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TRA AUTONOMIA E GERARCHIA: IL CRINALE DELL’AZIONE CATTOLICA IN UN CONVEGNO SULL’EMERGENZA EDUCATIVA

Tratto da: Adista Notizie n° 55 del 23/05/2009

35015. ROMA-ADISTA. Una tre giorni dedicata al tema dell’emergenza educativa, “più volte sollevato da papa Ratzinger”. L’ha organizzata l’Azione Cattolica, dall’8 al 10 maggio scorsi, presso la Domus Pacis di Roma, presenti circa 800 responsabili dell’associazione, provenienti da quasi 200 diocesi del Paese. “Chi ama educa. L’impegno dell’Ac per una rinnovata cura educativa”, si intitolava il Convegno, rivolto alle presidenze diocesane di Azione Cattolica.

L’associazione ha voluto dare ampio rilievo all’incontro. Sia all’interno che all’esterno. Una scelta che si presta ad una duplice lettura. Da una parte, quella sottolineata negli stessi comunicati emessi durante la tre giorni, che ponevano l’accento sull’intenzione dell’Ac di “rispondere alla sfida educativa lanciata da Benedetto XVI”, a partire dalla “viva tradizione formativa dell’Azione Cattolica e dalla fitta e popolare rete che vede l’associazione presente in migliaia di parrocchie di tutto il Paese”. Un’Ac quindi che si situerebbe pienamente all’interno della prospettiva indicata dai vescovi nell’ultima Assemblea Nazionale (v. Adista n. 37/09): impegnata nella difesa dei valori non negoziabili attraverso una presenza reale (e capillare) sul territorio, in una misura che i movimenti non sono riusciti a garantire in questi anni (nonostante la gerarchia avesse in passato puntato molto su di loro, e poco sull’Ac). Insomma, un’associazione che, come già avvenuto con esperienze laicali tipo Scienza&Vita o Retinopera, diventa cinghia di trasmissione di un’istituzione ecclesiastica direttamente presente nella dimensione temporale e che considera proprio monopolio l'elaborazione della linea culturale, storica e politica della comunità ecclesiale italiana.

Ma l’incontro si situa anche all’interno di un percorso, avviato già sotto la presidenza di Luigi Alici, che ha tentato di moltiplicare i momenti di riflessione ed approfondimento sui temi ecclesiali e sociali all’interno dell’Azione Cattolica, specie dei suoi quadri dirigenti, marcando così – seppure indirettamente – l’esigenza di una autonomia di pensiero e di giudizio rispetto alla gerarchia.

Nel primo senso va la presenza stessa del presidente della Cei, il card. Angelo Bagnasco, che nel corso della celebrazione eucaristica in apertura della seconda giornata del Convegno ha richiamato la necessità di “intensificare la formazione globale”, come “reazione abissalmente altra rispetto al vuoto desolante, rispetto ai progetti di decostruzione che portano su vie tristi e oscure, che molto promettono e tutto tolgono della gioia e della dignità”. Se per Bagnasco, infatti “assistiamo oggi a un certo risveglio della dimensione spirituale e religiosa nel mondo” che “segnala una specie di ribellione della natura umana che rifiuta di essere ridotta a un grumo di materia organica meglio sviluppata”, c’è il reale pericolo che “questo risveglio si fermi al generico spirito religioso, ad un vago sentimento, ad un anelito cosmico indifferenziato senza volto e parole”.

In questa direzione, si colloca senz’altro anche l’adesione dell’Azione Cattolica al Manifesto “Liberi per vivere” (sottoscritto, tra l’altro, anche da Scienza&Vita, Forum delle famiglie, Retinopera, Comunione e Liberazione, Acli, Mcl, Rinnovamento nello Spirito, Cammino Neocatecumenale, Sant’Egidio), un testo che ribadisce nella sostanza le posizioni della gerarchia su fine vita e testamento biologico (v. Adista n. 40/09). Del resto, lo stesso presidente Franco Miano, nel suo intervento ha annunciato “momenti di incontro su tutto il territorio nazionale attraverso i quali promuovere, in chiave educativa, lo stile ordinario della solidarietà, dell’accompagnamento, della vicinanza a tutte le situazioni in cui l’esistenza umana è ferita e bisognosa di cure. Sono le relazioni che sanano l’uomo, e anche il doloroso momento del fine vita ha senso quando è accompagnato dalla presenza amorevole dell’altro”.

