Nessun articolo nel carrello

DIFENSORE DEGLI ULTIMI

Tratto da: Adista Documenti n° 58 del 26/07/2008

Gesù amava già sperimentare il regno di Dio nella cura degli infermi e nella liberazione dei posseduti. Erano quelli che avevano più bisogno di lui, ma non gli unici. Presto gli si avvicinano i più indigenti della Galilea. Alcuni non avevano neppure una casa. Vagavano per i villaggi muovendosi da una parte all’altra. Essi si imbattono presto in Gesù, che faceva anche lui una vita itinerante e non aveva “dove posare il capo” (Lc 9,58). Anch’essi devono sapere, quanto prima, che il regno di Dio è per loro. Conoscevano bene cos’era un regno costruito sulla base della forza e dell’op-pressione dei più deboli: era da anni che sopportavano la famiglia Erode. Ora devono conoscere com’è la vita che Dio vuole per loro: un regno di giustizia e di compassione, dove i grandi proprietari di terre siano gli “ultimi” e i mendicanti dei villaggi i “primi”.

 

Gli ultimi di Galilea

Emulando suo padre, anche Erode Antipa volle costruire il suo piccolo “regno”, per quanto da Roma avesse ricevuto solo il titolo di “tetrarca”. Subito ricostruì la città di Seforis nella Bassa Galilea e un po’ più tardi (...) costruì una nuova capitale sulle rive del lago di Genesaret. Naturalmente, la chiamò Tiberiade in onore di Tiberio, il nuovo imperatore. Con la costruzione di queste due città, la Galilea conobbe per la prima volta all’interno del suo territorio il fenomeno dell’urbanizzazione. In un breve arco di tempo, precisamente i primi vent’anni della vita di Gesù, lo sviluppo di queste due città situate a meno di 50 km l’una dal-l’altra generò un profondo cambiamento sociale. Gesù poté vivere tutto da vicino.

Seforis e Tiberiade divennero i centri amministrativi da cui si controllava tutta la regione. Lì si concentravano le classi dominanti: militari, potenti esattori, giudici, amministratori, grandi proprietari di terre e responsabili dell’im-magazzinamento delle merci. Non erano molti, ma costituivano l’élite urbana protetta da Antipa. Erano “i ricchi” di Galilea ai tempi di Gesù: possedevano ricchezza, potere e onore.

La situazione nei campi era molto diversa. Le grandi opere intraprese da Erode e poi da suo figlio Antipa aumentarono ancora di più i tributi e le tasse imposte ai contadini. Alcune famiglie potevano appena assicurarsi la sussistenza. (...). Quando una famiglia non aveva riserve sufficienti per arrivare al raccolto successivo, si rivolgeva prima di tutto a familiari e vicini. Ma non sempre era possibile perché spesso nei villaggi la penuria era generale. L’unica soluzione era allora chiedere un prestito a quanti controllavano le riserve di grano. Tutti sapevano quale potesse essere il finale. Non potendo saldare il proprio debito, più di uno si vedeva obbligato a cedere la terra, che andava ad ingrossare le proprietà dei grandi latifondisti. (...).

Impero di Tiberio, regno di Erode o tetrarchia di Antipa: il risultato era sempre lo stesso. Lussuosi edifici nelle città, miseria nei villaggi; ricchezza e ostentazione tra le élites urbane, debiti e fame tra le gente dei campi; arricchimento progressivo dei grandi proprietari, perdita delle terre da parte dei contadini poveri. Crescevano insicurezza e denutrizione; le famiglie, private della terra, si disintegravano; aumentava il numero di giornalieri, mendicanti, vagabondi, prostitute, banditi e persone che fuggivano dai creditori. (...). In Galilea, l’immensa maggioranza della popolazione era povera, poiché era composta da famiglie che lottavano ogni giorno per sopravvivere, ma almeno possedevano un piccolo terreno o un lavoro stabile per assicurarsi la sopravvivenza. Ma quando Gesù parla dei “poveri” si sta riferendo a quelli che non hanno niente: persone che vivono al limite, quelle private di tutto, quelle che sono all’altro estremo rispetto alle élite potenti. Senza ricchezza, senza potere e senza onore. (...). Tra di loro vi sono mendicanti che vanno di villaggio in villaggio e ciechi o paralitici che chiedono l’e-lemosina sulle strade o all’entrata dei villaggi. (...). Tra le donne vi sono vedove che non hanno potuto sposarsi di nuovo, spose sterili ripudiate dai mariti e non poche prostitute obbligate a guadagnarsi il pane per i propri figli. In questo mondo di miseria, le donne sono senza dubbio le più vulnerabili ed indifese: povere e, inoltre, donne.

