TORNARE ALLA BASE
- IN AMERICA LATINA NON È PIÙ TEMPO DI PARROCCHIE MA DI RETI SOLIDALI DI COMUNITÀ. INTERVISTA AL TEOLOGO P. JOSÉ MARINS.
Tratto da: Adista Contesti n° 74 del 25/10/2008
Questa intervista, è stata pubblicata sul sito della rivista “Ihu” dell’istituto Humanitas Unisinos di São Leopoldo in Brasile. (14/9/2008). Titolo originale: “As ‘veias abertas’ da Igreja. Entrevista especial com José Marins”
Nel citare i compiti necessari per la trasformazione della Chiesa latinoamericana attuale, p. José Marins, in un’intervista concessa per e-mail alla Ihu On-line, ricorda che “la repressione di teologi e di altri intellettuali sta ostacolando ogni riflessione creatrice. La teologia rischia di fermarsi”. Per il teologo e scrittore, “il cattolicesimo ufficiale non riesce a parlare in un linguaggio che sia comprensibile per i contemporanei segnati da una nuova cultura scientifica e con uno straordinario accesso alle risorse dell’informatica”. P. Marins considera non rinviabile il compito di ricostruire il livello di base della Chiesa, in forma di rete. Egli sottolinea che è necessario creare reti di appoggio, scommettere sulle piccole articolazioni e riprendere l’ecumenismo.
Dopo aver lavorato nella Cnbb e nel Celam per 30 anni, p. José Marins ha animato un gruppo itinerante di pastorale volto alla promozione delle comunità ecclesiali, come istanza della Chiesa locale, il modo più antico e più nuovo di essere Chiesa. Il più antico perché viene dalle prime comunità cristiane (Atti e Lettere apostoliche) e il più nuovo perché è nella prospettiva del Concilio Vaticano II. Accompagnato dalla sua équipe, non ha residenza fissa: viaggia per il mondo fondando e animando comunità e visitandole periodicamente.
Come definisce, in termini generali, l’attuale realtà ecclesiale latinoamericana? Come valuta la relazione del Vaticano con la Chiesa dell’America latina?
La nostra comunità cattolica sta muovendo passi importanti e positivi per quanto riguarda la formazione biblica, soprattutto a livello più popolare. Certamente, sta sorgendo un laicato più maturo, più cosciente e preoccupato per le grandi sfide della realtà contemporanea sociale ed ecclesiale. C’è una ricerca di spiritualità cristocentrica e trinitaria. La nostra riflessione teologica continua a mantenere la sua originalità metodologica e anche tematica. Oltre a ciò, essa ha offerto contributi su temi come il Regno, il Popolo di Dio, il pluralismo religioso e il Gesù storico. L’aspetto socio-economico, politico ed ecologico, molto spesso, per quanto riguarda l’ambiente, appare quasi come la norma nei piani e nei documenti pastorali. Non sempre, però, come analisi delle cause strutturali. La dimensione ecumenica, più che il dialogo con altre tradizioni religiose, sta passando lentamente dalla sfera degli specialisti al livello della base, particolarmente nell’esperienza delle Cebs. La V Assemblea generale dell’episcopato, pur con dei limiti, ha confermato la metodologia e le opzioni delle assemblee precedenti.
D’altro lato, per usare l’espressione di Eduardo Galeano, la Chiesa cattolica ha “le vene aperte”: perde in quantità numerica e in qualità. Cresce il “soffocamento” intra-ecclesiale. È come stare con la testa dentro un sacco di plastica: manca l’aria e si hanno allucinazioni. Stiamo tornando indietro rispetto a quanto è stato assunto dal Vaticano II: nella liturgia, nella formazione dei seminaristi, nella scelta dei periti, dei rettori e dei vescovi, nella pratica della collegialità, nell’ecumenismo… Sono sfumati i contorni della Chiesa locale, che, diversamente dall’epoca di Medellín, non è più nella condizione di offrire la sua originale collaborazione all’insieme cattolico, ma “preferisce” ascoltare le consegne tracciate dall’esterno dalle autorità di turno. Il buon parroco, il vescovo fedele sono quelli che chiedono ai “superiori” cosa conviene dire. Ancora peggiore è il centralismo prepotente.
