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PER I MOLTI CAMMINI DI INCONTRO CON DIO ECOLOGIA, LUOGO PRIVILEGIATO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO

Tratto da: Adista Documenti n° 32 del 21/03/2009

DOC-2116. BELEM-ADISTA. (dall’inviata) È stato uno dei seminari più interessanti e più partecipati di tutta la III edizione del Forum mondiale di Teologia e Liberazione (v. Adista nn. 26 e 29/09) quello su “Ecologia, luogo di incontro del dialogo interreligioso”, promosso dalla Cattedra di Teologia e Scienze delle Religioni dell’Università Carlos III di Madrid (diretta dal teologo spagnolo Juan José Tamayo) e dall’Associazione ecumenica dei teologi e delle teologhe del Terzo Mondo (Asett o, nella sigla in inglese, Eatwot). E ce n’era bisogno: se il dialogo interreligioso non sembra certo procedere in maniera spedita, l’ecologia può realmente diventare un luogo privilegiato di incontro tra le distinte tradizioni religiose. La storia – ha evidenziato con chiarezza Tamayo nella sua introduzione al seminario – si è abbondantemente incaricata di scartare, come punto di partenza di un fecondo dialogo interreligioso, il “luogo della dottrina”: “Quella che all’inizio è una formulazione che riassume le linee fondamentali di una determinata fede si struttura gradualmente fino a diventare dogma. E il dogma è sempre di ostacolo al dialogo. Molte guerre di religione hanno avuto origine proprio dai dogmi. Basti pensare che la rottura nel cristianesimo tra Oriente e Occidente è avvenuta per una ‘e’” (è la questione del filioque, espressione latina che la Chiesa cattolica ha aggiunto al Credo niceno-costantinopolitano in riferimento allo Spirito Santo: qui ex patre filioque procedit, cioè “che procede dal Padre e dal Figlio”. Aggiunta condannata come eretica dal patriarca di Costantinopoli, ndt).

Secondo Tamayo, del resto, “il linguaggio più proprio della religione non è il dogma, ma il simbolo, che, a differenza del dogma, induce a riflettere perché è polisemico, e quindi in sé già racchiude la capacità di dialogo”. Neppure può costituire un buon punto di partenza per il dialogo “il mettersi d’accordo su cosa sia la religione”: di fronte alla pluralità di religioni e alla pluralità di definizioni, sarebbe, secondo Tamayo, “un cammino eterno”. È nel “luogo delle vittime” che va individuato il luogo privilegiato per il dialogo interreligioso: è l’opzione per gli esclusi, per gli emarginati, per i poveri, attraverso una prassi di liberazione. Se però la TdL ha finora considerato come vittime solo gli esseri umani, orientando la prassi di liberazione verso la lotta contro le situazioni di povertà e di emarginazione, l’ecologia ci dice che anche la natura è vittima di oppressione e che dunque anch’essa è in attesa di liberazione e anch’essa è destinataria di un progetto di salvezza.

Ed è stato su questo terreno che si sono confrontati la rappresentante maya Ernestina López Bac, l’afrocolombiana Maricel Mena López, il messicano zapoteca Eleazar López Hernández, il peruviano Diego Irarrazaval, il brasiliano Leonardo Boff e lo stesso Juan José Tamayo. Un confronto che ha evidenziato in maniera molto intensa la straordinaria lezione di umanità offerta da culture e religioni che – ha notato ancora Tamayo - non trovano solitamente spazio neppure nell’ambito del dialogo interreligioso. È la lezione che emerge, per esempio, dai miti indigeni che ci descrivono una terra impegnata a difendere amorosamente i suoi figli. “In un mito mapuche – ha riferito Eleazar López Hernández – si racconta che, per sfuggire a un’inondazione, la gente salì su un piccolo colle e, nella misura in cui cresceva il livello delle acque, anche il colle diventava più grande. E questa Madre Terra che si prende cura di noi, che ci protegge, richiede da noi una risposta uguale in termini di reciprocità e di solidarietà”. È in questi valori indigeni che incontriamo “la possibilità di un futuro per la specie umana, un’offerta in grado di rivitalizzare le altre lotte dell’umanità”.

Nella penombra, ha sottolineato Diego Irarrazaval, “si incontrano luci sorprendenti”, a partire “dalla prassi simbolica e profetica della gente semplice”. Irarrazaval cita tre avvenimenti paradigmatici: il rituale cosmico del Cirio de Nazareth (processione in onore della Vergine di Nazareth a cui prendono parte in ottobre più di un milione di abitanti del Pará), dove “confluiscono tutti i clamori dell’ambiente acquatico e terreno con una moltitudine che chiede la forza per continuare a vivere”; il rituale della commensalità afro-cristiana-cosmica (“tra umani, con l’ambiente, con le divinità”) nel nord del Brasile; la scommessa sulla convivenza umana e cosmica e su uno sviluppo differenziato ed equo contenuta, “a partire dalla diversità meticcia”, nella nuova Costituzione della Bolivia. Una “saggezza interculturale e interreligiosa” che si esprime già nel Preambolo: “Abbiamo popolato questa sacra Madre Terra con volti diversi e abbiamo compreso da allora la pluralità esistente in tutte le cose” e, “compiendo il mandato dei nostri popoli, con la forza della nostra Pachamama e grazie a Dio, rifondiamo la Bolivia”.

Si tratta, afferma Irarrazaval, di esperienze simbiotiche che possono apparire insignificanti “di fronte all’onnipotente tec-no-economia mondiale”, ma che rappresentano invece processi umani dal “potenziale incalcolabile”.

Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, stralci degli interventi di Ernestina López Bac, di Maricel Mena López e di Leonardo Boff (quest’ultimo tratto da una registrazione e non rivisto dall’autore). (claudia fanti)

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