TUTTI I NEMICI DEL PRESIDENTE: MULTINAZIONALI, OLIGARCHIE E STATI UNITI, TENTANO LA SPALLATA AL GOVERNO BOLIVIANO
Tratto da: Adista Notizie n° 33 del 26/04/2008
34394. LA PAZ-ADISTA. Rischia un drammatico arresto il processo di trasformazione della Bolivia guidato da Evo Morales, il primo presidente indio del continente americano. Le oligarchie del Paese, attivamente sostenute dagli Stati Uniti, sembrano riuscire nel loro intento di confinare il potere effettivo del governo alla regione dell’altipiano (La Paz, Oruro e Potosí), assumendo il pieno controllo dell’Oriente del Paese, la cosiddetta mezza luna, che abbraccia i dipartimenti di Santa Cruz, Beni, Pando e Tarija.
Il conflitto è esploso con l’approvazione da parte dell’Assemblea costituente di una nuova Costituzione - che opera una rifondazione dello Stato boliviano su base plurinazionale, riconoscendo agli oltre trenta popoli indigeni del Paese il diritto a vivere nei propri territori, con i propri sistemi giuridici, le proprie autorità e la propria struttura amministrativa - e con l’entrata in vigore della Finanziaria del 2008, che taglia le entrate delle prefetture per finanziare un bonus di 300 dollari l’anno per i cittadini con più di 60 anni. I prefetti della mezza luna, espressione dell’opposizione di destra, razzista e reazionaria, hanno risposto avanzando la pretesa di legalizzare, via referendum, i propri illegali statuti autonomistici, che di fatto trasformerebbero i dipartimenti orientali in Stati sovrani, con tanto di parlamenti, polizie, autonomia fiscale, pieno controllo delle risorse naturali. La prima spallata verrà dal dipartimento di Santa Cruz, il cui prefetto, Rubén Costas, ha fissato per il prossimo 4 maggio il referendum autonomista che lo proclamerà "governatore della Repubblica di Santa Cruz". Il prefetto è sostenuto dai potentissimi latifondisti della regione, che controllano la produzione degli alimenti di base, facendone aumentare vertiginosamente i prezzi, e intanto promettono al popolo aumenti salariali, assicurazione sanitaria gratuita, abitazioni e acqua potabile: a guidarli è il presidente del Comitato civico Pro Santa Cruz, il miliardario e fascista croato Branco Marinkovic, il quale, durante i governi precedenti, era riuscito ad appropriarsi illegalmente di quasi 27mila ettari di un territorio ancestrale appartenente al popolo indigeno guarayo. E a dare una mano ai latifondisti ci ha pensato addirittura il card. Julio Terrazas, arcivescovo di Santa Cruz, il quale, lo scorso 13 aprile, per di più durante un’omelia, è arrivato a mettere in dubbio l’esistenza di un regime di moderno schiavismo nei latifondi del Chaco boliviano. E ciò malgrado le decine di rapporti di organizzazioni internazionali (dalla Commissione Interamericana sui Diritti Umani all’Organizzazione Internazionale del Lavoro) sull’esistenza di centinaia di famiglie guaraní costrette a lavorare fino a 15 ore al giorno senza ricevere un salario e vittime di punizioni corporali. "Con quale facilità – ha dichiarato il cardinale, provocando indignate reazioni nel mondo politico e nella società civile – si getta fango tra di noi: si parla di luoghi pieni di schiavi, che ci mostrino le prove, che ci dicano dove trovarli. Non è possibile continuare a condannare solo a base di slogan e di parole offensive".
Le destre sulla via del separatismo
A passare dalle parole ai fatti sono invece i gruppi paramilitari organizzati intorno all’Unión Juvenil Cruceñista e finanziati dalle transnazionali petrolifere di Tarija e Chuquisaca e dalla Usaid, l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (rispetto alle ingerenze degli Stati Uniti, è stato lo stesso Morales a dichiarare, lo scorso 10 aprile, che la Cia aveva mantenuto un suo ufficio nientemeno che all’interno del Palazzo presidenziale, finché non era stato scoperto all’inizio del suo mandato). Sono stati proprio questi gruppi paramilitari a tendere un’imboscata a indigeni guaraní e funzionari di governo, lo scorso 13 aprile nei pressi della città di Camiri, ferendo una quarantina di persone, nell’ambito della mobilitazione padronale contro il processo avviato dal governo, attraverso l’Istituto nazionale di riforma agraria, per la verifica dei titoli di proprietà della terra e del compimento della funzione economica e sociale dei possedimenti.
