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STORIA DI UN SISTEMA CHE FAVORISCE I GRANDI GRUPPI EDITORIALI E PENALIZZA LA STAMPA INDIPENDENTE

Tratto da: Adista Notizie n° 75 del 01/11/2008

34663. ROMA-ADISTA. Sono gli editori dei grandi giornali e periodici a fruire della maggior parte del finanziamento pubblico destinato all’editoria: gruppi come Mondadori e Rcs e quotidiani come Il Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 ore, e Avvenire godono di oltre il 60% delle risorse sotto forma di rimborsi che lo Stato eroga a Poste Italiane e Telecom per conto degli editori dei suddetti giornali. Il Corriere (gruppo Rizzoli-Rcs), per esempio, nell’anno 2006 ha ricevuto dallo Stato oltre 23 milioni e 500mila euro, collocandosi saldamente al primo posto della classifica delle aziende editoriali ‘assistite’; al secondo posto Il Sole 24 ore, quotidiano della Confindustria e alfiere del liberismo, che ha usufruito di provvidenze statali per oltre 19 milioni di euro; medaglia di bronzo è la Repubblica, con poco più di 16 milioni di euro di contributi pubblici (e al quarto posto c’è il quotidiano della Cei Avvenire, con oltre 10 milioni di euro; v. notizia precedente). Risorse che la ‘riforma’ della legge sull’editoria proposta dal governo Berlusconi non tocca, mentre la mannaia di Tremonti si abbatte esclusivamente sui giornali e sui periodici di partito oppure editi da cooperative, ai quali, in realtà, arriva la fetta più piccola della torta.

Il primo intervento diretto dello Stato per sostenere l’editoria risale al fascismo: era il 1935 quando nacque l’Ente Nazionale per la Cellulosa e la Carta (Encc), che fino alla metà degli anni ‘90 ha sovvenzionato le imprese editoriali per l’acquisto della carta. Intanto nel 1981 ha visto la luce la prima legge (la n. 416) che prevedeva un sostegno economico organico alla stampa, sotto forma di contributi sia diretti sia, soprattutto, indiretti. Legge più volte ritoccata che, nel corso degli anni, ha introdotto anche quegli elementi che hanno fatto gridare allo scandalo, suscitando l’indignazione dell’opinione pubblica. Come, per esempio, quello che consentiva l’erogazione di contributi diretti ai giornali “organi di movimenti politici”: era sufficiente che due parlamentari costituissero un “movimento politico” perché il giornale che se ne dichiarava “organo” potesse usufruire di prebende milionarie. Grazie a questo stratagemma, un quotidiano come Libero – il cui direttore Vittorio Feltri ora lancia grida di dolore e di allarme contro i tagli che andrebbero a colpire il suo giornale –, auotoproclamatosi organo del “Movimento monarchico italiano”, nel 2003 si portò a casa oltre 5 milioni di euro. Oppure Il Foglio di Giuliano Ferrara, organo della sedicente “Convenzione per la Giustizia” – che risultava fondata dal senatore di Forza Italia Marcello Pera e dal deputato dei Verdi Marco Boato –, incassò 3 milioni e 400mila euro. E l’elenco sarebbe ancora lungo: 30 testate che coprivano tutto l’arco parlamentare incamerarono oltre 46 milioni di euro. Una norma scandalosa che poco dopo venne cancellata. Ma la toppa risultò peggiore del buco, perché era sufficiente che i giornali già “organo di movimenti politici” si trasformassero in cooperative per continuare a ricevere contributi diretti da parte dello Stato. E così avvenne: nacquero una serie di cooperative fasulle (anche perché ‘provvidenzialmente’ la nuova legislazione sulla cooperazione permetteva anche coop di 3 soci anziché 9, come precedentemente previsto) che incassarono più o meno gli stessi soldi pubblici.

Attualmente la normativa vigente prevede tre tipologie di contributi che, incrociando i dati della Federazione Italiana Editori Giornali (Fieg) e del Dipartimento per l’editoria presso la Presidenza del Consiglio, ammontano a circa 600 milioni di euro annui, considerando solo la carta stampata: contributi diretti a giornali e periodici di partito oppure editi da cooperative, fondazioni ed enti morali (meno di un terzo del totale del fondo per l’editoria); credito d’imposta sulle spese sostenute per l’acquisto della carta; compensazioni versate alle Poste per la riduzione delle tariffe postali.

Con la riforma proposta da Tremonti, che presto passerà al vaglio del Parlamento, sarà sensibilmente ridotto il contributo diretto ai giornali e ai periodici di partito o editi da cooperative, fondazioni ed enti morali, mentre i quotidiani e i periodici dei grandi gruppi editoriali continueranno ad usufruire interamente dei contributi indiretti. (luca kocci)

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