Tratti comuni caratterizzano questo settore oppresso. Tutti sono vittime degli abusi e delle violenze di quanti hanno potere, denaro e terre. (...). In realtà non interessano a nessuno. Sono il “materiale di scarto dell’Impero”. Vite senza futuro.

 

Dio è di chi non ha niente

La vita insicura e itinerante avvicina molto Gesù a questo mondo di indigenti. Vive praticamente come uno di loro: senza tetto e senza lavoro stabile. (...). Vive tra gli esclusi cercando il regno di Dio e la sua giustizia.

Presto invita il gruppo di seguaci che si va formando intorno a lui a fare lo stesso. Condivideranno la vita di quella povera gente. (...). Vivranno della sollecitudine di Dio e dell’ospitalità della gente. Esattamente come quegli indigenti. Quello è il loro posto: tra gli esclusi dell’Impero. Per Gesù, è il luogo migliore per accogliere e annunciare il regno di Dio. (...).

Identificato con essi e soffrendo da vicino le loro stesse necessità, Gesù va prendendo coscienza del fatto che, per questi uomini e donne, il regno di Dio può risultare solo una “buona notizia”. Quello stato di cose era ingiusto e crudele. Non rispondeva al progetto di Dio. La venuta del suo regno avrebbe significato un “rovesciamento” totale: quei vagabondi, privati anche del necessario per vivere, saranno i “primi”, e molti di quei potenti che sembrano poter tutto saranno gli “ultimi”. Gesù esprime in maniera assai evidente la sua condanna narrando una parabola che parla di “un ricco senza compassione e un mendicante chiamato Lazzaro”. Tutti la comprendono. La gioia dei mendicanti non poteva essere maggiore. Nel loro cuore si risvegliava una speranza nuova. (...).

Lo sguardo penetrante di Gesù sta smascherando la terribile ingiustizia di quella società. Le classi più potenti e gli strati più oppressi sembrano appartenere alla stessa società, ma sono separati da una barriera quasi invisibile: quella porta che il ricco non attraversa mai per avvicinarsi a Lazzaro. I ricchi stanno dentro i loro palazzi a celebrare splendide feste; i poveri sono fuori a morire di fame. All’improvviso tutto cambia. Lazzaro muore e, malgrado non si parli nemmeno del suo funerale, è portato nel seno di Abramo, dove è accolto per prendere parte al banchetto. Muore anche il ricco, che è seppellito con ogni onore, ma non va nel seno di Abramo, bensì in un luogo di tormenti. (...).

I poveri non possono crederci. Che sta dicendo Gesù? Secondo la tradizione di Israele, la prosperità è segno di benedizione e la miseria, al contrario, segno di maledizione. (...). Sarà che i ricchi non godono della benedizione di Dio? Sarà che i vagabondi e i mendicanti non sono maledetti? Con la sua parabola, Gesù non sta descrivendo ingenuamente la vita dell’aldilà, ma smascherando quello che succede in Galilea. Questo stato di cose di alcuni ricchi che vivono splendidamente mentre alle porte dei loro palazzi c’è gente che muore di fame è una dolorosa ingiustizia. Questa ricchezza che cresce grazie all’oppressione sistematica dei deboli non è segno della benedizione di Dio. È un’ingiustizia intollerabile che Dio farà scomparire un giorno. La venuta del suo regno significa un rovesciamento totale della situazione. (...).