Molti tentativi sono stati condotti per dissuadere la destra separatista dalla via del referendum, ma né la Corte Nazionale Elettorale - con la sua decisione di sospendere tutti i processi referendari, sia quello legale di approvazione del nuovo progetto di Costituzione che quelli illegali delle prefetture sugli statuti autonomistici - né il Tribunale Costituzionale, né la mediazione della Chiesa cattolica, né l’intervento dell’Organizzazione degli Stati Americani hanno ottenuto alcunché. Al governo non sembrano allora che rimanere due vie: quella di negoziare con l’oligarchia dopo la realizzazione del referendum del prossimo 4 maggio – legittimando di fatto il processo separatista – o quella di usare la forza mandando l’esercito e la polizia ad impedire la votazione e a stroncare la rivolta – con il pericolo di un bagno di sangue. Alternativa, quest’ultima, che sembra scartata del tutto, avendo lo stesso Evo Morales escluso la possibilità di decretare lo stato di assedio a Santa Cruz, in ciò sostenuto da quanti ridimensionano l’impatto della prevedibile vittoria elettorale dell’oligarchia: "Crediamo - ha affermato il ministro di governo Alfredo Rada - che quanti si trovano sul terreno dell’illegalità avranno molti problemi al momento di applicare i risultati di un atto illegale", tanto più che, ha assicurato il presidente della Corte Nazionale Elettorale, José Luis Exeni, "la Corte non si pronuncerà sui risultati del referendum in Santa Cruz, né li avallerà a livello nazionale e internazionale".
Contro l’oligarchia, riprendere la mobilitazione sociale
E mentre il cardinal Terrazas da un lato difende i latifondisti e dall’altro offre la piena disponibilità della Chiesa a mediare tra le parti, e tanto il governo quanto i prefetti parlano di dialogo e di pacificazione per conquistarsi l’appoggio di una sempre più spaventata classe media, c’è chi non vede affatto di buon occhio il fatto stesso di negoziare con l’oligarchia, le cui condizioni per sedersi al tavolo delle trattative sono onerosissime: l’eliminazione dei tagli alle entrate delle prefetture, l’annullamento del decreto che vieta temporaneamente l’esportazione di alimenti e il ritiro della proposta ufficiale della nuova Costituzione. Criticando la politica di conciliazione del governo, che non farebbe altro che rafforzare l’oligarchia, i sindacati e altri settori sociali propongono invece di riprendere con forza la mobilitazione sociale, per operare una reale trasformazione del Paese, recuperando il pieno controllo sulle risorse naturali, e stroncare così alle radici la rivolta delle destre. Chiedono dunque al governo di Evo Morales di adottare misure più energiche per contrastare l’oligarchia e di procedere con decisione a realizzare cambiamenti strutturali nel Paese.
E intanto il 10 aprile il governo ha approvato sette decreti che puntano al rafforzamento dell’impresa statale di petrolio e gas, Yacimientos Petrolíferos Fiscales Bolivianos, e all’industrializzazione del gas boliviano, che erano due delle principali rivendicazioni dell’Agenda di Ottobre, nata dalla rivolta popolare del 2003, la cosiddetta Guerra del gas. E due giorni più tardi ha riconosciuto l’autonomia di cinque popoli indigeni a Santa Cruz, sulla base di una legge approvata nel novembre del 2007. "Assistiamo ad un momento storico nella vita della Repubblica - ha dichiarato il vicepresidente Álvaro García Linera -: la costituzione delle prime autonomie indigene del nostro territorio". Ma, a sinistra, non tutti concordano sull’instaurazione, prevista dalla nuova Carta costituzionale, di "governi indigeni", temendo una nuova forma di separatismo, oltre che un conflitto di competenze territoriali tra autonomie indigene e autonomie municipali. (claudia fanti)
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