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PEDRO, VESCOVO

Tratto da: Adista Documenti n° 32 del 19/04/2008

È curioso: ho difficoltà a soddisfare la richiesta di scrivere su dom Pedro in occasione del suo ottantesimo compleanno. Mi rendo conto che sto ritardando i lavori. Una delle ragioni è, senza dubbio, la serie di viaggi che ho fatto nel secondo semestre del 2007 per accompagnare i conflitti per la terra, che si sono intensificati con il megaprogetto di deviazione delle acque del fiume São Francisco. Ma è anche e soprattutto per il fatto che questa è la prima volta che mi metto a scrivere di Pedro, che ha segnato profondamente la mia vita di vescovo. Mentre egli dice che io sono il responsabile (il colpevole?) della sua nomina a vescovo.

Ho pensato ad un approccio alla figura di Pedro a mo’ di fioretti, come nella narrazione della vita di Francesco di Assisi. In fin dei conti, scrivere sulla storia di un poeta che allo stesso tempo è vescovo è un po’ la stessa cosa.

Ho conosciuto Pedro quando già era vescovo della prelatura di São Felix do Araguaia, missione affidata dalla Santa Sede ai claretiani. Fu ad una tesissima Assemblea generale della Cnbb (Conferenza episcopale brasiliana), convocata a Brasilia nel 1970, in piena dittatura militare, che ci incontrammo per la prima volta. Egli si trovava in una fila di sedie poco dietro di me. Fu lui che mi parlò per primo. Mi impressionò la sua vivacità, fulminea, ma ancor di più che fosse tanto informato su quello che stava avvenendo nella società e nella Chiesa. Sentii, all’improvviso, in quell’uomo la chiara e radicale identificazione con la caminhada - molto pericolosa a quel tempo - che una parte della Chiesa del Brasile e dell’America Latina stava allora iniziando. Lì ebbe inizio la nostra profonda amicizia e la nostra profonda comunione. Considero quel momento come una benedizione di Dio per me. In quella Assemblea venne letto integralmente il racconto di frei Tito de Alencar sulle terribili torture da lui sofferte nel carcere Tiradentes. Poiché la presidenza non permetteva che si superassero i minuti concessi ad ogni intervento, i vescovi dovettero alternarsi alla lettura integrale del testo. Fu la nostra migliore occasione di analisi.

Vescovo per volontà del popolo

L’8 agosto del 1971 andai a São Felix su richiesta di Pedro per ordinare sacerdote Manuel Luzón, suo compagno dall’inizio della missione nell’Araguaia. A un certo momento, Pedro mi chiamò nel suo ufficio e mi mostrò la lettera di risposta che aveva appena scritto al nunzio, il quale gli aveva comunicato la sua elezione a vescovo di São Felix. Dopo aver letto la lettera, gli dissi: "Non capisco, Pedro. Finora hai accettato di essere giuridicamente prelato di questa Chiesa. Quando il papa ti propone di passare dal giuridico al sacramentale dici che non vuoi più?". Percepii, a partire dal mio intervento, un cambiamento di atteggiamento. Convocò subito una riunione con i sacerdoti, le suore, i laici, alla mia presenza, e, malgrado fosse vincolato dal segreto pontificio, mostrò a tutti il contenuto della lettera della Santa Sede e pose la questione se dovesse accettare o meno di diventare vescovo di São Felix. Incontro bellissimo, e unico, di membri maturi e saggi di una Chiesa nuova. In ciascuno di quelli che prendevano la parola si poteva avvertire in maniera viva la libertà, la serietà e la sincerità di quanti impegnavano la propria vita nella stessa pericolosa avventura missionaria. Alla fine fu approvato che Pedro diventasse vescovo di São Felix. Avrebbero potuto ripetere con ogni ragione le parole degli apostoli "È sembrato bene allo Spirito Santo e a noi…". A causa di questa mia partecipazione al suo percorso episcopale, Pedro mi adottò come "padrino" e anche come suo "vescovo ausiliare". Da parte mia mi emozionai nell’assistere, quel giorno, alla rinascita dell’antico e venerabile modo popolare ed evangelico di scegliere i grandi vescovi e pastori che hanno segnato la storia della nostra Chiesa.

