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DAL CUORE DELL'AFRICA AL CUORE DELL'UOMO: IL 47.MO CONVEGNO NAZIONALE DI CEM MONDIALITÀ

Tratto da: Adista Notizie n° 61 del 13/09/2008

34571. VITERBO-ADISTA.

"Dudal Jam": significa "Centro per la pace" in lingua peulh. Quella peulh è solo una delle sessanta etnie che popolano il Burkina Faso, Paese africano fra i più poveri della terra. Qui, nella regione del Sahel, sorgeranno due centri interreligiosi e interculturali dove giovani europei ed africani potranno imparare a conoscere le rispettive culture e lottare insieme contro i pregiudizi, il fondamentalismo religioso e l’intolleranza. Il progetto "Dudal Jam" - nato sulla scia dell’esperienza della locale Union Fraternelle des Croyants, associazione paritaria di cristiani e musulmani fondata nel 1969 da p. Lucien Bidaud - è stato promosso dall’Ong Lvia e da Cem Mondialità. E proprio in occasione del 47 mo Convegno nazionale di Cem mondialità, svoltosi a Viterbo dal 25 al 29 agosto, l’iniziativa è stata presentata da Brunetto Salavrani (direttore del Cem) e Gianfranco Cattai (direttore di Lvia), insieme a mons. Joachim Ouéadraogo (vescovo di Dori, nel Burkina Faso), mons. Lorenzo Chiarinelli (vescovo di Viterbo) e Hamidou Moussa Dicko (rappresentante del Grande Imam di Dori).

Investire nel dialogo, come è stato ricordato dalle personalità intervenute alla presentazione, significa investire anche nella pace e nella sicurezza internazionale, perché è proprio dalle tensioni di carattere religioso ed identitario che vengono i maggiori rischi all’equilibrio ed alla stabilità a livello mondiale e di molte regioni in via di sviluppo. Ma la prospettiva dello "scontro di civiltà" non è l’unica grande sfida che l’umanità si trova di fronte in questo avvio di millennio. Muovendosi dal "macro" al "micro", il Convegno del Cem si è infatti occupato anche del potere nella sua dimensione "biopolitica", ovvero del controllo sempre più pervasivo che le nuove tecnologie - e le legislazioni ad esse connesse - sono in grado di esercitare sull’uomo in quanto essere vivente, ossia in quanto "vita biologica" o "nuda vita".

La centralità del corpo e delle problematiche relative al suo essere oggetto di manipolazione e di scelte consapevoli fino a poco tempo fa assolutamente imprevedibili dovrebbe interpellare tutti coloro che hanno un ruolo educativo: questo il filo conduttore dei laboratori e dei seminari che hanno animato la tre giorni organizzata dal Cem.

Fra gli ospiti chiamati a contribuire al "Momento dello spirito", uno fra i maggiori teologi italiani, p. Armido Rizzi, che ha sviluppato una riflessione dal titolo: "Il cuore e i diritti della carne. Assaggio di antropologia biblica".

La "carne" è intesa da Rizzi nella sua accezione veterotestamentaria, che rimanda a quella "fragilità" e "caducità" proprie della condizione umana. Rimanda dunque ad una "povertà ontologica" universale, diversa da quella "povertà storica", contingente, che ha afflitto e affligge ancora oggi larga parte dell’umanità. Se la prima è tuttavia inestricabilmente legata all’alterità umana rispetto all’eternità e all’onnipotenza di Dio - l’"Essere" che è il contrario della "carne" - la "povertà storica" è invece sempre più dipendente dall’attività e dalle scelte degli uomini, con le indirette ed inquietanti conseguenze dell’"industriosità umana", quali la minaccia atomica o il rischio ecologico. "Rispondere alla chiamata di Dio" significa, secondo Rizzi, "essere in alleanza con Lui nel diventare responsabili della carne e delle carni che vivono nel mondo", ovvero nel prendersi cura della fragilità conferendo ad essa dignità. "Questo vuol dire ‘amare Dio con tutto il cuore’", cioè rendere grazie a lui restituendo a chi, al contrario di Dio che non ha bisogno di nulla, è in possesso di diritti che vengono negati, indipendentemente dal fatto che ne sia consapevole oppure no. "Non è solo un amare Dio nel povero ciò che ci è richiesto, ma amare il povero in quanto tale. E così sarà possibile dire a Dio: ‘Ti dico grazie perché tutto ho ricevuto da te; ti restituisco quello di cui sono capace perché tutto è tuo’".

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