Da tanto temere e combattere il comunismo, si è finiti per lasciarsene contagiare in qualche aspetto, come il sistema del partito unico, il culto della personalità e la chiusura intorno ad un modello egemonico. Mi riferisco alla proliferazione di “eunuchi” – burocratici, intellettuali, pastorali – creati per sostenere il modello canonizzato. Il termometro delle canonizzazioni è rivelatore. È difficilissimo far avanzare il processo di Oscar Romero, Enrique Angelelli, Leonidas Proaño, Juan Gerardi, Luciano Mendes de Almeida, Aloísio Lorscheider, Helder Câmara… C’è un’ossessione per i numeri – movimenti e congressi che riempiono stadi e piazze con la stessa dinamica del tifo uniformato. Una preoccupazione è quella di recuperare quanti hanno lasciato la Chiesa cattolica, appellandosi ad una missione generale a cui compete ottenere il ritorno di quanti se ne sono andati, ma senza correggere la ragione per la quale si sono allontanati.
Qual è il ruolo e l’importanza delle comunità ecclesiali di base per l’attuale congiuntura ecclesiale dell’America Latina?
Si mantiene un’ipotesi pastorale ingannevole. Continuiamo a funzionare tenendo la parrocchia come unica istanza alla radice della struttura ecclesiale quando sono ormai secoli che essa ha smesso di esserne la base reale. Le Cebs hanno smesso di “essere di moda”. Da parte del clero e di un numero significativo di vescovi c’è indifferenza e persino aggressività nei loro confronti. Ciò non vuol dire che esse non siano più necessarie e significative. Attualmente, esse resistono e sorprendono. Sono presenti in tutti i Paesi, con processi distinti e persino con alcuni nomi diversi. A Cuba si chiamano Casa Missione (solo a L’Avana ve ne sono più di 400); a Santo Domingo sono un’opzione del Concilio plenario del Paese e sono dette Piccole Comunità Ecclesiali. La Conferenza dei vescovi asiatici ci ha chiesto assistenza per accompagnare le Cebs che lì si vanno moltiplicando, con il convinto sostegno episcopale. Dalla fine di questo mese, la mia équipe le dedicherà tre mesi. Aparecida riprende positivamente la proposta delle Cebs. E la Quarta Redazione approvata (dunque magistero episcopale) è molto eloquente a questo riguardo. Inoltre, si ripete la consegna di decentralizzare la parrocchia in settori e di costituire reti di comunità.
Cosa caratterizza i movimenti sociali in America Latina? Dove sono diretti e quali sono le loro principali rivendicazioni?
Dal punto di vista della coscientizzazione, il movimento ecologico e il movimento femminista sono quelli che hanno maggiore forza di penetrazione. Si è espressa la straordinaria capacità di articolazione del Movimento dei Senza Terra, in Brasile, dei minatori in Bolivia (Cob) e degli indigeni in Ecuador. Le conquiste in queste aree avvengono in un contesto di conflitto.
E la Teologia della Liberazione? Qual è la sua analisi? Necessita di un rinnovamento o è ancora attuale per pensare alla Chiesa dei poveri?
La Teologia della Liberazione ci lega alla realtà storica e ai riferimenti della fede. La storia è dinamica, in quanto da essa emergono nuovi orizzonti, nuove sfide e opportunità, sia nel campo socio-politico che nel campo della fede. Lo sviluppo dello Scienze sociali e umanistiche pone riferimenti nuovi per le popolazioni. La globalizzazione tocca l’identità dei popoli (come in Perù, Ecuador, Venezuela, Bolivia, Paraguay, Messico). I poveri non sono immuni dall’ondata consumista. In questo contesto, il concetto di povertà ha bisogno di essere rivisto. L’opzione per i poveri rimane. È come la povertà si configura in questa epoca che la Teologia della Liberazione sta cercando di approfondire, anche considerando il contesto del grande vuoto spirituale creato dal sistema neoliberista, la crisi etica delle popolazioni e le speranze di un’unione continentale che può chiamarsi Mercosur. La riflessione liberatrice ha come obiettivo i compiti continentali comuni, indicando modelli alternativi globali.
In che senso possiamo percepire l’influenza della Teologia della Liberazione nelle leadership politiche latinoamericane?