Pedro venne consacrato vescovo nel 1971, nella stessa città di São Felix, circondato dal popolo povero di tutta quella regione, all’aperto, nel bel paesaggio ai margini del tranquillo Araguaia, dove il fiume presenta circa 1 km di larghezza. Era ottobre e ancora erano visibili quelle incantevoli spiagge di sabbia dorata. Il consacrante principale fu il grande patriarca del Centro-Ovest, dom Fernando Gomes dos Santos, arcivescovo di Goiania, accompagnato da altri due consacranti: dom Juvenal Roriz e io. Antonio Carlos Moura, il cerimoniere, ebbe la felice idea di portare via le nostre mitrie. Il nuovo vescovo non ebbe mai mitria né baculo pastorale né anello d’oro o d’argento. Ma ricevette tutti questi elementi inculturati nei simboli indigeni e contadini. La mitria era un cappello di paglia, il baculo un remo tapirapé e l’anello era fatto di tucum, diventando, al suo dito e a quello di molti operatori di pastorale, un segno dell’impegno con la caminhada della liberazione.

Non mancò, come di rigore, la lettera pastorale, distribuita lo stesso giorno, con il titolo Una Chiesa dell’Amazzonia in conflitto con il latifondo e l’emarginazione sociale. Era il tempo della dittatura militare, sotto la presidenza del terribile generale Emilio Garrastazu Médici, tempo di totale censura, tempo di celle di tortura. Il documento fu per la società e la Chiesa come un fulmine a ciel sereno. Ma il suo contenuto profetico era stato pensato molto bene, nelle incredibili peripezie della sua realizzazione, e c’era consapevolezza sulle dure conseguenze che la sua pubblicazione avrebbe prodotto. La lettera, dall’inizio alla fine, portava il marchio di Pedro, ma aveva ricevuto la valida e competente collaborazione dell’équipe che lavorava con lui dall’inizio del suo lavoro pastorale come prelato.

José de Souza Martins, il grande sociologo esperto di questioni agrarie brasiliane, professore dell’Università di São Paulo, così si espresse, nel 1995, durante la commemorazione del ventesimo anniversario della Commissione pastorale della Terra: "Sorge uno dei più importanti documenti sociali della storia contemporanea del Brasile. Mi riferisco alla lettera pastorale di don Pedro Casaldáliga agli inizi degli anni ’70, Una Chiesa dell’Amazzonia in conflitto con il latifondo e l’emarginazione sociale. Per la prima volta nella storia del Brasile, si presenta, in un documento pubblico, con una visione completa e totale, il lato perverso del funzionamento del capitale. Questo documento ha lasciato un segno non solo nella storia della Chiesa, ma anche nella storia sociale e politica del Paese. Non fu un caso che attirò sulla Chiesa di São Felix do Araguaia tutta l’ira possibile dei rappresentanti di questa estrema e tremenda devastazione" (in La lotta per la terra, Paulus, p. 76).

L’ira del potere non tardò ad abbattersi sulla piccola Chiesa di São Felix. Ma non fu immediatamente a causa di questo documento bomba. Avvenne con l’azione di p. Francisco Jentel a favore dei contadini di Santa Teresinha, che egli difendeva dalle aggressioni dell’impresa Codeara, che si dichiarava l’unica proprietaria della regione. In conseguenza del conflitto tra la fazenda, appoggiata dalla polizia militare, e gli abitanti del paese, ebbe inizio la caccia a p. Jentel da parte della polizia. Per complicare la situazione, atterrai con l’elicot-tero a Santa Teresinha, insieme allo stesso Jentel e a Pedro. Non tardò molto ad arrivare un poliziotto per catturare p. Jentel. L’incontro ebbe luogo ad un bivio: a sinistra si andava al centro di pastorale, a destra al carcere. Pedro si interpose tra Jentel e quell’elemento ben nutrito della malfamata polizia del Mato Grosso. Stupefatto, vidi allora Pedro trasfigurarsi da piccola zanzara pungente a vero gigante. Alzò la voce, gridò, gesticolò energicamente e non cedette neppure di un millimetro. Il poliziotto, vinto, se ne andò dicendo che sarebbe tornato con i rinforzi. E intanto soldati armati di fucili vennero mandati a sorvegliare il mio elicottero.

Venimmo dopo a sapere che i rinforzi sarebbero dovuti venire quello stesso giorno, in elicottero, da Barra do Garças. Ma dovettero aspettare fino al giorno seguente. Intanto, di mattina, un motoscafo portò Jentel lontano dal carcere di Santa Teresinha che egli conosceva nei minimi dettagli e da cui voleva fuggire a qualunque costo.

