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IL FALSO DILEMMA TRA INTERVENTI DI MEDIO O DI LUNGO PERIODO

- Strategie anticrisi

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 90 del 13/12/2008

Preferire interventi strutturali di medio-lungo periodo per il miglioramento della competitività del sistema produttivo, oppure una manovra a breve periodo finalizzata al controllo della domanda interna è una vecchia questione.

Basti pensare, a questo proposito, all’intenso dibattito della fine degli anni sessanta che ha fortemente condizionato le decisioni dei governi di allora: scegliere l’azione di programmazione economica quinquennale oppure dare spazio a misure di governo della domanda interna per intervenire sull’andamento ciclico dell’economia.

Alla fine, e non solo negli anni sessanta, la scelta cadde sull’azione anticongiunturale a breve periodo. D’altra parte, nella politica italiana non è una sorpresa il prevalere del breve periodo. È stata una costante nell’indirizzo dello sviluppo economico e sociale nel nostro paese. Fin dai tempi delle scelte sulla ricostruzione post-bellica.

Il tema si ripropone, e con l’ambiguità di sempre agiscono più componenti contemporaneamente: la solidarietà alle forze sociali più deboli, il sostegno alla domanda di consumi in genere, l’aiuto alle imprese e, in questa occasione, anche alle banche.

Per l’Italia, in più, c’è un vincolo, che gli altri paesi europei non hanno nella stessa misura, che è la modesta capacità di accumulazione di risorse reali avvenute in questi anni.

La scarsità di risorse disponibili da redistribuire rende molto più complessa e, a volte utopistica, la politica di sostegno della domanda a breve termine. E fa sì che i margini di erogazione siano molto ristretti.

Non solo, il sistema produttivo italiano è sempre meno competitivo. Le statistiche internazionali collocano l’Italia molto in basso, ma soprattutto indicano un trend di peggioramento costante. Per cui, senza la presenza di validi processi di accumulazione delle risorse, diventa difficile avere valide prospettive di crescita economica, che possa essere utilizzata per la realizzazione di effettive politiche di più equa ripartizione della ricchezza prodotta.

Tutto ciò, inoltre, è condizionato da un’abitudine politica che nel nostro paese ha finora sempre trovato un rapido riscontro nel consenso sociale: la soddisfazione nell’immediato delle istanze sociali.

La saggezza vorrebbe un ritorno ai fondamentali dell’economia, abolendo, tra l’altro, la pericolosissima ed illusoria scorciatoia della speculazione finanziaria, che non ha mai diffuso ricchezza reale nei ceti popolari e ha spesso provocato anche tra i ricchi dei bei disastri.

Ritornare ai fondamentali (anche etici) per lo specifico italiano dovrebbe significare il misurarsi con l’“et-et”; cioè, con il fare una manovra economica a breve che sia la coerente premessa per una nuova competitività del sistema a medio-lungo termine, grazie all’attuazione delle sempre invocate politiche strutturali.

In quest’ottica, sarebbe meno ideologico e molto più “laico” (ed utile alla società civile) il quadro della scelta delle varie opzioni di breve periodo; e il dibattito molto più trasparente nei fini e nei contenuti – sarebbe quello sugli obiettivi a medio – lungo termine, compreso quello di una nuova politica di redistribuzione dei redditi.

Discorso a sé è la politica di solidarietà sociale. Ai poveri va garantita, comunque, una vita degna dell’’uomo. Questo obiettivo non può essere condizionato da nessuna politica anticongiunturale. È la priorità assoluta per una società che voglia essere veramente civile.

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