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Resistere, ma con lucidità

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 9 del 24/01/2009

Non è solo una moda o una “frase fatta”. L’idea che “bisogna resistere” si diffonde ogni giorno nelle coscienze. Ci si rende conto, per fortuna, che i mutamenti in cui siamo immersi sono profondi e chiedono un supplemento di coraggio e di lucidità. In molti campi, dall’economia alla politica, dalla religione alla cultura, operano persone, idee e forze che hanno interpretazioni e progetti molto diversi. Molti di noi hanno la sensazione che in questa situazione difficile prevalgano, o possano prevalere, disegni regressivi e pericolosi.

Perciò parlare di “resistenza” sta diventando frequente soprattutto fra coloro che nutrono una visione non egoistica della vita e si fanno carico dei rischi che si profilano per i popoli poveri, i giovani e gli emarginati. Rischi per la giustizia e la democrazia, per la fedeltà al concilio e al vangelo. Di “resistenza” parleremo dunque frequentemente anche in futuro su queste pagine. Qui oggi vorrei limitarmi a proporre alcune riflessioni molto generali e discutibili; ma che sono nate da conversazioni appassionate.

La prima riflessione è che “resistere” è ben diverso da “aggredire”. Come ci hanno insegnato Gesù e Gandhi e tanti testimoni della nonviolenza, la resistenza vittoriosa non si fonda sulla demonizzazione nè sulla distruzione dell’avversario e neppure sulla esaltazione dei contrasti. Più che aggredire le posizioni altrui è importante rafforzare le proprie.

La seconda è che per “resistere”, difendere e accrescere la propria presenza è necessario dialogare con tutti: solo così si conosce meglio il punto di vista di chi pensa e agisce diversamente da noi. Conoscere è la condizione per capire gli altri; e poi comprendersi, cercare insieme, oppure combattersi in maniera leale.

La terza riflessione è che bisogna comunicare nel modo più comprensibile, facendo conoscere a tutti le ragioni, lo spirito, il progetto che ispira la nostra resistenza. Non c’è infatti alcuna vera resistenza se non è “di popolo”: cioè condivisa, o almeno compresa, dalla moltitudine delle persone semplici, immerse, e talora sommerse, dalle preoccupazioni quotidiane. Dunque una strategia delle alleanze, o meglio: un’alleanza tra i “senza potere”.

Una quarta riflessione riguarda i “mezzi” della resistenza. La scelta non-violenta, per quanto appaia talvolta debole, è l’unica degna di chi crede che per costruire un mondo migliore nulla di buono si può fare con mezzi cattivi. Speriamo che se ne ricordino Obama e Putin. Israeliani e palestinesi. Tutti i popoli e gli uomini che si contrappongono nel mondo. Le maggioranze presuntuose e le minoranze esacerbate ad ogni latitudine. Resistere per loro significa prendere coscienza della forza profonda delle loro ragioni, così che è meglio cercare di affermarle con il dialogo, gradualmente, che pretenderle subito con la forza.

Infine conviene ricordare (e mettere in pratica) che il luogo della resistenza è anzitutto la coscienza personale. Lì va nutrita e rafforzata la capacità di resistere alle lusinghe del potere, alle paure del futuro. Resistere è riscoprire la coscienza, la sua dignità, la sua straordinaria capacità di affrontare e vincere le prove più difficili perchè la coscienza è il primo, principale vicario di Dio in terra.

Ancora di più. Per i credenti è possibile dire e pensare davvero che si può vincere il male con il bene. Magari non subito, magari con alti costi personali e collettivi. Ma se sarà credibile e ammirevole nello stile e nei mezzi, se non sarà espressione di odio ma di speranza, la nostra resistenza a tanta stupidità, egoismo e barbarie che ci assediano, sarà più facilmente vittoriosa. E più duratura. (ab)

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