Il regno di Dio non è una “buona novella” per tutti, indiscriminatamente. Non possono ascoltarlo tutti allo stesso modo: i grandi proprietari di terre che banchettano a Tiberiade e i mendicanti che muoiono di fame nei villaggi. (...). La sua venuta è una fortuna per quanti vivono oppressi e una minaccia per quanti vivono oppressori.

Non è una beffa? Non è cinismo? Lo sarebbe, forse, se Gesù stesse parlando dai palazzi di Tiberiade, le dimore di Seforis o le ville dei sommi sacerdoti di Gerusalemme. Ma Gesù è con gli indigenti. È un indigente in più che parla loro con fede e convinzione totale: questa miseria che li condanna alla fame e all’afflizione non ha origine in Dio. Al contrario, costituisce un vero scandalo: Dio li vuole vedere saziati, felici e ridenti. (...).

Gesù è realista. Non ha potere politico né religioso per trasformare quella situazione. Non ha eserciti per levarsi contro le legioni romane né per rovesciare Antipa. (...). La sua parola non comporta l’immediata fine della fame e della miseria di queste persone, ma la dignità indistruttibile di tutte le vittime di abusi e violenze. (...). Né la religione ebraica né alcun’altra sarà mai benedetta da Dio se non porta giustizia. Dio può essere accolto solo costruendo un mondo che abbia come prima meta la dignità degli ultimi.

 

Stolti o solidali

In una società in cui c’è gente che vive immersa nella fame o nella miseria, c’è solo un’alternativa: vivere come stolti, indifferenti alla sofferenza degli altri, o risvegliare il cuore e muovere le mani per aiutare chi ne ha bisogno. (...). La tragedia dei ricchi consiste nel fatto che il loro benessere vissuto accanto a coloro che soffrono di fame è incompatibile con il regno di Dio, che vuole vedere i suoi figli e le sue figlie godere di una vita degna e giusta. Da qui il grido di Gesù: “Non potete servire Dio e il Denaro”. Le sue parole dovevano risultare esplosive. Dio e il Denaro sono due signori contrapposti. (...). Gesù non alimenta nei poveri una sete di vendetta contro i ricchi. Si limita a predire il loro futuro: nel regno di Dio non c’è posto per loro. Se non cambiano, sono degli “stolti”. (...).

Nel vangelo di Matteo si riporta un racconto impressionante in cui si parla dell’aiuto ai bisognosi come il criterio che deciderà la sorte finale di tutti. (...). La scena è grandiosa. Il Figlio dell’uomo viene come un re con un corteo grandioso e si siede sul suo “trono di gloria”. Di fronte a lui compare l’“assemblea di tutte le nazioni”. È il momento della verità. Vi sono genti di tutte le razze e i popoli, di tutte le culture e le religioni, generazioni di tutti i tempi. Tutti gli abitanti del pianeta, Israele e i popoli gentili ascoltano il verdetto finale. (...). In realtà, non c’è propriamente una sentenza giudiziaria. Ogni gruppo si dirige verso il luogo che ha scelto. Quelli che hanno orientato la loro vita verso l’amore e la misericordia finiscono nel regno dell’amore e della misericordia di Dio. Quelli che hanno escluso dalla loro vita i bisognosi si autoescludono dal regno di Dio, dove c’è solo accoglienza ed amore. (...). Nel racconto non si dicono grandi parole. Non si parla di giustizia e di solidarietà, ma di cibo, di indumenti, di qualcosa da bere, di un tetto sotto cui ripararsi. Non si parla neppure di “amore”, ma di cose concrete come “dare”, “accogliere”, “visitare”, “accudire”. La cosa decisiva non è un amore teorico, ma la compassione che si traduce in aiuto al bisognoso. (...).