In una prospettiva diversa si potrebbe collocare invece la stessa scelta di aprire i lavori con una relazione affidata ad Alberto Monticone, attualmente alla guida del Consiglio scientifico dell’Istituto per la storia dell’Azione Cattolica e del Movimento Cattolico in Italia “Paolo VI”, ma già presidente nazionale di Ac dal 1981 al 1986 e figura fortemente simbolica all’interno dell’associazione. Con Monticone, infatti, l’Ac tentò di dare piena e compiuta realizzazione alla “scelta religiosa” teorizzata da Vittorio Bachelet: fine del collateralismo con la Dc, autonomia dei laici cattolici nell’azione sociale e politica, attenzione alla formazione civile oltre che ecclesiale delle coscienze, tentativo di vivere la laicità come ascolto dei segni dei tempi e rapporto con la secolarizzazione inteso come una sfida positiva piuttosto che come lugubre minaccia di scristianizzazione della società.

Nel suo intervento l’ex presidente, ha in fondo ribadito la sua tradizionale prospettiva circa la missione educativa dell’Ac. Sin dalle sue origini, ha detto, “l’Azione Cattolica ha sempre coltivato la sua vocazione ad essere luogo di preparazione dei giovani a seguire la fede cristiana e testimoniarla, in stretta obbedienza col pontefice”. Certo, durante gli anni del dopoguerra, quelli dei Comitati Civici e dell’anticomunismo più acceso, si verificarono “differenti impostazioni del progetto formativo apostolico” che portarono “non solo qualche separazione, ma anche al bisogno di un chiarimento di fondo che solo nel Concilio troverà la sua realizzazione”. È infatti il Vaticano II che “cambiò il concetto stesso di Chiesa, popolo di Dio in cammino nella storia, in amicizia con gli uomini del proprio tempo con lo stigma della regalità, della sacralità e del sacerdozio, e per la piena identificazione della vocazione e della missione dei laici”. Di qui, ha affermato Monticone, la “scelta religiosa”, “legata fortemente alla volontà di essere Chiesa e di esserlo nella storia del proprio tempo, per scorgere e legittimare cosi la propria vocazione e la propria missione: e l’Ac quella volontà cercò di tradurla come associazione a misura delle condizioni della Chiesa italiana e della Repubblica e di fare dei suoi aderenti protagonisti di laicità cristiana nel loro tempo”.

“La proposta educativa del Concilio relativamente ai laici - ha proseguito Monticone - sta dunque nella valorizzazione della loro vocazione e missione, calandole nella realtà ecclesiale e civile del tempo attraverso la lettura dei segni dei tempi”. Ora l’Ac, “ha cercato nell’ultimo periodo di procedere al discernimento dei fattori che caratterizzano il cammino della Chiesa italiana e quello del Paese e conseguentemente di aggiornare e sviluppare la sua azione formatrice, con quella fedeltà alla duplice storia del popolo cristiano italiano. Non è stato e non è tuttora una cosa facile, dal momento che la comunità ecclesiale e quella civile hanno attraversato e stanno attraversando una fase complessa, nella quale proprio il tema dei valori fondamentali e della laicità si presenta continuamente come elemento di difficile intesa e anzi spesso di separatezza o contrasto”. “Il problema di fondo - ha concluso Monticone - è che l’educazione alla duplice cittadinanza si è trovata di fronte all’indebolimento dei luoghi di mediazione culturale, politica, partitica, tanto da indurre alla tentazione per entrambe le parti, ecclesiale e civile, del diretto accordo o viceversa del contrasto. Inoltre si è verificato un declino delle agenzie formative alla cittadinanza nell’uno e nell’altro campo, mentre è vistosamente proceduta la massificazione prodotta dalla comunicazione, che apparentemente unifica, ma che in realtà isola nell’anonimato culturale le persone”. (valerio gigante)

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