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“Alla responsabilità di chi ama spetta un ruolo decisivo”

- Martini e l’Humanae vitae

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 6 del 17/01/2009

Nel discorso prenatalizio alla Curia romana dello scorso 22 dicembre, Benedetto XVI è tornato brevemente sull’enciclica Humanae vitae, scritta da Paolo VI nel 1968. Un’enciclica che fu molto dibattuta perché, dopo una sofferta riflessione e dopo aver messo da parte le risultanze di una commissione di studio promossa nel marzo del 1963 da Giovanni XXIII, papa Montini ribadì fermamente la contrarietà della Chiesa all’autodeterminazione della coppia nel compito di trasmettere la vita e, dunque, all’uso dei mezzi anticoncezionali.

Benedetto XVI si è soffermato sul concetto di creazione: aver fede nella creazione, ha detto il papa, significa riconoscere che “essa non è semplicemente nostra proprietà che possiamo sfruttare secondo i nostri interessi e desideri”. E dunque fa parte dell’annuncio della Chiesa testimoniare la presenza dello Spirito creatore nella natura e in special modo nella natura dell’uomo, ha detto il papa. Di qui il riferimento all’enciclica di Montini: “Partendo da questa prospettiva occorrerebbe rileggere l’enciclica ‘Humanae vitae’: l’intenzione di papa Paolo VI era di difendere l’amore contro la sessualità come consumo, il futuro contro la pretesa esclusiva del presente e la natura dell’uomo contro la sua manipolazione”.

Certo, non è sfuggito ad alcuni commentatori che un diverso giudizio sulla Humanae vitae è contenuto nelle “Conversazioni notturne a Gerusalemme”, il libro che raccoglie un lungo dialogare tra il card. Martini e il padre gesuita Georg Sporshill, tenutosi nell’autunno del 2007. Il libro è stato pubblicato prima in Germania e poi, lo scorso ottobre, in Italia, da Mondatori.

Le conversazioni tra p. Sporshill e il card. Martini vertono attorno al “rischio della fede”, come indica il sottotitolo, e sono imperniate sul tentativo di rispondere alle domande dei giovani, di cui si fa interprete il gesuita tedesco, da molti anni impegnato nella direzione spirituale di tanti ragazzi.

“Imparare l’amore” si intitola il capitoletto, uno dei sette, in cui Martini e Sporshill affrontano il tema che è al centro dell’enciclica di papa Montini. Il dialogo nasce da una affermazione iniziale del gesuita tedesco: “La Chiesa ha ancora fama di essere ostile al corpo e lontana dalla vita. Lo dimostra l’enciclica Humanae vita (...)”.

Per un verso la risposta di Martini è netta: “Riconosco che l’enciclica Humanae vitae ha purtroppo prodotto anche un effetto negativo. Molte persone si sono allontanate dalla Chiesa e la Chiesa dalle persone”. Poi Martini cerca la strada di un approccio diverso (“un orizzonte più ampio”, dice) rispetto a quello che fu di papa Montini e che oggi viene fermamente ribadito. Egli cerca questa strada in due direzioni.

La prima è la scelta di dare spazio e fiducia alle persone che vivono direttamente i problemi. Martini ritiene che non sia compito della Chiesa, della gerarchia della Chiesa, di dare ricette. Qui non solo c’è un invito a riconoscere che “ammettere i propri errori e la limitatezza  delle proprie vedute di ieri è segno di grandezza d’animo e di sicurezza”. Ma soprattutto c’è una convinzione fondamentale. Che Martini esprime con queste parole: “La Chiesa dovrebbe sempre trattare le questioni di sessualità e famiglia in modo tale che alla responsabilità di chi ama spetti un ruolo portante e decisivo”.

Martini avanza la considerazione che su molte problematiche (“profondamente umane” egli le chiama, e qui si tratta della sessualità e della corporeità) “non si tratta di ricette, ma di percorsi che iniziano e proseguono con le persone”. I percorsi “non possono essere imposti dall’alto, dalle scrivanie o dalle cattedre”. Alla Chiesa Martini chiede di liberarsi da “questo peso” (il peso di decidere dall’alto) e di farlo mettendosi in posizione di ascolto e avendo fiducia nel dialogo con i giovani.

Racconta, ad esempio, il cardinale, con stile molto diretto e familiare: “Da amici e conoscenti ho avuto modo di vedere che i giovani andavano in vacanza con loro e dormivano insieme in una stanza. Nessuno pensava di nasconderlo o di considerarlo un problema. Avrei dovuto dire qualcosa a riguardo? È difficile. Non riesco a comprendere tutto, anche se sento che qui forse nasce una nuova vicendevole attenzione, un comune apprendere e un accordo più saldo delle generazioni (…). Desidero accompagnare questa evoluzione con benevolenza, interrogando e pregando”.

Non ricette, non pregiudizi, non risposte che vengono prima che siano chiarite le stesse domande, riconoscimento che vi è una evoluzione nelle questioni profondamente umane… E, dunque, percorsi da fare insieme con le persone.

La seconda direzione in cui Martini invita a muoversi è il richiamo alla Bibbia. Dunque all’essenziale. La Bibbia, dice, “limita fortemente i messaggi sulla sessualità”. Vieta l’adulterio. Vieta la violenza sulle donne. Difende i bambini e tutti coloro che hanno bisogno di protezione. “A prescindere da queste nette linee tracciate dalla Bibbia – osserva il cardinale –, dobbiamo fare riferimento alla responsabilità personale e al discernimento degli spiriti”. E, d’altra parte, le stesse linee tracciate nella Bibbia talvolta risentono del contesto dell’epoca e sono poi state rielaborate dalle comunità dei credenti, come, ad esempio, l’omosessualità, condannata – dice Martini – con parole forti dalla Bibbia, ma ammessa nella Chiesa evangelica e nell’ebraismo riformato. “In questa pluralità – egli dice – ricerchiamo la nostra strada”.

Il percorso comune da fare, come comunità ecclesiale, nell’ascolto reciproco, ammettendo una “gerarchia dei valori” e accettando che vi siano un’evoluzione e delle differenziazioni, è dunque quello di “lavorare a una nuova cultura della sessualità e della relazione”, una cultura “che favorisca la tenerezza e la fedeltà”, una cultura della cui espressione siano protagonisti le persone cui spetta la responsabilità di vivere l’amore.


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