Da quel momento iniziò la persecuzione generale contro la Prelatura, sotto forma di vera operazione di guerra, nel 1973. In carcere finirono tutti i sacerdoti e tutti furono percossi. I laici, operatori di pastorale, furono condotti a una caserma di Campo Grande e sottoposti, tutti, a tortura. P. Jentel, giudicato e condannato a dieci anni di prigione per il suo appoggio ai contadini di Santa Teresinha, fu anche lui incarcerato a Campo Grande. Pedro, da parte sua, venne trattenuto nella sua casa. A un certo punto gli ordinarono di togliersi gli occhiali, ma non ebbero il coraggio di colpirlo. La più grande sfida che affrontammo furono i diversi processi di espulsione predisposti contro di lui dall’esercito. La nostra difesa consisteva nella denuncia pubblica di questi tentativi, immediatamente rilanciata da O Estado de São Paulo, allora in guerra contro la censura ufficiale. Il vantaggio era che tali tentativi avevano una ripercussione internazionale, facendo retrocedere il governo. Il maggiore contributo venne dallo stesso Paolo VI che arrivò a dichiarare: "Toccare don Pedro Casaldáliga è come toccare la persona del papa".

Nel 1972 mi incontrai con Pedro a Brasilia, dove era occupato con il processo di p. Jentel. Mi prese per un braccio e mi portò ad un incontro convocato da dom Ivo Lorscheider in cui stava nascendo il Consiglio indigenista missionario (Cimi). Il relatore della storica sessione fu dom Sigaud, arcivescovo di Diamantina. Uscii da lì come uno dei consiglieri di questo strumento pastorale che ha rivoluzionato totalmente la missione indigenista in Brasile, passando a considerare i popoli indigeni non più come un oggetto della nostra assistenza e della nostra catechesi, ma come soggetti, autori e destinatari della propria storia.

Nel 1974, in occasione dell’assemblea della Cnbb ad Itaicí, dom Pedro propose ad un gruppo di vescovi un incontro sull’Amazzonia, priorità della politica governativa. Già da allora Pedro vedeva l’Amazzonia come simbolo di una realtà più grande, complessa e conflittuale, di carattere socio-po-litico-culturale-economico e religioso, di dimensione nazionale e latinoamericana. Oggi ha acquistato ancora più peso, raggiungendo una dimensione planetaria.

Il frutto di questa preoccupazione e di questa mobilitazione di Pedro fu la creazione della Commissione pastorale della Terra (Cpt). Per noi che ce ne riteniamo co-fondatori, Pedro è il legittimo iniziatore o, meglio ancora, il padre della Cpt, concepita dalla compassione per le sofferenze dei contadini della sua Chiesa locale. È per questo che egli la chiama "figlia", scrivendole una lettera di amore per il suo "giubileo di rugiada e di sangue". Tra altre cose, le dice:

"Sei nata un po’ maledetta, / quasi clandestinamente, / figlia della passione per i poveri della Terra, / figlia del regno dei Cieli che è anche il Regno della Terra. / Malvista in casa, odiata fuori… / (...) benedetta Cpt, / pastorale di frontiera, / vangelo d’azzardo, / profezia nei campi e vanga nella mano e cantico sulle labbra / dei Nuovi Cieli e della Nuova terra". (in A luta pela terra, Paulus, p. 7)

Le incomprensioni nella Chiesa

Come se non bastasse la pressione generale contro di lui e contro i suoi operatori di pastorale - oltre l’espulsione di p. Jentel, decisa dal generale presidente Ernesto Geisel, d’accordo con la nunziatura e l’ambasciata francese - uno dei vescovi dell’assemblea episcopale regionale del Centro Ovest, dom Juvenal Roriz, iniziò una compagna tra i vescovi per l’espulsione di Pedro dal nostro regionale. Ricevetti la notizia della tremenda iniziativa solo il giorno stesso della riunione episcopale. Dom Fernando Gomes dos Santos, presidente della Commissione episcopale, propose la votazione su questo caso all’inizio della sessione. Era presente dom Ivo Lorscheider, presidente della Cnbb, in visita al regionale. Dom Epaminondas, vescovo di Anápolis, per pudore, passò una nota a dom Roriz, chiedendogli di ritirare la proposta all’ordine del giorno. Dom Juvenal Roriz glie la rimandò scrivendo sullo stesso foglio: "Almeno in sette sono contro di lui". Eravamo tredici vescovi. La sua proposta fu respinta con undici voti contro e uno a favore. Pedro fu espressamente confermato tra di noi, grazie, in parte, alla presenza di dom Ivo.