Riguardo all’influenza della Teologia della Liberazione, sono apparsi leader politici, a diversi livelli, animati dalla sua mistica. Altri non sempre hanno usato la terminologia della Teologia della Liberazione, ma ne hanno assunto la prassi. Nel primo gruppo, si trova chiaramente l’attuale presidente del Paraguay, Fernando Lugo. Nel suo discorso di investitura, egli ha affermato: “La vita di questo umile paraguaiano… ha nella fede un contributo molto importante… ho optato in maniera preferenziale per coloro che la storia aveva spinto negli scenari marginali dell’esclusione e della miseria. Quando ho incontrato la parola di Boff e di Gutiérrez, tra altri, ho percepito chiaramente che era questa la Chiesa destinata a nutrire di speranza attiva i fratelli sottomessi al discorso oppressivo di tante dittature che hanno segnato la storia della nostra Patria americana”. L’attuale presidente dell’Ecuador presenta un curriculum socio-pastorale esplicitamente animato dalla Teologia della Liberazione, lavorando a fianco di mons. Proaño a Riobamba. Altri leader sociali latinoamericani e caraibici, in diversi momenti, hanno organizzato studi in cui la Teologia della Liberazione ha rivestito un ruolo importante - a Cuba, El Salvador, Nicaragua, Bolivia, Cile, Argentina, Perù, Colombia, Venezuela, Repubblica Dominicana – e il presidente Lula viene dalla leadership del settore metallurgico.
Il prossimo anno si svolgerà un incontro di Cebs in Paraguay. A suo giudizio, la scelta di questo Paese come sede per la realizzazione dell’evento è vincolata alla presenza del presidente Lugo?
Il prossimo aprile, in Paraguay, è programmato un corso con la presenza di vescovi, sacerdoti e altri operatori pastorali delle Chiese che stanno lavorando con le Cebs o sono interessati ad esse. Questo evento era già previsto prima dell’elezione di Lugo alla presidenza.
Lei pensa che la presenza del presidente Lugo si tradurrà in una presa di posizione a favore degli esclusi o in un processo con pochi cambiamenti come è avvenuto in Brasile?
Lugo ha una visione sempre globale della realtà del Paese e dei suoi processi, e ciò gli ha permesso di toccare con mano la realtà di povertà strutturale del suo Paese, rafforzandolo nella sua opzione per i poveri. Secondo quanto ha presentato come obiettivo del suo governo, egli darà la priorità ai poveri, che sono la maggioranza del Paese. D’altra parte, ricordo il peso che hanno ancora in Paraguay il partito che ha dominato la scena politica per molti decenni, i signori del latifondo, i militari, le preoccupazioni della politica estera degli Stati Uniti (si tenga presente la base militare che hanno imposto al Paese). Si tratta di grandi sfide. Fernando Lugo dovrà muoversi con grande attenzione. I suoi avversari cercheranno di limitarne l’azione in tutti i modi.
Che alternative possiamo intravedere oggi riguardo al raggiungimento e al rafforzamento di una Chiesa più dinamica e liberatrice?
Vi sono alcuni compiti:
a) La repressione di teologi ed altri intellettuali sta ostacolando ogni riflessione creatrice. La teologia rischia di fermarsi. D’altro lato, il cattolicesimo ufficiale non riesce a parlare in un linguaggio che sia comprensibile ai contemporanei, segnati da una nuova cultura scientifica e con uno straordinario accesso alle risorse dell’informatica.
b) Non è rinviabile il compito di ricostruire il livello di base della Chiesa, in forma di rete. Di creare reti di appoggio. Di scommettere sulle piccole articolazioni. Come dice un proverbio africano, “Una piccola quantità di gente, in piccoli luoghi, facendo piccole cose, ottiene grandi trasformazioni”.
c) È necessario riprendere l’ecumenismo (non intorno all’aspetto dottrinario o autoritario, ma intorno all’esperienza di Dio di ogni tradizione religiosa), incontrarsi nel servizio ai più bisognosi, rendendoli realmente soggetti collettivi di una nuova epoca, motivati dalla loro fede.
d) Occorre rendere effettiva la collegialità, come magistero e azione pastorale.
e) L’originalità delle Chiese locali deve essere incentivata perché esse collaborino con l’insieme della Chiesa a servizio del mondo, con tutto ciò che è loro proprio e unico.
f) Bisogna esorcizzare il politicume all’interno della Chiesa, i cosiddetti “Club di Roma” e poteri paralleli che impongono la loro visione egemonica del mistero di Dio come unica e ortodossa.
José Comblin insiste sul fatto che bisogna conoscere i nuovi poveri e non continuare un discorso di un’altra epoca. A suo giudizio, chi sono i nuovi poveri? Dove abitano, da dove emigrano? Che possibilità vanno scoprendo e dove riecheggiano le loro voci?
