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- La candidatura di Rafat Bayat alla presidenza dell'Iran non costituirebbe un passo avanti per i diritti delle donne

Tratto da: Adista Contesti n° 62 del 06/06/2009

Dal quotidiano inglese “The guardian” (15/05/09). Titolo originale: “Will Iran get a female president?”

Il 12 giugno gli iraniani andranno alle urne per eleggere un presidente, e c’è la possibilità che uno dei candidati più eminenti sia una donna, Rafat Bayat. Secondo Kamran Daneshjoo, il capo del comitato elettorale dell’Iran, tra le 475 candidature ci sono 42 donne. Le donne si sono iscritte come candidate alle elezioni presidenziali del 2001 e del 2005, ma in seguito sono state escluse dalla corsa finale. Quest’anno sembra esserci più speranza in particolare perché ad aprile il Consiglio dei Guardiani che fa da supervisore ha affermato che non vi sono restrizioni riguardo alle donne. In Iran, il capo di Stato è la Guida suprema, l’Ayatollah Khamenei, mentre il presidente è il più alto ufficiale eletto, responsabile del potere esecutivo. La lista finale approvata dei candidati presidenziali è attesa a breve, ma le credenziali rigidamente conservatrici della Bayat dovrebbero giocare a suo favore presso il comitato incaricato della selezione.

Rafat Bayat, sociologa, attualmente siede nel Majles (assemblea legislativa) come rappresentante eletta dello Zanjan, una piccola provincia dell’Iran nordoccidentale. Se sarà eletta, ha promesso di garantire diritti e protezione a tutte le donne e di promuoverle ai più alti livelli delle cariche decisionali.  Ha criticato il presidente Ahmadinejad per non aver investito sulle “opportunità d’oro” presentate dagli aumenti dei prezzi del petrolio negli ultimi anni, sottolineando implicitamente il fatto che non è riuscito a migliorare sostanzialmente la qualità della vita della maggioranza degli iraniani. La Bayat non figura  tra i quattro maggiori candidati alla presidenza: Ahmadinejad, attualmente in carica, Mehdi Karroubi,  ex portavoce del Majles,  Mir Hossein Mussavi,  primo ministro negli anni ‘80, e Moshen Rezaee, ex comandante della Guardia rivoluzionaria. Tuttavia, le precedenti campagne presidenziali hanno dato risultati sorprendenti: né Khatami né Ahmadinejad erano considerati favoriti.

Le elezioni, così come l’interpretazione costituzionale, sono controllate dal Consiglio dei Guardiani, un organismo composto di sei teologi sciiti e sei giuristi scelti  dal leader supremo e dal capo del potere giudiziario. Alle presidenziali del 2005 il consiglio ha approvato solo sei candidati su più di un migliaio, fatto che ha portato molti a mettere in discussione la reale democraticità  delle elezioni presidenziali, e quindi del sistema politico iraniano. Mehdi Karroubi contesta l’imposizione del Consiglio dei Guardiani  della “supervisione d’approvazione” e afferma che il problema va ben oltre la supervisione: “Gli ispettori del Consiglio dei Guardiani hanno una autorità ed un controllo assoluti sulle elezioni”. Secondo la Costituzione, il presidente deve essere scelto dal rejal siyasi. La parola rejal di solito si riferisce agli uomini, quindi la frase si traduce con “statisti”. In arabo, come in molte lingue europee, i nomi collettivi hanno un plurale maschile e nella lingua persiana il genere non è specificato, creando così ambiguità. Ad aprile il Consiglio dei Guardiani ha affermato che il termine rejal siyasi deve essere riferito all’élite politica, aprendo così le porte alle donne che si candidano alla presidenza. In precedenza il Consiglio aveva rifiutato la loro candidatura, affermando che “le donne non hanno la necessaria capacità intellettuale e cognitiva”.

I media persiani stanno indicando la candidatura della Bayat come un passo avanti per le donne. È interessante che alcuni dicano che se venisse eletta, sarebbe il primo presidente donna in uno Stato musulmano, trascurando così la presidenza di Megawati Sukarnoputri nello Stato musulmano più popoloso del mondo, l’Indonesia. L’attivismo politico femminile in Iran ha una lunga storia: le donne hanno svolto un ruolo significativo nella rivoluzione costituzionale del 1905 e nel 1911 nel Majles fu proposto per la prima volta il suffragio delle donne. Durante la “rivoluzione bianca” dello scià Reza il suffragio fu esteso alle donne, nel 1963, e questo diritto fu conservato fino alla costituzione islamica del 1979, nonostante il fatto che l’ayatollah Khomeini ed altri teologi sciiti si fossero opposti all’affrancamento delle donne negli anni ’60. Vi sono state diverse rappresentanti donne del Majles e, sia sotto Khatami sia sotto Ahmadinejad, vi sono state donne come vicepresidenti. Chiaramente Bayat non è una femminista; sottoscrive un femminismo islamico che rifiuta le idee occidentali dell’uguaglianza di genere. Bayat si considera come una “osulgarayan”, o “fondamentalista”, e ha censurato Ahmadinejad per la sua imposizione lassista della hijab, dicendo: “L’osservanza della hijab è peggiorata con il nuovo governo perché Ahmadinejad non è rigoroso su questa questione”. Ha criticato Shirin Ebadi, vincitrice iraniana del premio Nobel per la pace, descrivendola come troppo influenzata dal femminismo occidentale e dal diritto internazionale. Ha anche dichiarato: “Dire che le donne in Iran sono sotto pressione e che i loro diritti sono violati, non risponde a verità”. Peraltro, le donne in Iran sono svantaggiate rispetto agli uomini in molti campi, non ultimo il divorzio, la custodia e i diritti ereditari; persino viaggiare richiede il permesso del marito o del padre, fatto che Bayat suggerisce di risolvere con un dialogo tra coniugi. Bayat è contraria anche al documento dell’Onu sulla discriminazione contro le donne, poiché “contraddice la legge islamica su alcuni aspetti”, soprattutto nella sua restrizione della poligamia. Anche se la candidatura della Bayat non è ancora confermata, la nuova interpretazione della Costituzione del Consiglio dei Guardiani è uno sviluppo positivo e deve essere festeggiato. Una donna presidente costituirebbe certamente un progresso significativo, sebbene una presidenza sotto Rafat Bayat possa segnare anche una continuità se non un aumento della restrizione dei diritti delle donne iraniane.

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