una riflessione seria su cosa sia il socialismo del XXI secolo, su cosa lo distingua dal socialismo del secolo precedente?
R: C’è stato un dibattito abbastanza approfondito, in tutti i settori e soprattutto in quello popolare. Non c’è solo una caratterizzazione temporale - del XXI secolo – ma anche geografica - del Venezuela e dell’America Latina. È qualcosa per cui non esistono ricette, ma che il popolo stesso è chiamato a costruire. I proventi del petrolio, insieme ad un sistema fiscale che è tra i migliori, se non il migliore, dell’America Latina, hanno portato nelle casse dello Stato molte risorse, che adesso si investono nelle opere sociali, nelle cosiddette missioni. Giorni fa ne è stata inaugurata una nuova, la missione Musica. Abbiamo un forte movimento musicale nel Paese, avviato dal grande musicista José Antonio Abreu: il presidente Chávez ha visto in esso un segno dei tempi e della rivoluzione e lo ha preso a cuore. E quindi è partita la Missione Musica per promuovere i valori musicali del Paese fra il popolo. Perché finora si trattava piuttosto di un movimento d’élite.
D: Riguardo ai rapporti tra la Chiesa e il governo, si dice che i vescovi siano contro Chavez e la base sia con lui…
R: In Venezuela c’è una Chiesa popolo di Dio che cammina verso il Regno, che è quello che Gesù è venuto a portarci, un progetto più umano per tutti, un regno di amore, giustizia e pace. E c’è la Chiesa gerarchica e istituzionale, composta dai vescovi e da un buon numero di preti, che nelle omelie non fanno che attaccare il governo. Fin dall’inizio della rivoluzione bolivariana, i vescovi si sono opposti a questa Costituzione. Di più: hanno sostenuto il colpo di Stato dell’11 aprile del 2002 e hanno tenuto un silenzio colpevole nei 62 giorni di sciopero che ha paralizzato l’industria petrolifera del Venezuela. Il profeta Isaia attacca i guardiani di Israele chiamandoli cani muti. Ed è questo che ho scritto in un articolo nel primo anniversario di quello sciopero. Ho aspettato a lungo che i vescovi parlassero e non hanno parlato. Ed è terribile, perché in quello sciopero sono morti tanti poveri, donne incinte che non sono riuscite a raggiungere l’ospedale, malati che non potevano essere trasportati in ospedale perché mancava la benzina, persone che non avevano più nulla da mangiare, altre che sono morte bruciate trasportando benzina o metano. Sono tutte cose che non si sapranno mai. E i nostri vescovi hanno taciuto. Abbiamo 43 vescovi: io non posso incolparli tutti, perché so che un piccolo numero tra loro la pensa diversamente e che se non parla è forse perché gli viene impedito. Ma in generale si tratta dell’atteggiamento di una classe religiosa che ha scelto di sedere accanto ai ricchi. E io non posso accettarlo da un pastore. Il pastore deve stare con le pecore più sofferenti. E deve rallegrarsi con le sue pecore. Se in un quartiere la gente è felice perché ha il medico, ha la casa, ha il cibo, ha la scuola, come faccio a non essere felice per questa gente? Come è possibile che essi condannino tutte le missioni sociali del presidente Chávez, dicendo che è tutto cattivo? Il 26 novembre i vescovi hanno emesso un nuovo documento ribadendo la convinzione che la riforma fosse “non necessaria, moralmente inaccettabile e inopportuna per il Paese”. Ma quando si abita in un palazzo e si ha tutto ciò che serve, nulla è necessario. La riforma della Costituzione contemplava l’assicurazione per tutti i lavoratori precari, per le casalinghe, le prostitute; prevedeva una riduzione della giornata di lavoro da 8 a 6 ore perché la gente avesse tempo anche di studiare. Come si può considerarla moralmente inaccettabile? “Invitiamo tutti i cittadini - scrivevano i vescovi - a partecipare attivamente e ad esprimersi liberamente e coscientemente con il voto”: che contraddizione! Prima hanno cercato di spaventare le persone dicendo loro che la riforma era moralmente inaccettabile e poi hanno detto di votare liberamente! Se dico che una cosa è moralmente inaccettabile sto dicendo di non farla! È questo è l’episcopato venezuelano: lo dico come sacerdote, come gesuita e soprattutto come cristiano.