Dom Sigaud, arcivescovo di Diamantina, accusò pubblicamente dom Pedro e me di essere "comunisti". Questo, naturalmente, ebbe una grande ripercussione sulla stampa. Era l’occasione, servita su un piatto d’argento, perché i media parlassero di divisioni in seno alla Chiesa. Da parte nostra, trattandosi di un vescovo legato alla Tfl (Tradizione, famiglia e proprietà), movimento integralista dell’élite imprenditoriale e latifondista di São Paulo, decidemmo di non rispondere all’accusa. Nonostante ciò, il nunzio apostolico, Sebastiano Baggio, prese a pretesto la denuncia e sollecitò da Roma una visita apostolica alle nostre due chiese, quella di São Felix do Araguaia e quella di Goiás. Il visitatore fu don José Freire Falcão. Né io né Pedro venimmo mai a sapere delle conclusioni di queste visite e se il motivo reale della Santa Sede per agire in modo aggressivo contro le nostre chiese fosse in realtà una questione di comunismo. In conseguenza di tutto ciò decidemmo di inviare una lettera congiunta a Paolo VI. Affidammo il documento a Paulo Evaristo Arns, raccomandandogli di consegnarlo direttamente al papa. Ci confidò successivamente di averlo consegnato a una terza persona. Il risultato è che non abbiamo mai avuto risposta. Segno che il papa non ricevette mai questa lettera o che, forse, non seppe mai di questa visita apostolica.

Pedro preferiva sempre il pullman per i suoi viaggi, compresi i più lunghi. Ma una volta dovette camminare per ore a piedi, di notte, per la strada detta "della bestia", tra Goiás e São Miguel do Araguaia. Non fu per scelta. Viaggiava in pullman diretto a São Miguel. Avvertendo problemi intestinali, disse qualcosa al conducente e scese dal pullman. Il conducente pensava che fosse uno del posto e ripartì. Nello stesso pullman viaggiava p. Geraldo Rosania, vigilando sulla sicurezza del vescovo, ma dormiva profondamente. All’alba, Pedro, esausto, incontrò delle baracche di braccianti e venne da loro accolto. Ecco qui la mia lettura di quel contrattempo: Pedro stava tornando da un incontro del regionale a cui era arrivato in ritardo perché aveva portato il suo appoggio ad un gruppo di contadini minacciati. Dom Miguel Mundo, vescovo ausiliare di Jataí e segretario del regionale, aveva rivolto un rimprovero pubblico a Pedro perché era arrivato in ritardo. Pedro non si era difeso. Da parte mia non avevo dato importanza alla cosa. Ma posso garantire che l’episodio aveva colpito profondamente Pedro, che aveva intrapreso il viaggio di ritorno soffrendo a livello fisico le conseguenze di quell’aggressione ingiusta ed antievangelica.

Durante il pontificato di Giovanni Paolo II, a Pedro fu praticamente ordinato di compiere la visita ad limina. A Roma, alla Congregazione per la Dottrina della Fede, dovette giustificarsi davanti al card. Ratzinger e ad altri su due punti: rispetto ai suoi viaggi annuali in America Centrale, quando percorreva paesi e diocesi suscitando disagio nei rispettivi vescovi, e rispetto alle sue critiche verso le visite ad limina. Pedro ci raccontò che non si era mai sentito con tanta presenza di spirito come in quel giorno. All’inizio, percependo che sarebbero andati direttamente al punto, suggerì di cominciare con una preghiera. Credo che questa pratica sia stata introdotta lì da allora. Continuo a pensare alla testimonianza del nostro fratello davanti a quel tribunale che era stato della Santa Inquisizione. Credo che la missione del vescovo sia rivolta, in primo luogo, ai piccoli e ai poveri della sua Chiesa, ma non escluda l’azione profetica ad intra, anche alle più alte istanze ecclesiastiche, papa compreso. Dio sia lodato!

