AL SINODO SULLA BIBBIA “GESÙ DI RATZINGER” MODELLO DI RICERCA
Tratto da: Adista Notizie n° 73 del 25/10/2008
34642. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. In un Sinodo in cui, per ammissione degli stessi organizzatori, la principale preoccupazione dei partecipanti sembra essere quella di rimanere quanto più possibile “allineati e coperti”, è difficile ricostruire i confini di un ‘dibattito’ che sottenda alle centinaia di interventi di vescovi, cardinali ed esperti. Molti delegati, coscientemente o meno, sembrano aver seguito l’invito del card. Carlo Maria Martini (v. Adista n. 13/08) a non pensare il Sinodo come un modo per rimettere in discussione le fondamentali formulazioni conciliari della Dei verbum su Bibbia, interpretazione, Chiesa e teologia, e a concentrarsi piuttosto sugli aspetti pastorali e sul ruolo delle Scritture nella vita ordinaria della Chiesa; e così, stimolati anche dal titolo stesso del Sinodo, “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”, molti interventi nelle prime due settimane hanno riguardato temi disparati come la lectio divina, la ‘noiosità’ delle omelie, il tono appropriato per leggere le Scritture durante la messa, le traduzioni della Bibbia, la preparazione dei lettori e il loro ministero, l’arte come ‘predicazione per gli occhi’, il costo di mettere ‘una Bibbia nella mano di ciascun credente’, soprattutto nelle zone del Sud del mondo, il ruolo ecumenico delle Scritture… Temi di taglio sostanzialmente pastorale, che affrontano, da punti di vista anche molto differenti, il problema di come rafforzare il rapporto diretto tra cattolici e testo sacro, teorizzato dal Concilio Vaticano II ma ancora lontano da un’effettiva applicazione.
L’agenda della Curia
Ma l’agenda della Curia per il Sinodo è lungi dall’essere semplicemente pastorale, e vuole arrivare anche ad una messa a punto del rapporto tra la Bibbia, il suo studio scientifico, la sua interpretazione e il Magistero della Chiesa. Il ‘faro’, da questo punto di vista, è rappresentato – naturalmente – dal libro di Benedetto XVI su Gesù di Nazareth, presentato ai padri sinodali, neppure troppo implicitamente, come la ‘traccia’ ideale dei lavori. Nel suo libro, il pontefice aveva criticato il cosiddetto “metodo storico-critico” che avvicina la Scrittura con gli stessi strumenti testuali e scientifici sviluppati per i testi ‘profani’. Il rischio di questo metodo sarebbe quello di ridurre la Bibbia ad un ‘libro antico’ tra tanti, ed è per questo che Ratzinger ha messo invece l’accento sulla “esegesi canonica”, un approccio che assume come dato di partenza l’unità della Bibbia e ne tenta un’interpretazione più teologica che critico-letteraria, alla luce naturalmente della tradizione e del Magistero della Chiesa.
Un’impostazione, questa, ripresa fedelmente dal relatore generale del Sinodo, il canadese card. Marc Ouellet che, già nella sua Relatio ante disceptationem in apertura dei lavori dell’assise, aveva proposto ai delegati di chiedere al papa una “enciclica sulla interpretazione della Scrittura nella Chiesa”. È facile pensare che per papa Ratzinger tale enciclica costituirebbe l’occasione perfetta per trasformare il suo Gesù da testo ‘personale’ a testo magisteriale. Non a caso, quasi non c’è stato intervento che non abbia mancato di citare il best-seller del papa proponendolo come modello di una rinnovata esegesi capace di rendere ‘vive’ le Scritture nella Chiesa.
Alla luce di questa tensione di fondo, non sono però mancati, tra gli interventi personali di alcuni padri sinodali (ad esempio, quello del Maestro Generale dei domenicani, p. Carlos Alfonso Azpiroz Costa), alcune difese appassionate del metodo storico-critico e del suo significato per la vita della Chiesa. Durante l’ora di ‘discussione libera’ che conclude ogni giorno l’assemblea del Sinodo, un “vescovo-esegeta” (i nomi e i testi degli interventi nella discussione libera sono segreti) ha raccolto applausi per il suo intervento in cui ha lamentato le molte, troppe critiche rivolte contro gli esegeti durante il Sinodo, e ha ricordato che la lettura della Bibbia non può essere in senso “spirituale” ma deve anche fondarsi sul metodo storico-critico.
Un intervento senza precedenti
Malgrado la sostanziale uniformità delle posizioni espresse, il modo in cui si sono sviluppati i lavori del Sinodo nei primi 10 giorni non ha evidentemente soddisfatto del tutto le aspettative vaticane. Per questo, con un gesto senza precedenti, il 14 ottobre è stato lo stesso Ratzinger a prendere la parola durante la Congregazione generale (la ‘plenaria’ del Sinodo) e a suggerire ai padri di dedicare una delle loro proposizioni proprio al rapporto tra esegesi e teologia.
L’intervento del papa è arrivato in un momento cruciale dei lavori sinodali, quasi al termine della lunga serie di interventi ‘liberi’ dei delegati, alla vigilia della presentazione da parte del card. Ouellet della sua Relatio post disceptationem che riassume i lavori e definisce i temi su cui dovranno concentrarsi i circuli minores che elaboreranno le ‘proposizioni’ da presentare al papa. Già in occasione dell’ultimo Sinodo, dedicato nel 2005 all’eucaristia, il pontefice aveva preso la parola, ma mai prima d’ora Ratzinger era arrivato al punto di indicare ai padri sinodali il tema di una delle proposte che dovranno consegnare a lui stesso per l’approvazione.
Nel suo breve discorso - durato circa 8 minuti e pronunciato a braccio (l’intervento è stata pubblicata dall’Osservatore Romano il 15/10) - il papa ha messo in guardia dai “rischi di un'esegesi esclusivamente storico-critica” che, anche se “aiuta a capire che il testo sacro non è mitologia, ma vera storia” e “aiuta a cogliere l'unità profonda di tutta la Scrittura” , può però portare “a pensare alla Bibbia come un libro che riguarda solo il passato”. “Se scompare l'ermeneutica della fede - ha detto ancora - al suo posto si afferma l'ermeneutica positivista o secolarista, secondo la quale il divino non appare nella storia. E si riduce tutto all'umano, come nell'attuale mainstream dell'esegesi in Germania, che nega la risurrezione di Cristo e la fondazione dell'Eucaristia da parte del Figlio di Dio”. E di qui il papa ha criticato l’attuale dicotomia tra esegesi e teologia: la lettura e l’interpretazione della Bibbia, insomma, dovrebbero essere più ‘integrate’ nella teologia e nella dottrina della Chiesa, piuttosto che essere uno studio autonomo che segue le regole del metodo scientifico.
È facile immaginare che il Sinodo non mancherà di accogliere il suggerimento del pontefice. E, puntualmente, il cuore del suo intervento è stato ripreso dal card. Ouellet in una delle 19 domande proposte ai circuli minores come tracce per la definizione delle proposizioni finali. La domanda n. 7 recita infatti: “Cosa può essere fatto per aiutare la gente a capire che la lettura ed interpretazione della Bibbia deve prendere in considerazione il senso letterale del testo, il senso spirituale del testo, e la tradizione del Magistero della Chiesa?”. Risposta scontata: leggere il Gesù di Nazareth. (alessandro speciale)
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