OTTIMO E ABBONDANTE
- L'importanza della visita di Benedetto XVI per le sfide che la politica dell'Angola deve affrontare
Tratto da: Adista Contesti n° 38 del 04/04/2009
Questo articolo del poeta e scrittore angolano Costa Andrade, noto anche come Ndunduma Wé Lépi, è apparso sul "Journal de Angola" (21/3/2009). Titolo originale: "A Propósito"
Ho seguito fino al momento in cui scrivo, in televisione, la visita di Benedetto XVI in Angola. Ringrazio e ricambio, rispettosamente, i saluti che il Sommo Pontefice ha avuto la gentilezza di indirizzare a quanti accompagnavano il suo arrivo e la sua visita nel nostro Paese, alla televisione o alla radio. È stato un dettaglio, ma un dettaglio che non è sempre presente nelle prime parole di chi ci fa visita e che generalmente si rivolge a noi in maniera anodina, con la semplice, bella, ma in certi contesti poco significativa, parola popolo. Questo commento anticipato, relativamente al viaggio non ancora ultimato, è dovuto al fatto che la visita si conclude lunedì e il mio riquadro, con i suoi limiti di spazio, trova posto la domenica.
Ritengo, lo ripeto, che questa visita rappresenti un avvenimento importante e non casuale, per entrambi gli Stati, poiché al di là delle rispettabili questioni di fede e della pluralità delle reazioni correlate, sono effettivamente due Stati, con eccellenti relazioni, che si incontrano, senza trascurare in alcun modo il peso unico e primario della Storia secolare che li unisce. Questo spazio non mi permette di trattare in profondità i molteplici, variabili, buoni e cattivi avvenimenti che questa Storia ricca e complessa ha registrato a partire dal colonialismo telecomandato fino al dominio colonialista della repressione immediata, alla lotta di liberazione condotta su fronti diversi dal popolo angolano, al diverso comportamento del potere coloniale rispetto alle diverse istituzioni religiose e anche alle significative differenze di atteggiamento rispetto alle conseguenze all’interno di ciascuna di esse. Non si tratterà qui neppure della materia relativa alle politiche successive secondo le dominanti opzioni condizionanti di ciascuna epoca storica. Per oggi, ci basterà constatare l’importanza di questa visita per entrambi gli Stati, soprattutto per il momento in cui si realizza. Direi, con carattere simile a quello dell’accoglienza dei leader dei movimenti di liberazione dell’Angola, della Guinea e del Mozambico da parte di Paolo VI.
Mi trovavo lontano dall’Angola quando Giovanni Paolo II ci ha fatto visita, ragion per cui non farò paragoni. Solo uno: questa volta, perlomeno, riguardo alla cronaca che ho seguito, non sono rimasto deluso, perché i discorsi di benvenuto del presidente della Repubblica e di saluto di Sua Santità, nella loro brevità, sono stati sufficientemente espliciti. José Eduardo dos Santos ha parlato delle evidenti realizzazioni e delle prospettive concrete della ricostruzione materiale e spirituale del Paese, del suo tessuto umano crudelmente lacerato da un conflitto armato non necessario, e Benedetto XVI, tra le altre cose, si è riferito alla necessità di apertura al dialogo costruttivo, anche da parte della società civile, l’unica formula politica, direi magica, capace di promuovere, costruire, creare equilibri tra i cosiddetti “più forti e più deboli”, per quanto in maniera transitoria, come emerge dalle parole del presidente. Ora, per raggiungere tali obiettivi, oltre alla premessa tempo, c’è un nuovo elemento non trascurabile: il risultato delle elezioni legislative, le quali, se da un lato sono una conseguenza del lavoro politico del Mpla (Movimento popolare di liberazione nazionale), dall’altro rappresentano l’innegabile debolezza del lavoro politico, si dica quel che si voglia, di una opposizione il cui contenuto fondamentale non è mai stato il dialogo con “il più forte”, ma la violenza verbale e insultante “del più debole”, quando non la minaccia, di fronte a un popolo (qui sì in senso compiuto) stanco di soffrire per l’attuazione, tanto più, delle minacce.
Le accuse senza fondamento, l’insulto fatto norma e arma, l’esagerazione centuplicata di alcune verità minime, la rabbia schiumante al posto del sorriso civile e della disponibilità alla comprensione fanno sì che il consiglio di Sua Santità sia una delle premesse da concretizzare da questo lato. Dal lato del Mpla, è necessario il programmato congresso per trasformarlo nell’espressione oggettiva e desiderata della vittoria conquistata alle urne. Il Mpla ha dimostrato di avere il leader giusto, giusto per il momento. Ma il partito nella sua globalità deve trasformarsi nel Mpla del tempo nuovo, quello che ha superato, già ieri, i tabù, che discute apertamente le soluzioni e prevede il futuro annunciato, quello che è possibile scientificamente e filosoficamente incontrare, più avanti, nel corso di quest’arte della previsione non metafisica che è la politica. La Chiesa Cattolica ha forze e intelligenze per affrontare i concorrenti che stanno crescendo in maniera esponenziale per ragioni simili. Ha bisogno perciò anche di centrare i suoi obiettivi spirituali e i suoi concetti materiali in dialogo costruttivo con le forze e le intelligenze che non potranno non emergere dall’atteso rinnovamento che gli angolani che hanno votato il Mpla desiderano apertamente. Perché una verità sembra già incontrovertibile: l’82% dei voti conquistati riunisce in sé una grande percentuale di angolani che non sono militanti del partito, ma vogliono le trasformazioni che in questo tempo solo José Eduardo dos Santos ha dimostrato di avere le condizioni e la capacità di realizzare, senza scosse.
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