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Di fronte alla guerra, cos’è decente o indecente?

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 12 del 31/01/2009

Nel 1942, quella creatura straordinaria che fu Simone Weil, scriveva che “mai nella storia del globo terrestre c’era stato tanto pericolo per le nostre anime”. Mi chiedo che direbbe se vivesse questi nostri giorni. Uccidere le “anime”, far passare per normale il cinismo e per ovvie le ragioni dei forti, togliere ogni speranza ai disperati, tutto questo sembra programma culturale e politico. Così normali ed ovvi quegli orizzonti della nuova barbarie, che è “indecente”, “meritevole di dure sanzioni”, pensarla diversamente.

C’è anche altro. Appartiene alla “personalità autoritaria” il senso dell’“onore”. Che tradotto significa anche questo: non è tanto da riprovare chi commette una nefandezza, ma chi ne dà notizia e lede l’onorabilità del delinquente, diffondendo un “fatto” che poteva benissimo restare segreto e non turbare nessuno.

Un esempio: la mafia in Sicilia è “fatto di cultura”; scrivere che in Sicilia c’è la mafia significa disonorare l’isola. Pensieri come questi mi venivano in mente mentre seguivo con sofferenza “Annozero” del 15 gennaio e leggendo sui giornali le indignate proteste della gente perbene l’indomani.

Non è “indecenza” ammazzare donne e bambini, perseguire scientemente e volutamente rastrellamenti omicidi, cercare Hamas nei depositi o nelle scuole dell’Onu, sparare sul mucchio e ammazzare in poche settimane 1070 creature umane, in grandissima parte civili. No, tutto questo è “decenza”. “Indecenza” è dire e documentare quei crimini, farli conoscere, “disonorare” Israele.

Premesso che noi distinguiamo sempre il popolo ebraico dal governo di Israele; premesso che la questione ebraica esige una soluzione nella pace e nella sicurezza; premesso che da 60 anni i palestinesi soffrono da cani in “campi di concentramento” dentro e fuori la loro terra ed aspettano una soluzione al loro diritto a vivere e ad avere una patria; chiarito tutto questo, voglio semplicemente dire che non ci sarà mai “una ragione” umana, una strategia militare degna di umani che possa fondare il diritto a creare scientemente e volutamente sofferenza e morte anche in un solo bambino innocente.

Se la guerra esige questa “morte dell'anima”, allora è tempo di renderci conto che trasformare un uomo in soldato, cioè in macchina di morte e di nefandezze, è barbarie indegna di un uomo del terzo millennio, di una religione ebraica, di ogni religione che ritiene indisponibile al capriccio (o anche al diritto) di un uomo la vita di un altro uomo.

Nella trasmissione erano “indecenti” quanti cercavano di spostare il tema della trasmissione dalla sofferenza degli innocenti alle “cause” del conflitto e quanti cercavano di erigere a suprema norma morale di una guerra l’assenza di qualsiasi norma morale. Erano “decenti” e ne avevamo un disperato bisogno per sapere che Dio non è tramontato dal cuore umano, l’indignazione di un Santoro, le lacrime silenziose di una ospite, la visibile sofferenza della comunità palestinese di Milano.

Gente di parte, schierata con le vittime. Sarebbe questa l’“indecenza”? Ma forse è questa “ufficiale indecenza”, questo stare dalla “parte del torto e non con la ragione”, l’ultima trincea in cui difendiamo la nostra fede: schierarci con le vittime e non più coi carnefici. I carnefici di difensori ne hanno fin troppi e molto interessati. Stare con loro significa stare con le ragioni della forza, mentre abbiamo un lancinante bisogno di ritrovare la forza della ragione, dell’umanità, della compassione. Sì, quelle ragioni scomode che qualcuno chiama “indecenza”.

Quando il bene viene chiamato male, quando la forza viene scambiata per virtù, e la crudeltà per somma umanità, allora davvero è a rischio non solo la pace ma il senso del nostro essere scesi dagli alberi di foreste preistoriche per volgere al cielo la nostra fronte. È a rischio la nostra “anima”. Personalmente benedico quell'urlo “indecente” che ancora mi risuona nelle orecchie: “Non accetto che questi bambini muoiano e i potenti della terra non fanno niente per fermare il massacro”.

Lo condivido quell’urlo, e vorrei che i politici cristiani non avessero più motivi per schierarsi con la “decenza di stato” e dunque con la vera “indecenza”, quella del silenzio, che tutela l’onore dei gloriosi soldati ma avalla la morte degli innocenti.

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