Coloro che sono proclamati “benedetti dal Padre” non hanno agito per motivi religiosi, ma per compassione. Non è la loro religione né l’adesione esplicita a Gesù a condurli al regno di Dio, ma il loro aiuto a chi ne ha bisogno. (...). Probabilmente, questa scena del “giudizio finale” non è stata presentata così da Gesù. Non è il suo stile né il suo linguaggio. Ma il messaggio che contiene è, senza alcun dubbio, la conclusione che si trae dal suo messaggio e da tutto il suo agire. Possiamo dire senza paura di sbagliarci che la “grande rivoluzione religiosa” portata a termine da Gesù è l’apertura di un’altra via di accesso a Dio, diversa dal sacro: l’aiuto al fratello bisognoso. La religione non ha il monopolio della salvezza: il cammino più sicuro è l’aiuto a chi soffre. Per esso passano molti uomini e donne che non hanno conosciuto Gesù.

 

Dignità per gli indesiderabili

Gli indigenti, che costituiscono la fascia più bassa della Galilea, non solo mancano di tutto, ma sono anche condannati a vivere nella vergogna: senza onore né dignità alcuna. (...). Il disonore e l’indegnità di queste persone erano ancora più aggravati dal sistema di purezza vigente, che accentuava le discriminazioni tra i diversi settori della società ebraica. Dall’invasione della cultura ellenistica per iniziativa di Alessandro Magno, quel piccolo popolo si era visto obbligato a difendere la propria identità con tutte le forze. Tutti compresero che sarebbero potuti sopravvivere solo riaffermando la propria adesione incondizionata alla legge e al tempio e promuovendo una politica di separazione da ciò che era pagano. Era questione di vita o di morte.

In questo clima si sviluppò una dinamica religiosa di “separazione”, orientata a preservare la santità propria del popolo di Dio. Il tempio di Yahvé, luogo santo per eccellenza, doveva essere protetto da ogni contaminazione, escludendo dal recinto sacro gentili e impuri. (...).

Tutti accettavano ai tempi di Gesù l’affermazione centrale di questo codice di santità che pone in bocca a Dio questo mandato: “Siate santi, perché io, Yahvé, vostro Dio, sono santo”. Tutti intendono la “santità” come separazione dall’impuro. Vi sono, tuttavia, gruppi e settori che la cercano e la promuovono con un rigore speciale. Gli esseni della comunità di Qumrán giunsero persino ad abbandonare la terra promessa per creare in mezzo al deserto una “comunità santa”. (...).

È normale che in questo tipo di società, dove si misura ritualmente il grado di purezza o impurità delle persone, i più degradati e proscritti socialmente siano considerati in generale un settore di “impuri” distanti dal Dio santo del tempio. Sono sporchi, molti di loro infermi, con la pelle del corpo coperta di ulcere come Lazzaro. Vi sono tra loro mendicanti, ciechi e prostitute. La loro vita di vagabondi impedisce alla maggioranza di essi di compiere le norme di purezza e le purificazioni rituali. Tanti devono cercarsi il pane quotidiano. La loro esclusione dal tempio sembra di-mostrare che Dio li rifiuta. (...).

Non così la vedeva Gesù. (...). Gesù non nega la “santità” di Dio, ma la qualifica non come separazione dall’impuro, bensì come amore compassionevole. (...). La compassione è il modo d’essere di Dio, la sua prima reazione di fronte all’essere umano, la prima cosa che emerge dalle sue viscere di padre. Dio è compassione ed amore viscerale per tutti, compresi gli impuri, i privi di onore, gli esclusi dal tempio. (...).

Gesù introduce così una vera rivoluzione. Il “codice di santità” generava una società discriminatoria ed escludente. Il “codice di compassione” da lui proposto genera una società compassionevole, accogliente ed inclusiva, anche nei confronti di settori senza onore e rispettabilità. (...).

