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L’UTOPIA NECESSARIA “COME IL PANE QUOTIDIANO”. L’AGENDA LATINOAMERICANA PUNTA SU UN “SOCIALISMO NUOVO”

Tratto da: Adista Documenti n° 80 del 15/11/2008

DOC-2065. ROMA-ADISTA. Se vuole sopravvivere alla barbarie capitalista, l’umanità deve ripartire da qualcosa di antico, anzi di nuovo: il socialismo. Dopo il tema proposto lo scorso anno, quello di una politica morta, o sul punto di morire, e di una politica “altra” destinata a nascere (v. Adista n. 70/07), l’Agenda Latinoamericana - nata nel 1992 da un’idea di Pedro Casaldáliga e di José María Vigil e oggi diventata, nei 24 Paesi in cui viene diffusa, un importante strumento pedagogico e di animazione popolare, aconfessionale e soprattutto macroecumenico - muove quest’anno un passo oltre, in direzione, scrive Casaldáliga, della possibile “mediazione a livello di sistema per una politica veramente umana e mondiale”: “Verso un socialismo nuovo. L’utopia continua”. E allora, afferma il vescovo nella sua tradizionale “Introduzione fraterna”, “con indignazione, con nostalgia, rivestiti di tanti sogni, di lotte e di sangue, per rispondere alla dignità ferita della maggior parte dell’umanità, noi torniamo al socialismo”. Un socialismo nuovo, “perché evidentemente non si tratta di ripetere tentativi che hanno prodotto, molte volte, delusione, violenza, dittatura, povertà, morte”, ma di imparare dal passato, di attualizzare, “di vivere qui e ora, localmente e globalmente, la sempre nuova Utopia”. Utopia che continua ad essere “necessaria come il pane quotidiano”, anche se la preoccupazione “per la costruzione quotidiana della politica come arte del possibile” ci ha fatto “adattare a eleggere governi più o meno di sinistra e continuare, sottomessi o sconfitti, a procedere dentro il sistema capitalista di destra”.

 

Quale socialismo?

Socialismo, dunque, ma quale? Socialismo al singolare o, piuttosto, socialismi, al plurale? E, in questo caso, cosa dovranno avere in comune? Quali valori di riferimento? È a queste domande che  l’Agenda - il cui aggettivo latinoamericana richiama, come scrive Vigil, coordinatore del progetto, una realtà spirituale molto più che geografica – prova ad offrire risposte, al plurale, in “invariabile fedeltà” al metodo, proprio della tradizione latinoamericana, del Vedere, Giudicare, Agire. Risposte che non possono non interessare anche il nostro Paese, come sottolinea Cinzia Thomareizis nella premessa all’edizione italiana (curata dal Gruppo America Latina della Comunità di Sant’Angelo e promossa, quest’anno, dai Giovani Impegno Missionario, dal Sal, dal Gruppo di Volontariato “Solidarietà”, da Adista e dal Cipsi): “Come risuonano questi due termini (utopia e socialismo) per noi, in Italia, dove si accetta di accogliere lo straniero che scappa dalla fame o dalla guerra solo se ha casa e lavoro (!), in cui si vuole schedare chi appartiene a una cultura diversa, dove si enfatizza la questione sicurezza mettendo l’esercito nelle strade, un Paese in cui da varie parti si denuncia il timore dell’avvicinarsi di un nuovo fascismo?”. 

Di certo, un’alternativa all’attuale sistema capitalista si impone con assoluta urgenza. “Il dominio del capitale finanziario – scrive João Pedro Stedile, leader del Movimento dei Senza Terra e di Via Campesina – dà la priorità all’accumulo di ricchezze attraverso la loro circolazione, sempre più distante dal lavoro. Per questo non si creano nuovi impieghi. Ogni anno 5 milioni di operai industriali perdono il lavoro in tutto il mondo. Milioni di persone migrano dai loro Paesi in cerca di condizioni di sopravvivenza. Il capitale ha spinto alla deriva il nostro pianeta”. E se oggi “il mostro comincia a tossire”, di sicuro “tenterà di trascinarsi dietro molte vittime”.

 

Più Che Guevara e meno Lenin

Tuttavia, per quanto un nuovo socialismo sia necessario, non è impresa facile dargli un contenuto. Riapparsa nel mondo politico grazie ad Hugo Chávez, la parola “socialismo”, afferma il teologo José Comblin, sta oggi piuttosto ad indicare un socialismo di tipo utopico, pre-marxista, ispirato più alla figura di Che Guevara che a quella di Lenin, come annuncio di una società di uguali, di un’economia al servizio del popolo, di un’educazione accessibile a tutti. Se ne conosce però, sottolinea la teologa brasiliana Ivone Gebara, il punto di inizio: la vita quotidiana, che “non significa solo il diritto al lavoro o ai beni materiali disponibili, ma il diritto al pensiero, alla creatività, al piacere, alla diversità sessuale e culturale, e molti altri beni inerenti alla vita umana”. Secondo la teologa, insomma, “gli ideali del socialismo sono diventati valori da vivere nelle relazioni quotidiane. E i valori non sono certezze perfettamente materializzabili e prevedibili”: per questo “le definizioni prestabilite di socialismo sono diventate oggi un abito troppo stretto per molti”, mentre “ci sono segnali di un socialismo non determinato in un modello chiuso, senza istruzioni né sillabari, né capi da seguire e riverire”. Anzi, precisa l’economista spagnola Miren Etxezarreta, “cercare un’alternativa completa, precisa e compatta è un errore di concetto”, in quanto essa deve costruirsi dalla base, democraticamente, come “risultante di una miriade di alternative diverse che procedono nella stessa direzione”, quella della ricerca di una società volta al benessere delle persone e alla loro partecipazione collettiva alle decisioni che le riguardano. Un processo, questo, “arduo e lento”, ma già da adesso liberatore, in quanto non punta in nessun modo a migliorare “gradualmente piccole particelle entro al sistema”, bensì a generare vere iniziative per obiettivi completamente diversi”. E se a qualcuno potrà apparire utopico, è, comunque, sempre più realista del sistema attuale: “C’è qualcosa - afferma - che sia più irrealizzabile, più chimerico, più ‘utopico’ del pensare che il capitalismo possa condurre gli esseri umani al benessere?”.

 

Le mete del nuovo socialismo

In ogni caso, diversi tratti di questo socialismo possono già oggi essere definiti: il socialismo è un processo costruito collettivamente e non dettato da un centro; ecologico, e quindi capace di rendere giustizia tanto alle vittime dei sistemi imperanti quanto alla natura aggredita e devastata, riconvertendosi al pensiero “dirompente” della decrescita; femminista, perché, come afferma la scrittrice di origine cubana María López Vigil, deciso a “superare l’antagonismo e la non-equità più radicata nella storia dell’umanità”, quella di genere; vincolato - scrive il sociologo messicano Pablo González Casanova - “a una democrazia capace di riformulare le relazioni umane non lucrative, di incrementarle e renderle predominanti”. Una democrazia che deve essere “qualcosa di più della rappresentatività politica dei ‘cittadini’ nel governo, più dell’organizzazione della classe operaia da parte del ‘partito’, più dell’indirizzo dei popoli da parte dei ‘leader carismatici’ o della ‘classe politica’”. Ma il socialismo presuppone anche, come sottolinea l’economista brasiliano Paul Singer, un diverso regime di proprietà e di gestione dell’attività produttiva, sul modello delle imprese dell’economia solidale: “proprietà collettive di coloro che ci lavorano, che le gestiscono in forma democratica, con la partecipazione di tutti in fase decisionale”.

Sono quattro, secondo il teologo belga François Houtart, le grandi assi secondo cui possono esprimersi le mete del socialismo nuovo: l’utilizzo rinnovabile delle risorse naturali, passando dal concetto di “sfruttamento” a quello di “simbiosi”; la priorità del valore d’uso sul valore di scambio, cioè delle necessità umane rispetto al guadagno, con il conseguente “controllo collettivo della produzione e della distribuzione, secondo formule che non si riducano alla statalizzazione”; la democrazia generalizzata, estesa a tutte le relazioni umane, e, sul piano politico,  frutto di una combinazione tra democrazia rappresentativa e processi di democrazia diretta; la multiculturalità, “che significa dare la possibilità a tutte le culture, a tutti i saperi, a tutte le filosofie, a tutte le religioni di partecipare a questo processo”.

Cristianesimo e socialismo

Ma cosa ha da dire il cristianesimo a questo socialismo? Può insegnare qualcosa, ad esempio, la testimonianza delle prime comunità di cristiani, in cui “nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro in comune”, e “quanti possedevano campi o case li vendevano e ne facevano parte a tutti secondo il bisogno di ciascuno”? Se ciò dipenderà molto, come sottolinea il teologo belga-brasiliano Eduardo Hoornaert, “dalla sincerità con cui i cristiani guarderanno in faccia la loro origine e l’energia che avranno per cambiare il corso del cristianesimo attuale”, è comunque vero che, avvicinato a Gesù di Nazareth, il socialismo “non stride”, scrive Jon Sobrino, come il capitalismo e l’imperialismo; che, addirittura, si coglie tra loro “una certa aria di famiglia”. Di seguito i contributi dei due teologi all’Agenda. (claudia fanti)

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