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COSTRUIRE UNA COSCIENZA INTERNAZIONALE OLTRE LA BENEFICENZA. APPELLI PER LA PACE NEL KIVU

Tratto da: Adista Notizie n° 81 del 22/11/2008

34697. KINSHASA-ADISTA. Esprimiamo “forte preoccupazione per la situazione che sta generando sofferenze e distruzioni nella regione del Nord Kivu nella Repubblica Democratica del Congo” e facciamo appello “perché la comunità internazionale, nelle sue diverse articolazioni, non resti indifferente diventando complice”. Con queste parole Pax Christi Italia si associa all’appello per la pace nel Congo, lanciato il 5 novembre scorso da Beati i Costruttori di Pace, il coordinamento di ong Cipsi, la Commissione Justitia et Pax degli istituti missionari italiani, il Gruppo Pace per il Congo e la Tavola per la Pace. Per spiegare le cause politiche dell’attuale guerra, l’appello – dal titolo Interventi politici urgenti oltre l’emergenza umanitaria – ha recuperato un documento della Conferenza episcopale del Congo (v. Adista n. 80/08): alla base del conflitto, hanno spiegato i firmatari, c’è “la ricchezza di questo territorio, definito ‘scandalo geologico’, che ha fatto dire ai vescovi congolesi che questa guerra è un ‘paravento’ che nasconde lo sfruttamento indiscriminato delle risorse”. Accanto alle numerose richieste di sostegno economico per le azioni di emergenza alimentare e sanitaria, l’appello del 5 novembre ha denunciato le ragioni che contribuiscono all’instabilità dell’area, connesse tanto ai giochi di potere locale quanto agli interessi commerciali internazionali. “Nuovi soggetti – spiegano i promotori – vogliono partecipare allo sfruttamento delle ricchezze del territorio, primo fra tutti la Cina, con la quale il governo congolese ha stipulato un accordo”. A tal fine, i firmatari chiedono che venga creato “un osservatorio internazionale sulle concessioni minerarie e di legname affinché si arrivi ad accordi legali e trasparenti e anche la popolazione possa godere del frutto di queste immense ricchezze”.

Un precedente appello della Rete Pace per il Congo (30/10) ricordava che, nonostante “l’informazione spesso vaga e imprecisa”, “c’è una responsabilità collettiva su quanto avviene. Il cellulare, il computer funzionano anche con il coltano che importiamo da quelle terre e costano sangue”.

In una lettera aperta, indirizzata al premier congolese Adolphe Muzito, mons. François-Xavier Maroy Rusengo – arcivescovo di Bukavu (capoluogo del Sud Kivu) – ha scritto che il “dramma congolese ha implicazioni economiche e politiche a livello internazionale, nazionale e locale”.

Come possibile via d’uscita alla balcanizzazione del Kivu, mons. Rusengo ha proposto un vertice “tra gli Usa, l'Unione Europea e alcuni Paesi asiatici, per armonizzare i loro interessi geostrategici, economici e persino fondiari che alimentano le tensioni mortali della nostra regione in generale e del Congo in particolare”. È necessario porre un freno agli interessi commerciali occidentali anche secondo Medici Senza Frontiere, che l’11 novembre scorso ha chiesto di “ripristinare l’embargo delle armi per i Paesi della regione”.

Inoltre, in un’intervista pubblicata il 10 novembre da Radio Vaticana, Simona Venturoli – referente del Servizio Progetti all’estero dell’Aifo (Associazione Italiana Amici di Raoul Follerau) – ha definito il conflitto in Nord Kivu “un ennesimo sterminio di massa coperto in realtà da interessi economici e di potere”.

Ma la responsabilità della comunità internazionale va ben oltre: i 17mila uomini dell’Onu in Congo non sembrano, infatti, in grado di tutelare la sicurezza e i diritti delle popolazioni coinvolte. Suor Giovanna Gallicani, Piccola Figlia dei Santissimi Cuori di Gesù e Maria e collaboratrice del progetto Aifo per l’infanzia a Goma (capitale del Nord Kivu), ammette di affidarsi ormai solo alla preghiera. “Abbiamo passato due giorni terribili: l’armata nazionale e i ribelli – ha detto la suora – hanno saccheggiato, ucciso e commesso violazioni di ogni genere. Rimane l’incertezza e la paura”. Identica sfiducia testimoniano le parole di Domenico Maselli – presidente della Fcei (Federazione delle Chiese evangeliche in Italia) – che il 12 novembre scorso ha criticato, a nome dell’agenzia ecumenica Act (Action by Churches Togheter), impegnata da anni nella crisi del Congo, “l’assoluta inadeguatezza della capacità di intervento della comunità internazionale, a sostegno della sicurezza e dei diritti umani di intere popolazioni. Solidarizzare con questi profughi oggi significa necessariamente ripensare alle politiche di intervento umanitario domani”. L’inadeguatezza dell’Onu si è inoltre manifestata nel Vertice dei Paesi dei Grandi Laghi, che si è aperto il 7 novembre scorso a Nairobi. I delegati della Rdc e del Rwanda, moderati dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, si sono rimpallati le responsabilità del conflitto e ancora non sono stati raggiunti risultati soddisfacenti.

Intanto, prosegue l’avanzata delle milizie ribelli di Laurent Nkunda verso il capoluogo Goma. Dall’inizio delle ultime ostilità, si contano oltre 250mila nuovi sfollati, che si sono aggiunti al milione e mezzo circa delle precedenti guerre. L’Unicef tira le somme: oltre ventimila morti negli ultimi giorni, una violenta esplosione di epidemie di colera e morbillo nei campi profughi e un’aumentata incidenza della malaria, coadiuvata dalla stagione delle piogge e dalle dure condizioni di vita nei campi profughi. In questa fase acuta di combattimenti, inoltre, le associazioni umanitarie registrano un allargamento indiscriminato del reclutamento forzato di bambini soldato, facilmente ‘reperibili’ tra le popolazioni in fuga. (giampaolo petrucci)

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