È l’amore compassionevole che fa da origine e sfondo ad ogni azione di Gesù, ciò che ispira e configura tutta la sua vita. (...). La sua azione, ispirata dalla compassione, è una sfida diretta al sistema di purezza. Forse aveva una visione particolare: il santo non ha bisogno di essere protetto da una strategia di separazione per evitare la contaminazione; al contrario, è veramente santo chi contagia purezza e trasforma l’impuro. Gesù tocca il lebbroso, e non è Gesù che diventa impuro, ma il lebbroso che si purifica.

 

Amico di peccatori

Non era l’accoglienza degli impuri quello che provocava maggiormente scandalo e ostilità verso Gesù, ma la sua amicizia con i peccatori. Non era mai avvenuto qualcosa di simile nella storia di Israele. Nessun profeta si era avvicinato a loro con un tale atteggiamento di rispetto, amicizia e simpatia. Era inaudito. (...). Come poteva accogliere presso di sé pubblicani e peccatori senza porre loro alcuna condizione? Come poteva un uomo di Dio accettarli come amici? Come poteva spingersi fino a mangiare con loro? Questo comportamento è sicuramente il tratto più provocatorio di Gesù. (...).

“Peccatori” sono persone che hanno trasgredito l’Allean-za in maniera deliberata, senza che in loro si osservi alcun segno di pentimento. (...). Insieme ai peccatori, le fonti parlano costantemente di un altro gruppo: quello dei “pubblicani”. Gesù è accusato di mangiare con “peccatori e pubblicani” e almeno un pubblicano apparteneva al gruppo dei suoi amici più intimi. (...). Non devono essere confusi con gli esattori di imposte e tributi diretti dell’Impero sulle terre e sui prodotti del campo. Roma affidava questo compito a famiglie prestigiose ben selezionate (...). I “pubblicani” che appaiono nei vangeli sono gli esattori di imposte sulle merci e sui diritti di transito nelle vie importanti, sui ponti e alle porte di alcune città. (...). Questo lavoro, considerato un’attività propria di ladri e di gente poco onesta, era così disprezzato che a volte si ricorreva agli schiavi. Questi sono i “pubblicani” che incontra Gesù nel suo cammino. Costituiscono un gruppo tipico di peccatori screditato socialmente: l’equivalente forse del gruppo di “prostitute” tra le donne. Allo stesso modo, Gesù scandalizza anche per le sue relazioni con donne di cattiva fama, provenienti dagli strati più bassi della società. (...).

Ciò che più scandalizza non è vederlo in compagnia di gente peccatrice e poco rispettabile, ma notare che si siede con questa gente alla mensa. Questi pasti con “peccatori” sono uno dei tratti più sorprendenti e originali di Gesù, forse quello che più lo differenzia da tutti i suoi contemporanei e da tutti i profeti e i maestri del passato. I peccatori sono suoi compagni di tavola, i pubblicani e le prostitute godono della sua amicizia. (...). Senza dubbio è un gesto provocatorio, cercato intenzionalmente da Gesù. (...).

La questione è esplosiva. Sedersi alla mensa con qualcuno è sempre una dimostrazione di rispetto, fiducia e amicizia. Non si mangia con chiunque; ognuno mangia con i suoi. Condividere la stessa mensa vuol dire che si appartiene allo stesso gruppo e pertanto si marcano le differenze con gli altri. (...). Gesù sorprende tutti sedendosi a mangiare con chiunque. La sua mensa è aperta a tutti: nessuno deve sentirsi escluso. (...).

Il messaggio di Gesù è così seduttivo da risultare incredibile. Ma Gesù parla con fede totale: Dio è così. Non vuole restare eternamente solo in mezzo ad una “sala vuota”. È stata preparata una grande festa aperta a tutti, perché tutti egli considera come amici ed amiche, degni di condividere la sua mensa. La gioia di Dio è che i poveri e i disprezzati, gli indesiderabili e i peccatori possano godere insieme a lui. Gesù lo sta vivendo già da ora. Per questo celebra con piacere pranzi e cene con quelli che la società disprezza ed emargina. (...).

