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PER IL SINDACATO LA SFIDA DELL'EQUITÀ

- intervista a Guido Baglioni

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 90 del 13/12/2008

Abbiamo posto a Guido Baglioni, professore emerito di Sociologia nell’Università Milano-Bicocca, qualche domanda sui temi che stanno al centro del suo recente libro “L’accerchiamento. Perché si riduce la tutela sindacale tradizionale”, edito da Il Mulino. Baglioni (di formazione culturale cattolica e attualmente presidente del Cesos, il Centro di studi delle relazioni industriali promosso dalla Cisl) ci ha risposto con il suo consueto rigore, pur evitando di esprimere giudizi sulle condotte sindacali di questi anni.

È un’impressione che abbiamo un po’ tutti che la presenza dei sindacati conti meno oggi per chi lavora. Lei ne ha scritto recentemente. Ha parlato espressamente di una riduzione della tutela sindacale dei lavoratori, e di un sindacato che appare “accerchiato”. Si spieghi meglio.

Sì, la tutela si è ridotta. È un processo che va avanti gradualmente e che è iniziato da almeno due decenni. Anche se in Italia meno che altrove. Ad esempio si è ridotta la stessa copertura contrattuale.

La spiegazione che viene data comunemente, e che io trovo fondata ma non esaustiva,  individua la causa principale nell’affermarsi della globalizzazione dei mercati: ossia, la liberalizzazione e la mobilità dei mercati produttivi e finanziari, dei servizi e del lavoro. Questi processi sottopongono a dura prova l’impostazione consueta dell’azione sindacale e della stessa protezione legislativa. Si pensi solamente all’abbondanza di forza lavoro che si è resa disponibile, alla sua mobilità geografica, e dunque alla concorrenza fra lavoratori che viene a determinarsi con la crescita della loro offerta.

La mia tesi è complementare a questa. Io ritengo che ci siano altri fattori (non sempre completamente disgiunti dalla globalizzazione) che ostacolano l’azione sindacale. Si può dire che tali fattori accerchiano l’azione sindacale e ne fanno gradualmente diminuire rilievo e significato. Aggiungo, però, che potrebbero anche determinare qualche nuova opportunità per i sindacati: l’abbondanza di lavoratori immigrati, ad esempio, è un nuovo terreno di lavoro per il sindacato, così come la frammentazione del lavoro potrebbe accrescere gli ambiti del suo intervento.

I fattori che voglio evidenziare riguardano, in particolare, l’invecchiamento della popolazione, e il pressante rilievo assunto dalla spesa previdenziale; la crescente importanza del salario minimo obbligatorio; le misure pensate in difesa del consumatore; le difficoltà di rappresentare le sempre maggiori diversità professionali, occupazionali e contrattuali; le rappresentazioni (che a volte colgono nel segno) del sindacato come un attore “corporativo” e conservatore e, quindi, un ostacolo all’economia della concorrenza; la tendenza a ridurre i lavoratori ad una componente tra le altre nella lista degli stakeholder dell’impresa, cioè dei molteplici soggetti che hanno a che vedere con l’impresa.

Sul piano più generale, si deve constatare che la questione del lavoro salariato rappresenta solo un segmento della più vasta platea delle questioni sociali che sono oggi preminenti e che sono destinate ad esserlo ancora di più in futuro. Mi riferisco alla povertà, all’immigrazione, alla disoccupazione, alla famiglia e ai servizi per l’infanzia, alla solitudine degli anziani e, forse più di tutto, alla sanità.

 

Dunque, secondo lei, il mondo del lavoro dipendente va verso l’irrilevanza? E, con esso, il sindacato?

No, non dico questo. Penso, però che l’azione sindacale relativa a salario, orario, inquadramento, sicurezza, ammortizzatori sociali, formazione professionale, etc.,  non può esprimersi semplicemente come sommatoria di vertenze. è necessario che il sindacato si ponga, con più consapevolezza e coerenza, sul terreno dell’equità. Ossia deve avere come obiettivo una ripartizione dei costi e dei vantaggi, per il singolo lavoratore e per le parti sociali implicate, che tenda a corrispondere realmente al contributo di ciascuno nei processi produttivi.

 

Quali sono i caratteri costitutivi di questa equità?

Il fondamento dell’equità, nella fase attuale, dovrebbe essere arricchito da due requisiti.

Il primo requisito è dato da un impianto sindacale che favorisca coloro che hanno modeste qualità professionali o che non sono in grado da soli di promuovere la loro tutela. È necessario che il sindacato si doti di strutture organizzative adeguate, e questo soprattutto nelle cinture urbane, dove ci sono piccole aziende, grossisti, grandi magazzini. È necessario che il sindacato ritorni a funzionare con sedi sparse sul territorio, e che tramite questa presenza più capillare possa, ad esempio, favorire la sindacalizzazione degli immigrati. Definisco questo impegno come equità aggiuntiva. Un’equità che raggiunga i soggetti più deboli.

Il secondo requisito è legato a quella che io chiamo l’equità prospettica. L’azione sindacale non dovrebbe solo ricercare acquisizioni immediate, ma dovrebbe anche guardare al futuro. Ciò significa valutare gli obiettivi in ragione del fatto che facilitino od ostacolino le condizioni di maggiore equità nel futuro. Faccio per dire: se si chiedono oggi 500 euro di aumento, è del tutto probabile che l’impresa comprerà macchinari ipertecnologici per aumentare la produttività e  decentrerà la produzione, con il risultato che domani non assumerà più.

La parola “equità” non è una parola caratteristica del lessico sindacale, essendo impiegata in molte altre sedi e da altri attori. Essa, però, corrisponde a ciò che, sul piano dei rapporti sociali collettivi, può essere fatto al meglio in società, come quelle di capitalismo maturo, che credo nessuno voglia profondamente modificare e, tanto meno, sostituire. Equità è un valore solo superficialmente modesto; in realtà assai consistente e difficile da perseguire; e richiede attori con un grado elevato di lucidità e coerenza.

La ricerca dell’equità costituisce oggi il fondamento ideale dell’azione sindacale.

Se riesce a mettere al centro questi requisiti di equità, il sindacato dimostra di non essere esclusivamente orientato alla dimensione della distribuzione della ricchezza, e di concorrere, invece,  all’affermazione del bene comune. Il sindacato deve continuare a svolgere le sue funzioni naturali, ma, nel farlo, deve tendere alla correzione delle disuguaglianze economiche e sociali.

 

Come deve agire il sindacato per produrre più equità?

Ci sono spazi piuttosto ristretti, oggi, per obiettivi di tutela progressiva, che puntino ad un miglioramento effettivo delle condizioni dei lavoratori. Spazi maggiori ci sono per obiettivi di tutela difensiva (difesa del posto di lavoro o del potere d’acquisto dei salari). Ma oggi vi è, soprattutto, l’esigenza di una tutela adattiva. Si tratta di regolare i rapporti di lavoro sulla base della effettiva capacità competitiva delle imprese e della salvaguardia dei livelli occupazionali. È una modalità di tutela probabilmente destinata ad espandersi. In molte aziende della Germania, ad esempio, per un determinato periodo di tempo,  si è avuto un aumento dell’orario di lavoro senza la corrispettiva remunerazione.

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