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“CRISI DI UMANITÀ” ED EMERGENZA FINANZIARIA. SOLUZIONE CERCASI

Tratto da: Adista Documenti n° 89 del 13/12/2008

DOC-2071. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Perché - si era chiesto il teologo spagnolo José María Castillo (v. Adista n. 76/08) - tutti conoscono perfettamente le posizioni della gerarchia ecclesiastica riguardo all’aborto, al divorzio, ai contraccettivi, all’omosessualità, mentre nessuno sa bene cosa essa pensi dell’attuale crisi finanziaria globale? Ebbene, con la “Nota della Santa Sede su finanza e sviluppo”, elaborata dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e approvata dalla Segreteria di Stato, sappiamo finalmente qualcosa di più della posizione del Vaticano in materia.

Pubblicata su L'Osservatore Romano del 23 novembre, la Nota ha inteso “promuovere il dialogo su alcuni aspetti etici dei rapporti tra finanza e sviluppo e incoraggiare i governi e tutti gli altri agenti economici a individuare soluzioni durature e solidali”. Lo ha fatto alla vigilia della Conferenza Onu sulla Finanza per lo Sviluppo svoltasi a Doha dal 29 novembre al 2 dicembre, promossa allo scopo di verificare l'efficacia di tutte le iniziative di finanziamento finalizzate alla cooperazione internazionale e alla lotta alla povertà sul pianeta. E lo ha fatto chiedendo, contro la crisi finanziaria che ricade soprattutto sui Paesi poveri, un nuovo patto per rifondare il sistema delle istituzioni economiche e finanziarie internazionali, in quanto - si legge – “oggi appare chiaro che la sovranità nazionale è insufficiente” e che “accordi, regole e istituzioni internazionali sono assolutamente necessari”. Una richiesta che la Nota vaticana esprime senza mai ricorrere a toni di denuncia rispetto all’“economia canaglia”, e senza mai arrivare a mettere seriamente in discussione l’attuale modello di sviluppo, limitandosi piuttosto a ricordare che “il buon funzionamento del mercato richiede un importante ruolo dello Stato” ma che “nessun intervento di regolazione può ‘garantire’ la sua efficacia a prescindere dalla coscienza morale ben formata e dalla responsabilità quotidiana degli operatori del mercato, specie degli imprenditori e dei grandi operatori finanziari”, responsabilità che va educata sulla solida base dei principi della Dottrina sociale della Chiesa.

 

Libero mercato, ora e sempre

Nulla dice, la Nota, sul dominio di un gruppo di oligopoli che controllano tutte le decisioni fondamentali dell’economia mondiale né sul nodo essenziale dell’accesso alle risorse naturali del pianeta, come neppure sulla necessità, a fronte del-l’attuale emergenza ambientale, di sviluppare concetti alternativi e anticapitalistici come quelli della decrescita o, in campo agricolo, della sovranità alimentare. Il fatto stesso che la Nota, evidenziando le contraddizioni relative al “nesso fra le politiche di aiuto allo sviluppo e le politiche commerciali dei Paesi avanzati”, definisca “un ostacolo enorme allo sviluppo” le “diverse forme di protezionismo palese o nascosto, così come le persistenti limitazioni all'accesso delle esportazioni dei Paesi poveri nei mercati dei Paesi ricchi”, non fa che confermare, in fondo, come per il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace le soluzioni alla crisi siano comunque da individuare in un contesto di libero mercato, e non in un modello alternativo che ri-orienti l’economia in funzione del mercato interno, anziché delle esportazioni, puntando cioè su uno sviluppo endogeno. Una posizione, quella vaticana, non molto distante da quella espressa dai leader del G20 nella dichiarazione finale del loro incontro, laddove rilanciano “i principi del libero mercato, del buongoverno, della proprietà privata, del commercio e degli investimenti, della competitività dei mercati e di un sistema finanziario realmente regolato”.

 

Conferenza di Doha, ennesimo fallimento

Del resto, proprio riguardo all’incontro dei Paesi del G20 convocato il 15 novembre scorso “con la partecipazione di significativi Paesi emergenti” (incontro che ha finito per rilegittimare l’Organizzazione Mondiale del Commercio, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, affidando loro la ricerca di soluzioni alla crisi di cui essi stessi sono responsabili), la Nota dava voce al timore che quell’evento - “che ha coinvolto soltanto un gruppo ristretto di Paesi ma ha attratto tutta l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale” - potesse “privare di impatto politico la Conferenza di Doha”, ma poi concludeva che entrambi gli incontri, “caratterizzati da significati politici e funzioni molto differenti”, “mantengono la loro importanza”. Quanto all’auspicio “che comunque i Paesi che si sono riuniti a Washington il 15 novembre tengano in debito conto la Conferenza di Doha e ne favoriscano la buona riuscita”, esso non è stato, come’era prevedibile, preso sul serio: come ha denunciato la coalizione Help Local Trade (iniziativa promossa da Crocevia, Movimento per l'autosviluppo, l'interscambio e la solidarietà, Mani Tese, Servizio Civile Internazionale, Campagna per la riforma della Banca Mondiale, Fair e FairWatch proprio in occasione della Conferenza di Doha), “i capi di Stato e di governo dei G20, che si sono precipitati a Washington per concordare gli ingenti finanziamenti destinati a risolvere i problemi delle loro banche e imprese, parte attiva nella crisi presente”, a Doha non si sono fatti vedere, preferendo “discutere delle soluzioni alla crisi globale solo tra loro, come lo scorso 15 novembre all'incontro di Washington”. E la Conferenza di Doha si è conclusa senza altro impegno che quello di convocare una Conferenza di Alto Livello nel prossimo 2009 sulle questioni connesse alla crisi finanziaria ed economica e al suo impatto sullo sviluppo, che dovrà essere organizzata dal presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite - che è attualmente il prete nicaraguense Miguel D’Escoto, l’ex ministro degli Esteri del governo sandinista scomunicato da Giovanni Paolo II -  e definita nelle sue modalità entro il prossimo mese di marzo.

Di seguito alcuni stralci della Nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, seguita da due brevi riflessioni (tratte dall’agenzia Alai) che, sempre sulla crisi finanziaria globale, ma con occhi diversi, conducono l’economista argentino Julio Gambina, del Comitato direttivo del Consiglio Latinoamericano di Scienze Sociali (Clacso), e il teologo brasiliano Leonardo Boff, che alla questione ha già dedicato altri interventi (v. per esempio Adista n. 76/08). (claudia fanti)

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