 

Il perdono offerto da Gesù

Gesù intende e vive questi pasti con i peccatori come un processo di cura. Accusato per la sua condotta strana e provocatoria, risponde con questo ritornello: “Non hanno bisogno di medico i sani, ma gli infermi”. Questi pasti hanno un carattere terapeutico. In essi Gesù offre loro la sua fiducia e la sua amicizia, li libera dalla vergogna e dall’umiliazione, li riscatta dall’emarginazione, li accoglie come amici. A poco a poco si risveglia in loro il senso della propria dignità: non meritano alcun rifiuto. Per la prima volta si sentono accolti da un uomo di Dio. D’ora in poi, la loro vita può essere diversa. (...).

Gesù non invita al libertinaggio. Non giustifica il peccato, la corruzione o la prostituzione. Quello che fa è rompere il circolo diabolico della discriminazione, aprendo uno spazio nuovo per l’incontro amichevole con Dio. (...).

A questi peccatori che siedono alla sua mensa, Gesù offre il perdono in una logica di amicizia accogliente. Non c’è nessuna dichiarazione; non li assolve dai loro peccati; li accoglie semplicemente come amici. (...). La sua accoglienza a pubblicani e prostitute include l’assoluzione del peccato, ma è molto di più. Gesù suggerisce che Dio va all’incontro del peccatore non come un giudice che detta una sentenza, ma come un padre che cerca di recuperare i suoi figli perduti.

 

Perdono immeritato

(...) La cosa sorprendente è che Gesù accoglie i peccatori senza esigere previamente da loro un pentimento, così come era inteso tradizionalmente, e senza neppure sottometterli a un rito penitenziale, come aveva fatto il Battista. Offre loro comunione e amicizia come segno che Dio li accoglie nel suo regno anche prima che tornino alla legge e si integrino nell’Alleanza. Li accoglie così come sono, peccatori, confidando totalmente nella misericordia di Dio (...).

Questo perdono che offre Gesù non ha condizioni. La sua azione terapeutica non segue i cammini della legge: definire la colpa, chiamare al pentimento, ottenere il cambiamento e offrire un perdono condizionato ad una risposta successiva positiva. Gesù segue i cammini del regno: offre accoglienza e amicizia, dona il perdono di Dio e confida nella sua misericordia, che saprà recuperare i suoi figli e figlie perduti. Si avvicina, li accoglie e inizia con loro un cammino verso Dio che si sostiene solo sulla sua compassione infinita. Nessuno ha lasciato in questa terra un segno più carico di speranza, un segno più gratuito ed assoluto del perdono di Dio.

Gesù situa tutti, peccatori e giusti, di fronte all’abisso insondabile del perdono di Dio. Non ci sono giusti con diritti di fronte a peccatori senza diritti. A partire dalla compassione di Dio, Gesù delinea tutto in modo diverso: a tutti viene offerto il regno di Dio; restano esclusi solo quelli che non accolgono la sua misericordia. (...).

Il problema principale di Gesù è stato se le persone moralmente giuste e legalmente corrette comprendessero il suo modo di vedere le cose. I poveri e gli infermi, gli impuri e i peccatori, i pubblicani e le prostitute lo comprendevano e lo accoglievano. Per loro, questo Dio suggerito da Gesù era la notizia migliore. La tradizione cristiana ha conservato una frase rivolta da Gesù a quanti si opponevano al suo messaggio. Può essere solo sua: “In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21,31).

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

Sostieni la libertà di stampa, sostieni Adista!

In questo mondo segnato da crisi, guerre e ingiustizie, c’è sempre più bisogno di un’informazione libera, affidabile e indipendente. Soprattutto nel panorama mediatico italiano, per lo più compiacente con i poteri civili ed ecclesiastici, tanto che il nostro Paese è scivolato quest’anno al 46° posto (ultimo in Europa Occidentale) della classifica di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa.