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L'ITALIA SFILACCIATA DAGLI INTERESSI INDIVIDUALI

- Rapporto Censis

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 3 del 03/01/2009

Tutti per uno, uno per tutti? Macché, i quattro spadaccini non sono di casa nostra. In Italia sembra piuttosto dominare il “mors tua vita mea”, o qualcosa di simile. Ce lo conferma il 42° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese presentato nel dicembre scorso. “Il contesto sociale è condizionato da una soggettività spinta dei singoli, senza connessioni fra loro e senza tensione a obiettivi comuni”. La chiamano “regressione antropologica”, i ricercatori di De Rita e Roma, aggiungendo: visibile, tra l’altro, “nel primato delle emozioni, nella tendenza a ricercarne sempre di nuove e più forti”.

È vero, non tutto è negativo, anzi, il titolo di quest’anno parla di un’Italia “in marcia verso la seconda metamorfosi”. Dopo quella della ricostruzione post-bellica, infatti, questi sono tempi che ci obbligheranno ad un radicale cambiamento. La crisi economica per molti non avrà ripercussioni solo sui bilanci degli italiani, ma anche – secondo De Rita – sulla scala delle priorità, su nuovi modelli di consumo temperato, sugli stili di vita, sull’apertura all’internazionalizzazione, sprovincializzandoci. Insomma le difficoltà “possono avviare processi di complesso cambiamento” attraverso un adattamento innovativo.

Il punto però, come lo stesso De Rita afferma, è che “tutti vogliamo restare liquidi, mantenere le proprie autonomie strategiche”, ossia, prendendo in prestito la nota immagine del sociologo Zygmunt Bauman, nessuno vuole rigidità che nascano da regole, modelli di comportamento, legalità, quella solidità che si basa sulle certezze di una vita sociale che pone i propri confini (e quindi il limite alla propria “liquidità”) proprio dove cominciano i confini dell’altro. E questa, facendo eco a De Rita, da molti viene definita “autonomia strategica”, ergo, non condizionabile pena il sorgere di conflitti.

Per questo appaiono un po’ fragili le note positive stimate dal Censis. Fra esse: il crescere dell’export di alta tecnologia e l’internazionalizzazione spinta dei nostri mercati, una popolazione sempre più informatizzata, l’imprenditoria femminile che cresce a ritmi più sostenuti di quella maschile, una ritrovata fiducia per le professioni intellettuali, l’aumento dell’offerta culturale delle nostre città e il recupero di un positivo rapporto con il territorio. Elementi di sviluppo, senza dubbio, ma condizionati da altri forse più pesanti: l‘aumento delle persone in cerca di occupazione (20,6% in più dell’anno precedente nei primi due trimestri del 2008); un lavoro precario che non garantisce più niente e nessuno; le famiglie con più figli su cui maggiormente grava il rischio povertà; i media strumenti per “fabbricare paura” (solo per esigenze di audience?); un livello di corruzione percepita, “più vicina a quella dei paesi in via di sviluppo che a quello dei Paesi avanzati”.

Sono fattori che caratterizzano secondo il Censis questa Italia a luci ed ombre. Ma due, appaiono eclatanti nella loro ambiguità, con tutte le conseguenze che determinano.

Primo. Cresce la domanda di un ruolo forte dello Stato (passa dal 33,3% del 2001 al 47,5% del 2008 la quota di coloro che ritengono che bisogna dare più potere allo Stato centrale); ma aumenta anche dal 56,2 delle precedenti elezioni al 63, la percentuale di coloro che esprimono una valutazione positiva sulla riduzione delle tasse. Si torna all’assunto di partenza: “lo Stato mi deve proteggere, ma se tocca a me contribuire, e no, non ci sto!”

Secondo. “Gli italiani che considerano l’appartenenza all’Europa un vantaggio per il nostro Paese hanno toccato il minimo storico passando dal 51 del 2000 al 37% della primavera 2008, a fronte degli euroentusiasti nella Ue passati dal 47 al 54%. Perché è così forte la convinzione che l’euro ci abbia impoveriti e non si è riusciti a spiegare che è il contrario, che ora con la nostra liretta in tempi di cataclisma economico avremmo fatto letteralmente la fame? Una risposta potrebbe esserci, e viene da un altro dato del Rapporto: “La tv è il principale strumento utilizzato per formarsi un’opinione sull’offerta politica in campagna elettorale (il 78,3%, in crescita rispetto alla precedente campagna elettorale).”

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