Vescovi "rossi"

Ma non è tutto così grave e carico di tensione nella vita di un vescovo. Su richiesta degli indios tapirapé, trasportai più di una volta in aereo degli arara addomesticati dagli indios rikbatsa del fiume Juruena. Attraversavo tutto lo Stato del Mato Grosso in direzione Est-Ovest. In uno di quei viaggi diedi un passaggio a Pedro, che era diretto alla sua Prelatura. Un giro lungo ma compensato dalla bellezza estremamente varia del panorama. Pedro ebbe un’ispirazione: una cronaca di quel viaggio piacevolissimo dal titolo "Un elicottero rosso, carico di dodici arara rossi e condotto da due vescovi dello stesso colore". Si faceva scuro e notai all’orizzonte, nella nostra direzione, una formazione temporalesca che bloccava la nostra traiettoria. Dissi a Pedro che sarebbe stato bene atterrare sulla prima pista sicura che avremmo incontrato. E da lontano spuntò una buona pista di una grande fazenda. Mi avvicinai e atterrammo. Venne l’amministratore, un conoscente di Pedro. "Siete fortunati – disse -; il padrone è con la sua famiglia a Rio per il carnevale. La casa è tutta per voi". Così, dopo a-ver mangiato, potemmo godere del confort di un letto matrimoniale per ciascuno.

Arrivò per Pedro il momento di rinunciare alla carica di vescovo di São Felix. La sua preoccupazione e quella di molti di noi riguardava la continuità della caminhada pastorale. Questo lo angosciava, soprattutto a causa del ritardo della nunziatura, pregiudicando la sua salute, sempre più fragile. Tanto più che in quel periodo egli era impegnato nella solidarietà con gli xavante, decisi a recuperare il proprio antico territorio. Pedro si vide nuovamente circondato da attenzioni a causa dell’esplicita minaccia di morte ai suoi danni.

Il nunzio apostolico chiese a un vescovo di andare alla prelatura per chiedere informazioni a Pedro riguardo ai suoi progetti di partenza da São Felix. La ripercussione di questa proposta fu delle più negative. Un gruppo di vescovi inviò una lettera alla nunziatura chiedendo conto di quello che avrebbe potuto esserci dietro questa azione e affermando il diritto del vescovo emerito di scegliere liberamente la propria residenza, come garantito dalla legge canonica. L’as-semblea della prelatura reagì. La stampa in Brasile e all’este-ro si fece eco della questione. Ci preoccupava la possibilità che la proposta relativa alla partenza di Pedro fosse la condizione posta da qualche candidato alla prelatura. Per questo, nell’arrivo di dom Leonardo vedemmo il segno del-l’amore del Padre per Pedro e la sua Chiesa. Inoltre, dalla prima telefonata che si scambiarono, Pedro percepì che l’arrivo di Leonardo fosse una benedizione. A mio modo di vedere, Pedro sarebbe già morto se fosse prevalso l’altro progetto. Leonardo ha voluto abitare nella stessa casa di Pe-dro, continuare la stessa caminhada. Nella cerimonia di insediamento di Leonardo, di fronte ad una grande folla, dopo la lettura delle bolle, pensai alle parole di San Paolo alla comunità, in cui dice che essa è la vera lettera di presentazione e il segno della sua legittimità come apostolo. Lì, in quel popolo, si stava abbondantemente riversando lo Spirito del Signore e, attraverso questo Spirito, il popolo riconosceva istintivamente il suo nuovo pastore.

Un giorno Pedro arrivò a dirmi che ormai non era più vescovo. Allo stesso modo in cui nel 1971 mi trovai in disaccordo con lui quando stava per rinunciare all’episcopato al momento di passare dal giuridico al sacramentale, così anche in questa occasione discordai rispetto alla sua ecclesiologia che riduce questo sacramento allo spazio e al tempo della giurisdizione. Sia come sia, ringraziamo il Signore per averci dato Pedro come vescovo. Era destinato a questo ministero dal seno di sua madre. Lo visse e lo vive oggi nella radicalità e-vangelica e nella semplicità, nella povertà e nella coerenza, nella donazione martiriale e nella mistica, in una ostinata speranza e in una vibrante poesia. Pensando ai vescovi che il Dio di misericordia ha inviato nel nostro continente latinoamericano nei tempi pentecostali del Vaticano II e di Medellín, come Leónidas Proaño, Oscar Romero, Manuel Larrain, Helder Câmara ed altri, si può affermare che dom Pedro Casaldáliga si trova in questa compagnia. La sua azione ai nostri giorni è stata così ampia e profonda che molte cose nella società e nella Chiesa portano il segno della sua presenza. Per questo, possiamo con ogni ragione collocarlo a fianco dei grandi vescovi che hanno segnato la storia della nostra Chiesa.

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