Irrinunciabile concilio
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 15 del 07/02/2009
Proprio cinquant’anni fa, il 25 gennaio del 1959, papa Giovanni annunciava il Concilio Vaticano II destando la sorpresa della curia romana e del popolo cristiano. Felice sorpresa: il Concilio ebbe uno svolgimento vivace e per certi aspetti imprevisto, ma certo positivo. Il postconcilio si presentò come una grande strada aperta lungo la quale il popolo di Dio potesse camminare verso una meta che Paolo VI descriveva così nel luglio 1969: “Noi avremo un periodo di più grande libertà nella vita della Chiesa e di conseguenza di ciascuno dei suoi figli. Questa libertà significherà meno obblighi legali e meno inibizioni interiori. La disciplina formale sarà ridotta, ogni arbitrio sarà abolito, così come ogni intolleranza, ogni assolutismo. La legge positiva sarà semplificata, l’esercizio dell’Autorità temperato, il senso della libertà promosso...”.
Quella strada si è fatta via via più stretta e difficile, con salite e tornanti. Il popolo che la percorreva ha conosciuto stanchezza e qualche disorientamento. E mentre qualcuno camminava con baldanza altri facevano fatica e qualcuno si perdeva. Come al tempo dell’Esodo non pochi hanno cominciato ad aver nostalgia delle cipolle d’Egitto.
Ma ora, proprio a cinquant’anni dall’annuncio del Concilio, è venuto questo “perdono” papale ed è stata cancellata la scomunica a quattro vescovi illecitamente ordinati vent’anni fa dal vescovo tradizionalista Lefebvre che rifiutava il Vaticano II. La decisione è certamente un gesto di misericordia; ma ha fatto rabbrividire molta parte del popolo cristiano perché è sembrata il segno, forse la prova, che dopo tanto difficile cammino quella strada, divenuta sentiero, non ci sia più; e resti davanti a noi una distesa di sabbia e sterpaglie dove ognuno camminerà – se ne sarà capace – per conto suo, in ogni direzione. Di più: poiché il terreno della storia è molto accidentato, conosce buche ed anche abissi, si profila il vero pericolo che molti, soprattutto i più deboli e impreparati possano perdersi. Si chiederanno perché finora era necessario “convertirsi al Concilio” e adesso non lo è più!? E perché mai tanti laici, preti e vescovi che hanno cercato di camminare sulla strada del Concilio, forse con passo più spedito degli altri, sono stati emarginati o colpiti… per molto meno di uno scisma?
Certo, all’indomani del “perdono” è stato tutto un affannarsi di vescovi e papa a dire che il Concilio resta un punto fermo. Belle e chiare le parole dei vescovi francesi: la revoca della scomunica non è una riabilitazione e il Concilio non è e non sarà negoziabile. Ma questo dovrà essere provato con i fatti perché in questi anni ci sono stati troppi segni di incertezza. Sono prevalse interpretazioni restrittive del Concilio, ed è sembrato che parte della gerarchia cattolica fosse un po’ “pentita”, mentre tra i seguaci di Lefebvre non sembrano esserci pentimenti.
E poi c’è l’orribile dichiarazione di uno dei vescovi “perdonati” che nega l’olocausto. E c’è l’antisemitismo del movimento tradizionalista, la sua chiusura culturale e spirituale al dialogo ecumenico ed interreligioso. Insomma dai fatti e dalle parole di questi giorni nascono preoccupazioni nuove per chi ha a cuore le sorti della chiesa e del vangelo.
Ma forse, la speranza non è impossibile. La speranza che il “perdono” sia anche un’occasione di dialogo per fare chiarezza, per aiutare i tradizionalisti a capire che la vera tradizione è fedeltà al passato ma anche approfondimento e cammino. E soprattutto possiamo avere la speranza che perdono e misericordia (insieme alla giustizia) valgano per tutti nella Chiesa e anche fuori di essa: per teologi, pastori, animatori sociali, studiosi di morale, responsabili di gruppi e movimenti, credenti con animo di profeti. Quanti di loro hanno sofferto in silenzio (e qualcuno è anche stato messo alla gogna) e aspettano una riconciliazione? (ab)
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