Gli esseri umani emarginati continuano ad essere la maggioranza. È aumentato il numero degli esclusi e la gravità dell’esclusione. Sono i migranti (dall’Africa, dall’America Latina, dall’entroterra australiano…); sono gli anziani, in numero sempre più alto, che minacciano futuri squilibri socio-economici; sono i bambini soldato nelle guerre africane o vittime della pedo-pornografia; sono le popolazioni controllate dai trafficanti di droga; sono le grandi popolazioni di poveri, castrate come nuovi eunuchi ideologici, diventati milioni, dai programmi di intrattenimento, telenovelas, Grande Fratello. Come diceva Paulo Freire, “ogni notte gli abitanti di un intero Paese si sentono spinti a sedersi indifesi dinanzi ad un apparecchio televisivo che per ore continuerà a trasformarli in idioti, con l’illusione del sogno dei ricchi (che mai lo diventeranno), dei trionfatori in passerella, nello sport, nella grande macchina economica del mondo contemporaneo”.
Nella Chiesa, ad eccezione di lavori eroici di molti gruppi che operano con i poveri e come poveri, il povero è diventato decorativo. Viene citato nei documenti e nei discorsi, ma non gli vengono date le condizioni per essere soggetto. Le analisi della situazione denunciano i peccati, ma non i peccatori. Quando lo fanno, dimenticano di proporre un’analisi strutturale. Tutto resta confinato nell’area dei peccati individuali. Può esserci persino punizione per i peccatori, ma il sistema di oppressione continua tale e quale.
Quali sono state le novità dell’VIII Incontro latinoamericano delle Cebs, che si è svolto a Santa Cruz, in Bolivia?
A Santa Cruz, si sono svolti tre incontri successivi di Cebs: l’interecclesiale (nazionale) delle Cebs del Paese; quello degli assistenti e quello latinoamericano e caraibico. Da questo insieme di lavori sono emersi:
I – come novità:
a) l’articolazione delle Cebs in tutta l’America Latina e nei Caraibi, con l’équipe nazionale messicana come animatrice. Le regioni sono: Cono Sur, Caraibi, regione bolivariana, Messico-America Centrale e Panama;
b) il consolidamento di un gruppo di circa 40 assistenti, per le scienze bibliche, teologiche, sociali (politica ed economia), che si sta riunendo in ambito continentale, ogni due o tre anni, e in ambito regionale, annualmente;
c) il deciso ingresso delle Cebs nel cammino della formazione biblica trasformatrice della vita (lettura della vita e della Bibbia). L’esperienza di successo di un corso intensivo per assistenti e animatori di base, chiamato Diplomado, sarà moltiplicata in altre parti;
II – come constatazione:
a) l’affermazione della vita e del cammino delle Cebs nell’America Latina e nei Caraibi (a diversi gradi). Le Cebs, malgrado difficoltà interne ed esterne, come discepole missionarie a servizio del Regno, sono vive e in lotta per una vita più degna per i nostri popoli. Si sono distinte le forti testimonianze delle comunità di Haiti, di El Salvador e del Nicaragua;
b) la centralità di Gesù Cristo, in una dimensione trinitaria, è la fonte della mistica e della spiritualità delle Cebs;
c) la forte presenza e il protagonismo dei laici, a partire dai poveri, in ambito ecclesiale e socio-politico-ecologico. La ricerca di un nuovo modo di vivere il ministero diaconale, presbiterale ed episcopale in questo nuovo volto di Chiesa;
d) la necessità di accentuare e di approfondire la comunicazione e l’articolazione, a tutti i livelli, al fine di condividere le esperienze di vita, le lotte e le speranze;
III – come impegno:
a) Rafforzare e rilanciare reti di lotta solidali: i movimenti sociali, l’economia solidale, l’ecologia, la costruzione di una nuova cittadinanza e l’impegno politico. Si è insistito fortemente sull’accompagnamento, con un protagonismo critico e costruttivo, della nascita e del processo dei governi popolari emersi nel continente;
b) rilanciare le Cebs in questo momento dell’America Latina e dei Caraibi, confermati e animati dal messaggio di Aparecida, approfondendo l’identità e la coerenza, la spiritualità delle Cebs e la comunione e l’articolazione di tutti i livelli;
c) accentuare la formazione, iniziale e permanente, in questa nuova ecclesiologia che sorge dal Vaticano II e dal magistero latinoamericano e caraibico che deve condurre alla “conversione pastorale” e al “rinnovamento ecclesiale” (Do-cumento di Aparecida 366-367), destinata soprattutto ai pastori, ai seminaristi, ai religiosi/e, agli operatori di pastorale e, inoltre, ai membri delle comunità;
d) incentivare la comunicazione e l’articolazione, come parte dell’identità ecclesiale delle Cebs, a livello parrocchiale e diocesano. Socializzare e utilizzare le esperienze e i materiali attraverso i mezzi di comunicazione.
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