SULLE COLLINE DI HEBRON PASTORI-MAESTRI DI NONVIOLENZA
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 93 del 20/12/2008
Il 3 dicembre scorso, presso la sede della Provincia di Roma, si è tenuto l’incontro “Per la terra e la vita”. Occasione di riflessione sul conflitto israeliano-palestinese, l’incontro fa parte di un ciclo di conferenze che ha portato in Italia Hafez Huraini, portavoce del South Hebron Hills Commitee, il movimento nonviolento che, in collaborazione con associazioni pacifiste israeliane e internazionali, coordina le attività dei pastori di At-Tuwani, nei Territori Occupati Palestinesi.
Hafez Huraini fa il pastore e coltiva la terra, è sposato e ha cinque figli: a loro, come agli altri bambini che vivono nel suo villaggio, insegna la nonviolenza. Una scelta precisa: perché i figli di Hafez non vivono in un posto qualsiasi ma sulle colline a sud di Hebron, nei Territori. La loro storia e di quanti abitano tra le città di At-Tuwani, Tuba e Maghaer al-Abeed è la storia sulle colline a sud di Hebron - nella Cisgiordania meridionale - abitate da circa 1.200 persone che vivono di pastorizia e agricoltura. È una storia di soprusi e ingiustizie iniziata nel 1967 con l’occupazione militare israeliana della Cisgiordania. L’obiettivo strategico di questa occupazione - che trova le sue origini nella Guerra dei sei giorni - è l’evacuazione della popolazione locale. Esercito e coloni (i cui primi insediamenti sono degli inizi degli anni 80) hanno utilizzato in questi anni a tale scopo ogni mezzo a loro disposizione, facilitati anche dall’Accordo di Oslo del 1993 che, definendo lo status della Cisgiordania, stabilì che la zona sarebbe stata sotto controllo e amministrazione israeliana.
Scelta carica di conseguenze, come ci ha raccontato Hafez. In questo arco di tempo infatti l’esercito israeliano e i coloni del vicino insediamento di Ma’on - appartenenti ad una corrente estremista dell’ebraismo detta dei nazional-religiosi - hanno reso sempre più difficili le condizioni di vita della popolazione locale: confisca delle terre, roadblocks (chiusura delle strade da parte dell’esercito), checkpoints sono all’ordine del giorno. Ma non basta. Attraverso una ricca galleria di immagini, Hafez ci ha mostrato vessazioni ancora più ignobili: interi uliveti rasi al suolo, pascoli rovinati dal passaggio di carri armati, animali avvelenati, demolizione di abitazioni e cisterne per la raccolta dell’acqua (demolite perché prive della necessaria autorizzazione, concessa peraltro molto raramente).
Nasce così il Comitato dei pastori di cui Hafez è portavoce e si intraprende la strada della resistenza nonviolenta. Le vie legali e i media sono gli strumenti dei quali il comitato si serve per tutelare i propri diritti, con la proficua collaborazione di associazioni internazionali (come Operazione Colomba e Christian peacemaker Teams) e israeliane (come ad esempio i Rabbini per i diritti umani). Grazie all’aiuto di alcune associazioni israeliane, ad esempio, la popolazione delle colline a sud di Hebron è riuscita ad ottenere dall’Alta Corte di giustizia israeliana la possibilità di tornare sulle proprie terre dopo la deportazione subita nel novembre del 1999 ad opera dell’esercito, che voleva dichiarare l’intera area “zona di esercitazione militare permanente”.
Principali destinatari di questa cultura di pace sono i bambini perché, come ha sottolineato Hafez, “i bambini sono il futuro e noi vogliamo che loro ne abbiano uno”.
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