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Nostro relativismo

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 54 del 16/05/2009

Mi colpisce un titolo che campeggia in prima pagina di un settimanale diocesano delle Marche, Il nuovo amico: “L’arido sfondo della libertà”. Comincio a leggere le prime righe “La pretesa di essere assolutamente libero viene ripagata da un individualismo la cui deriva va a intaccare perfino la sostanziale dignità della persona umana”. So che è un giornale fatto bene, con intelligenza e senso ecclesiale, ma temo la polemica “cattolica” contro la libertà individuale e sull’aridità che caratterizzerebbe la cultura contemporanea… Ma poi leggo, capisco e apprezzo. L’autore, Raffaele Mazzoli, critica l’individualismo, l’egoismo, il delirio di onnipotenza. Si parla del bene comune, della persona umana che non è semplicemente l’individuo; si citano Mounier e Giorgio Campanini: «Si tratta di riscoprire un “Io” che si rapporti sempre, anche nelle situazioni più drammatiche, ad un “Tu” che lo fronteggia e insieme lo trascende. Si tratta di vincere l’estrema solitudine delle persone anche alle estreme frontiere della vita…». Tutto ciò è vero, e detto in maniera comprensibile, positiva.

Penso che il dibattito sulla fine della vita potrebbe essere occasione per dire grandi parole di verità; e invece sembra spesso rinchiuso nella contrapposizione tra quelli che dicono che l’individuo può fare di sé quello che vuole; e quelli che dicono che non può fare quello che la legge o la morale gli proibiscono. Si tratta visibilmente di due assolutismi, che pongono un criterio assoluto al di fuori e sopra la storia, al di fuori e sopra la coscienza personale. Su questa strada si finisce col negare proprio quello che si vorrebbe difendere e cioè la somma dignità della persona, che è sempre relativa al “tu” dei fratelli e al “Tu” di Dio.

Certamente la vita umana va tutelata sempre, valorizzata, accudita. E tuttavia che senso ha dire che essa è sempre, assolutamente indisponibile? Non abbiamo visto né udito una così radicale condanna della guerra, della pena di morte, della “legittima difesa”, persino della retorica “chi per la patria muor…”. Sappiamo viceversa che “non c’è amore più grande di chi dà la vita per un amico” (se non, forse, l’amore di colui che dà la vita per un nemico o un uomo vile).

Certo, siamo in una grande emergenza educativa perché educatori laici e credenti troppo spesso si limitano a dire “si fa così”, “così è bene e così è male”. Capisco che lo possano pensare i figli del positivismo giuridico (ed etico…). Ma certo non i cristiani. Loro sanno che tutto è relativo; soltanto Dio è assoluto (sebbene anche Lui abbia messo a rischio la sua assolutezza a causa del suo amore per gli uomini). Considerare “assolute” altre cose, idee, persone è follia e idolatria: “Felice chi non aderisce per nulla alla terra e cammina in eterno fervore attraverso l’eterna mobilità” (Gide).

Ma i cristiani sanno che l’unico punto fermo è l’amore nelle sue molte, indefinibili rifrazioni. Lo stesso gesto ha un valore oppure un senso diverso a seconda del contesto, del soggetto che lo pone, talora persino della cultura, certo dell’intenzione… Ciò non significa rinunciare ad offrire criteri, esempi, valutazioni. Ma senza mai sostituirsi alla coscienza, senza mai mettere un relativo al posto dell’assoluto. I credenti sanno e vivono che tutto è relativo: relativo agli altri, alla storia, alla cultura, alla coscienza. Che sia relativo non significa naturalmente che sia indifferente, che una scelta valga l’altra; il valore di una scelta è relativo al contesto e alle concause e soprattutto all’intenzione, alla scelta fondamentale. Ha ragione Agostino: se si sceglie per amore, qualunque scelta è giusta. E ciò accade più frequentemente di quel che si crede, nella Chiesa e nel mondo. Dovremmo essere ammirati per la bontà, la generosità, l’eroismo che vengono esercitati in forme e momenti diversi. Ecco perché è molto brutto vedere i cattolici (e anche la gerarchia) comportarsi come i farisei e i dottori della legge; e giudicare in modo severo e sprezzante le scelte di altri uomini e donne, magari “lontani” dalla fede. Meglio sarebbe annunciare,  con misericordia e cordialità, che “l’uomo non è mai solo” perché ha sempre dei fratelli e un padre; e che l’unica cosa importante è che i nostri gesti quotidiani e quelli supremi non siano guidati dall’egoismo, ma siano illuminati dall’amore per gli altri. (ab)

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