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Meglio atei devoti che liberi credenti?

- Cristianesimi

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 6 del 17/01/2009

Si può dire che da sempre esistono due cristianesimi: quello ideale conforme a quanto insegnato da Gesù, e quello espresso dai cristiani nel contesto della storia occidentale. L’uso della stessa parola per indicare due realtà così diverse è fonte di grandi ambiguità, in particolare quando si sente parlare d’identità cristiana dell’Europa.

Al cristianesimo secondo Gesù appartengono le beatitudini, il perdono, l’amore disinteressato (perfino per i nemici), il porgere l’altra guancia, l’ammonizione (assai difficile da capire) che siamo tutti ma proprio tutti fratelli. Invece il cristianesimo reale si è distinto nella storia per le conversioni forzate, le crociate, l’inquisizione, i ghetti e i pogrom contro gli ebrei, lo sterminio degli indios, lo schiavismo, il capitalismo liberale, lo sfruttamento selvaggio del pianeta.

Se Costantino e Teodosio hanno cominciato imponendo la religione di stato, Carlo Magno ha poi cristianizzato l’intera Europa costringendo talune popolazioni alla conversione forzata, fino a far materialmente tagliare migliaia e migliaia di teste a chi rifiutava. Quanto ai disastri delle crociate sono noti a tutti, tanto più che le tragiche conseguenze continuano a incidere assai negativamente perfino sulla politica odierna. Inquisizione, persecuzioni degli ebrei, sterminio dei nativi d’oltre oceano, schiavismo, sono vergogne che nessuno osa negare.

La storia si è sempre trovata a fare i conti con tremende difficoltà dovute alla congenita conflittualità umana, è vero; e obiettivamente bisogna riconoscere che nel cammino del cristianesimo non sono mancati elementi edificanti, oltre a persone di grande spessore che hanno testimoniato i valori di Cristo pagando sovente con la propria vita.

Le valutazioni storico critiche sono molto diverse. Qualcuno dice che il cristianesimo reale è un clamoroso tradimento di Cristo, altri preferiscono sottolineare gli elementi positivi pensando che siano sufficienti a riscattare le ombre; e tuttavia anche i più tradizionalisti, coloro che si sentono strettamente legati alla Chiesa e al suo Magistero, hanno sempre riconosciuto che nel cristianesimo reale ci sono tante, troppe vergogne, che al massimo possono essere sopportare con molta sofferenza, e non certo da esaltare. Da sempre, si potrebbe dire, si è auspicato un rinnovamento per ricuperare maggior fedeltà all’insegnamento di Gesù, e nel suo insieme il Concilio Vaticano II può essere inteso come espressione emblematica di tale auspicio.

Da qualche tempo, invece, le cose sono cambiate e, da quando neocons e atei devoti hanno fatto comunella, la valorizzazione del cristianesimo reale tende a prevalere anche di principio su quanto indicato da quell’utopista di Gesù. Il recente libro del senatore Pera: Perché dobbiamo dirci cristiani, va in questa direzione. A Pera importa poco di Gesù Cristo e della fede cristiana per sua dichiarazione esplicita, mentre interessa il cristianesimo sociologico, da utilizzare per fini politici, auspicando per l’Europa un’identità cristiana intesa come baluardo difensivo contro i non europei.

Francamente appare curioso proporre il cristianesimo come collante europeo quando nel secolo appena trascorso abbiamo assistito allo scannarsi a ripetizione tra cristiani tedeschi e austriaci da un lato e cristiani polacchi, francesi, britannici dall’altro, con i cristiani italiani che, per non far torto a nessuno, hanno partecipato alle carneficine ora contro gli uni, ora contro gli altri. Comunque sia, oggi non pochi sostengono la tesi del senatore Pera, che la esprime, bisogna riconoscere, con argomentazioni interessanti e molto ben elaborate. Ma è fuori dubbio che aderirvi significa scegliere, tra i due cristianesimi, quello reale, quello storico, proclamarlo vincente, e quindi abbandonare o relegare in secondo piano il modello Gesù.

Non stupisce che gli atei devoti cerchino l’alleanza della Chiesa a fini politici, cosa che hanno sempre fatto nelle più svariate forme per consolidare il potere. Quel che invece lascia sorpresi è che il Papa intervenga a sostegno con una lettera di approvazione entusiastica, firmata non dalla persona Ratzinger, ma come Papa Benedetto XVI, cioè in nome dell’Istituzione.

Che dire? Le stranezze non finiscono mai di stupire.


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