D: Hai avuto problemi con i superiori?
R: Fino ad ora non li ho avuti. Una volta il mio superiore mi ha richiamato per quell’articolo di cui parlavo prima, che ho intitolato “Peccato di omissione”, ma so che lo hanno costretto a farlo. Ci sono già preti rimproverati e puniti. Ma non mi preoccupo: se avessi problemi assomiglierei di più a Gesù. Anche oggi, del resto, abbiamo un sinedrio e non solo in Venezuela ma dappertutto: c’è un atteggiamento attento più alla legge, più ai canoni del diritto canonico, che al vangelo. Un atteggiamento che fa di vescovi e preti più dei professionisti della religione che dei pastori e profeti. Ma è per questo, per dare sostanza a Matteo 25, al Giudizio finale - “Avevo fame e mi avete dato da mangiare” - che sono diventato prete, altrimenti avrei perso tempo, sarei appena un professionista della religione. Per questo non mi preoccupano le punizioni. Forse il primo che verrebbe punito se venisse in Vaticano sarebbe proprio Gesù. Il documento della Conferenza episcopale ha contribuito a riscaldare gli animi, invece di promuovere la pace. I vescovi hanno concluso il loro documento con una preghiera alla Santissima Vergine di Coromoto, patrona del Venezuela. C’è un quartiere povero, a Valencia, in cui la gente, come del resto avviene un po’ in tutto il Paese, si è costituita in cooperativa per costruirsi case dignitose al posto delle vecchie baracche. Il quartiere si chiama Virgen de Coromoto. Il giorno in cui è uscito il documento c’era una manifestazione dell’opposizio-ne, classisti pieni di rabbia nei confronti dei poveri. Un ragazzo di 19 anni, Aníbal, andava a lavorare trasportando pacchi di cemento, per terminare la costruzione della casa in cui andare ad abitare con la moglie incinta. In strada si è trovato di fronte la guarimba, come viene chiamata l’opposizione, una manifestazione carica di violenza. E i manifestanti lo hanno ucciso, con tre colpi di pistola, lo hanno spogliato, trascinato per strada e preso a calci. Non aveva avuto alcun diverbio, era solo un ragazzo tranquillo che sognava una casa degna. Aveva chiesto a quella gente che lo lasciasse passare per trasportare il cemento. E lo hanno ucciso. I vescovi emanano documenti che gettano altra benzina sul fuoco, e questo malgrado l’80% dei sostenitori di Chávez sia costituito da cattolici. Un po’ di rispetto per i poveri! Sono sicuro che se si fosse trattato dei ricchi avrebbero parlato diversamente. Ma i poveri sono senza difese.
D: Anche teologi che si riconoscono nella teologia della liberazione sono critici nei confronti di Chávez. Come si spiega?
R: A volte dipende dal fatto che non si vive immersi nel mondo dei poveri. Io lavoro in un quartiere povero, in mezzo a famiglie che hanno costruito la loro baracca sotto l’autostrada. Bisogna inserirsi nel mondo dei poveri se si vuole tentare di capire. Non tutti i teologi della liberazione lo sono realmente nella pratica. Ho conosciuto teologi che hanno passato la vita a scrivere sulla povertà ma senza sapere cosa sia. Sono teorici della povertà, ma non sanno cosa sia un povero. Ringrazio Dio di essere contadino, ho vissuto la povertà da bambino e ho studiato facendo molti sacrifici. Lo dico sempre: io sono contadino, questa è stata per me la migliore università. È quello che mi ha insegnato a capire il povero, a sentire con l’altro, ad avere un cuore capace di sdegnarsi quando si maltratta il povero.
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