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OLTRE GLI ASPETTI SIMBOLICI UN IMPEGNO DIFFICILE

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 6 del 17/01/2009

Gli straordinari aspetti simbolici connessi alla figura dell’uomo, Barack Hussein Obama, hanno preso totalmente la scena della campagna elettorale americana e del voto di novembre. L’identità meticcia, l’eredità afroamericana, la giova-nile baldanza, la sicurezza e la scioltezza televisive, la capacità di far apparire l’intelligenza una risorsa e non un handicap (vedi Gore), l’abilità retorica… e ne potremmo aggiungere altri. Ma non credo di essere eccessivo a notare che nemmeno tutto ciò sarebbe bastato a farlo vincere le elezioni senza la drammatica condizione economica e sociale in cui sono piombati gli Stati Uniti a seguito della crisi finanziaria. L’onda della crisi ha incrinato un trend culturale e politico di destra che durava (salvo qual-che spiegabile e circoscritta parentesi) fin dagli anni ’80. Sarebbe interessante analizzare il voto in termi-ni quantitativi (e non percentuali) per valutare la por-tata degli spostamenti, accanto all’ampiezza del nuovo elettorato mobilitato da Obama, per capire se si tratta di un turning point profondo. Ora la sfida diventa seria. Si tratta di governare in nome di un reale change: nuove prospettive, nuove prassi, nuovi paradigmi. In campagna elettorale Obama non aveva dovuto impegnarsi molto sul versante pro-grammatico: le prospettive più radicali (es. riforma dalla Clinton. Ora si tratta di affrontare la depressio-ne conclamata, di far ripartire l’economia, di far pagare il prezzo della crisi alle persone giuste, di ripulire il sistema delle regole del capitalismo, di non far esplodere il già vastissimo debito. Vaste program-me….! Ci vogliono una creatività e un’audacia sco-nosciute, perché la sfida è radicale: si tratta di reim-postare alle radici il rapporto Stato-economia. Un nuovo New Deal, che non potrà ovviamente limitarsi a scopiazzare le ricette di quello degli anni Trenta. E non depone a favore di una posizione chiara che nel suo brain trust ci siano insieme il lucidissimo neo-key-nesiano Paul Krugman (recente Nobel) e l’ex presi-dente della Fed Paul Volcker, architetto del monetari-smo reaganiano (convertito?). Quasi sfuggono in secondo piano, dietro all’enormità del compito, altri aspetti decisivi su cui si aspetta Obama alla prova: chiudere Guantanamo, ritirarsi dall’Iraq, definire meglio la presenza in Afghanistan, imporre la pace nel travagliato Medio Oriente (nei giorni dell’insedia-mento il dramma di Gaza suona l’allarme rosso), risollevare le istituzioni del multilateralismo, aprire un dialogo tra le civiltà e le regioni del mondo (penso soprattutto all’America Latina), riportare gli Usa nel-l’agenda di Kyoto e preoccuparsi dei cambiamenti climatici, togliere l’acqua in cui nuota il pesce terrori-sta con interventi politici specifici… Speriamo solo che ci siano tempo, energie e risorse per tutto. Il mondo ha bisogno che gli Stati Uniti rendano evidente il change: il tempo della retorica è finito. Occorrono fatti. Oltre gli aspetti simbolici un impegno difficile

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