L’ESERCITO ISRAELIANO BLOCCA LA DELEGAZIONE DELL’APPELLO "GAZA VIVRÀ". INTERVISTA A GIOVANNI FRANZONI
Tratto da: Adista Notizie n° 5 del 19/01/2008
34243. ROMA-ADISTA. Lo scorso settembre l’appello "Gaza vivrà" – sottoscritto da migliaia di cittadini italiani e personalità del mondo della cultura (v. Adista n. 79/07) – aveva denunciato le condizioni disumane in cui la popolazione della Striscia di Gaza è costretta a vivere a seguito dell’embargo decretato dalle autorità internazionali. Venute a conoscenza dell’appello, alcune associazioni della società civile di Gaza riunite nel "Centro palestinese per la democrazia e la risoluzione del conflitto" hanno invitato una delegazione di firmatari a visitare i territori sotto embargo per poter manifestare direttamente la propria solidarietà e testimoniare all’opinione pubblica occidentale le conseguenze della politica di isolamento perseguita dal governo israeliano con l’appoggio della comunità internazionale. La delegazione - di cui hanno fatto parte, fra gli altri, Giovanni Franzoni delle Comunità cristiane di Base, il senatore ex Pdci Fernando Rossi, il giornalista Lucio Manisco - è atterrata all’aeroporto di Tel Aviv il 23 dicembre, ma non è riuscita ad entrare a Gaza, bloccata dai soldati israeliani al valico di Erez, al confine tra la Striscia e Israele. Nonostante un presidio organizzato al consolato italiano a Gerusalemme e una protesta messa in scena proprio di fronte al valico, le autorità israeliane si sono rivelate inflessibili nel negare le autorizzazioni ad attraversare il valico. Al suo rientro a Roma, Adista ha incontrato Giovanni Franzoni. (emilio carnevali) Con quali motivazioni la delegazione è stata bloccata al valico di Eretz? Il diniego di accesso al territorio di Gaza al valico di Eretz, per quanto ci è stato comunicato in loco, è venuto dall’esercito e la ragione addotta è stata "per motivi di sicurezza". È però chiaro che la motivazione era politica, perché le autorità israeliane vogliono nascondere la situazione umanitaria all’interno del territorio assediato, privato di risorse alimentari ed energetiche e occultata a occhi indiscreti. Anche se non siete riusciti ad entrare, che idea vi siete fatti della situazione all’interno della Striscia? Sulla condizione della popolazione di Gaza abbiamo avuto informazioni, durante dei colloqui tenuti a Ramallah con membri della resistenza palestinese. Oltre a quanto già noto, abbiamo appreso che l’esercito israeliano ha creato una fascia di sicurezza intorno a Gaza ma, con disegno ulteriormente ricattatorio e affamatorio non l’ha creata all’esterno del muro ma all’interno, sottraendo all’uso agricolo il 17% del terreno coltivabile a ortaggi. Sulla situazione energetica è recente la denuncia del responsabile dell’energia Al Obeidi del fatto che la corrente elettrica è fornita alla popolazione per otto ore al giorno. Purtroppo fra i 35 rappresentanti della resistenza palestinese, non solo di Hamas, ci sono anche due persone che avevamo incontrato a Ramallah, dopo il divieto di accesso: Shaick Hussein Abu Kweck e Shaick Faraj Rummana. Queste persone già paventavano l’arresto che poi è avvenuto ad opera della polizia dell’Autorità palestinese che per soggezione alla ricattatoria richiesta degli israeliani di reprimere il "terrorismo" per ottenere il riconoscimento di uno Stato burla, collabora con gli israeliani in modo aperto per reprimere ogni dissenso. Come è mutata la situazione dell'intera area a seguito del vertice di Annapolis di novembre e della successiva "Conferenza dei donatori" di Parigi? Da tutti i confronti avuti con rappresentanti di Hamas (via internet o per video-conferenza), con rappresentanti dell’Associazione "Figli della Terra" costituita da ebrei palestinesi e arabi palestinesi , con rappresentanti e parlamentari del Fronte popolare, con il Consiglio dei "Mussulmani del Nord" (a Nazareth) e anche con uno di Fatah, si esclude radicalmente di accettare uno Stato per i palestinesi, senza alcuna serietà. Uno Stato senza confini certi, tutto spezzettato dalla presenza di "colonie legali" (legali per Israele), attraversato da autostrade aeree che collegano le colonie, senza spazio aereo e disarmato. Si teme fortemente che questo preluda alla proclamazione di uno Stato ebraico per realizzare il quale si profilerebbe una seconda pulizia etnica e per alcuni arabi che rimanessero in Israele la condizione di apartheid. Tutti invocano uno Stato "laico e democratico" in cui convivano nazionalità, etnie, culture e religioni diverse. Anche i musulmani più rigorosi escludono uno Stato sottoposto alla legge coranica. Quale è stato l’atteggiamento del governo italiano e del ministero degli Esteri rispetto alla vostra iniziativa? Il governo italiano ha dimostrato un certo favore alla nostra iniziativa. Dopo alcuni approcci con l’ambasciata italiana, siamo stati ricevuti dal vice-ministro Ugo Intini che ha assicurato il suo apprezzamento ed il suo interessamento. Alla proposta di fare una conferenza pubblica al nostro ritorno ha promesso la sua partecipazione personale. In realtà è apparsa tutta l’impotenza del nostro governo ed una sorta di sudditanza politica della nostra politica estera. In Italia la missione ha avuto ben poca visibilità a livello mediatico. Qual è stata l’attenzione che vi hanno dedicato i media arabi e palestinesi? La stampa italiana ci ha praticamente ignorato, anche per la tragica coincidenza con l’uccisione di Benazir Bhutto. In Palestina abbiamo avuto una intervista con Al-Jazeera, ed una conferenza stampa al Centro di Comunicazione "Ramattan" di Ramallah, con la presenza di giornalisti e politici. Una notevole attenzione via internet. Quali altre iniziative ha in programma il gruppo di promotori dell’appello "Gaza vivrà"? Dopo gli arresti di molti resistenti palestinesi ad opera della polizia palestinese collaborazionista con Israele e dopo l’insulsa visita di Bush in Medio Oriente, è stata convocata una assemblea dei firmatari dell’appello "Gaza vivrà", a Firenze per il 27 gennaio. In diversi pensiamo di tornare al ministero degli Esteri per chiedere delle posizioni più chiare e soprattutto più ferme del nostro governo contro l’embargo a Gaza e contro il profilarsi di una politica razzista e sterminatrice verso il popolo palestinese in cui è trascinato e coinvolto il governo italiano. (e. c.)
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